In una recente risposta ad interpello, l’Amministrazione è tornata a ribadire che l’affrancamento del saldo attivo di rivalutazione confluito nel patrimonio netto presuppone che l’imposta sostitutiva del 10% si applichi alla base imponibile calcolata al lordo dell’imposta sostitutiva sostenuta per il riconoscimento fiscale dei beni rivalutati o riallineati (pari al 3%).
Nella Risposta n. 539/2021 l’Amministrazione ha dunque confermato la linea interpretativa tenuta nei precedenti documenti di prassi.
Tale posizione, tuttavia, andrebbe rivista alla luce delle conclusioni della Corte di Cassazione
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Il processo di rivalutazione dei beni di impresa comporta l’emersione di un saldo attivo da imputare tra le voci del patrimonio netto, in contropartita dei maggiori valori attribuiti ai cespiti rivalutati. Tale importo, ottenuto per differenza tra incremento del valore netto contabile dei beni ed eventuale imposta sostitutiva dovuta, deve essere imputato nel passivo dello stato patrimoniale, direttamente al capitale ovvero accantonato in una speciale riserva designata con riferimento alla legge in esame.
Nel caso in cui l’impresa decida di optare per la cd. rivalutazione onerosa, (rivalutazione con effetti fiscali), il saldo imputato alla riserva è soggetto ad un particolare regime di sospensione d’ imposta, previsto all’art. 13, commi 3 e 4, L. 342/2000, secondo cui, in caso di distribuzione del saldo attivo ai soci o ai partecipanti, le somme a questi attribuite concorrono a formare il reddito imponibile della società e quello dei soci o dei partecipanti.
Ogni qualvolta si opti per il riconoscimento fiscale dei plusvalori, dunque, ogni forma di distribuzione del suddetto saldo genera l’emersione di un imponibile ai fini delle imposte sul reddito in capo all’impresa. L’imponibile è calcolato in misura pari al saldo attivo “lordizzato” dell’imposta sostitutiva del 3%
Analogamente, in base all’art. 110 comma 8, L.342/2000, in caso di riallineamento è necessario apporre uno specifico vincolo di sospensione d'imposta ai fini fiscali su una o più riserve di patrimonio netto già esistenti, per un importo corrispondente ai differenziali allineati, al netto dell'imposta sostitutiva. Anche nel caso in esame, le riserve vincolate oggetto di distribuzione concorrono a formare la base imponibile ai fini delle imposte sul reddito dell’impresa.
Tuttavia, nelle menzionate ipotesi di distribuzione delle riserve da rivalutazione o riallineamento, la legge controbilancia il carico fiscale complessivo riconoscendo all’impresa un credito d’imposta pari all’ammontare dell’imposta sostitutiva versata per l’ottenimento del riconoscimento fiscale dei plusvalori (art. 13, comma 5, L.342/200; art. 4, comma 2 D.M. 86/2002).
L’art. 110, comma 3, D.L.104/2020, ripropone la possibilità di affrancare le riserve iscritte in contropartita della rivalutazione applicando l’imposta sostitutiva del 10%, da corrispondersi in tre rate annuali di pari importo.
L’istituto dell’affrancamento, disciplinato all’art.1, commi 475 e ss., L. 311/2004, svincola la riserva dal regime di sospensione d’imposta, trasformandola in una riserva di utile liberamente distribuibile ai soci.
L’attribuzione ai soci delle riserve affrancate non genera quindi materia imponibile per la società. Tuttavia, in tale ipotesi non è riconosciuto alcun credito d’imposta corrispondente all’imposta sostitutiva versata a fronte del riconoscimento fiscale dei maggiori valori di libro (Circolare n.33/E/2005).
Una questione che ancora desta incertezze è quella che attiene alle modalità di calcolo della base imponibile da prendere in considerazione nell’operazione di affrancamento delle riserve in sospensione d’imposta.
La base imponibile rilevante ai fini dell’imposta sostitutiva sull’affrancamento del 10%, a parere dell’Agenzia delle Entrate, coincide con il saldo attivo di rivalutazione iscritto nel passivo, aumentato dell’imposta sostitutiva dovuta ai fini del riconoscimento fiscale dei plusvalori, pari al 3% (Circ. n.14/E/2017; 11/E/2009; 18/E/2006).
L’Amministrazione ha confermato tale impostazione anche nella recente Risposta all’interpello n. 539/2021, concludendo che l’imponibile su cui applicare l’imposta sostitutiva debba essere assunto, ai fini dell'affrancamento, al lordo dell'imposta sostitutiva versata per il riconoscimento fiscale degli effetti della rivalutazione, a prescindere dal fatto che il saldo attivo venga esposto in bilancio al netto dell'imposta sostitutiva.
L’interpretazione de qua poggia sull’applicazione analogica dell’articolo 13, comma 3, L. 342/2000, il quale enuncia il regime applicabile in caso di assegnazione ai soci delle riserve non affrancate, prevedendo testualmente che “…le somme attribuite ai soci o partecipanti, aumentate dell’imposta sostitutiva corrispondente all’ammontare distribuito, concorrono a formare il reddito imponibile della società”
Più in dettaglio, l’Agenzia motiva l’applicazione di questo criterio argomentando che “devono ritenersi applicabili anche all’opzione per l’affrancamento in quanto relative ad una situazione speculare e assimilabile, finalizzata a rendere il saldo disponibile per la distribuzione” (cfr. Circolare 18/E/2006). Si segnala che tale impostazione veniva condivisa anche dalla Commissione Studi Tributari del Notariato, all’interno nello Studio n. 14/2009.
Questo orientamento, tuttavia, è stato in più occasioni messo in discussione da dalla Corte di Cassazione (Cass. n.32204/2019; Cass. n.11326/2020; Cass. n.19772/2020). La Suprema Corte, nelle recenti pronunce ha infatti eccepito l’interpretazione dell’Agenzia, ritenendo che, in assenza di una espressa previsione normativa, l’imposta sostitutiva debba essere applicata al saldo attivo di rivalutazione contabilizzato nel fondo patrimoniale, il quale è determinato al netto dell’imposta sostitutiva. Al contrario, si assoggetterebbe a tassazione anche la quota di patrimonio rivalutato non distribuibile (tenuto conto del fatto che la riserva accoglie il saldo al netto dell’imposta sostitutiva).
Inoltre, rilevano i Giudici, che le fattispecie relative alla distribuzione del saldo in assenza ed in presenza di affrancamento non possono essere trattate allo stesso modo: il richiamato articolo 13, comma 3, disciplina unicamente l’ipotesi di effettiva distribuzione ai soci del saldo non affrancato e, quindi, “…si evince come l’imposta sostitutiva rientri nella base imponibile solo in ipotesi di effettiva distribuzione ai soci del saldo non affrancato di rivalutazione…”. Viceversa “…l’inserimento nella base imponibile dell’imposta sostitutiva di rivalutazione finirebbe invece con il colpire un valore superiore (l’importo di tale imposta) rispetto a quello iscritto a riserva in bilancio, e non distribuibile”.