Purtroppo, questa pandemia ha cambiato, forse irreversibilmente le nostre abitudini di vita.
Quanti di noi ormai non vivono più con la stessa serenità comportamenti che una volta erano considerati imprescindibili nelle nostre vite di relazione.
Pensiamo a una semplice stretta di mano o ad un ancora più affettuoso scambio di baci per salutare le nostre amicizie più care.
Svolta questa, spero, perdonabile premessa sembra opportuno affrontare il vero tema caldo di questo periodo: la variazione dei comportamenti giuridicamente rilevanti a seguito della introduzione della cosiddetta Zona Bianca.
Dopo le ultime ordinanze del Ministro Speranza, con il numero di contagi in continua diminuzione tutta l’Italia si trova in Zona Bianca dal 28 giugno, mentre con il nuovo decreto Riaperture bis del 18 maggio sono cambiati i parametri con i quali vengono stabiliti i colori delle Regioni.
L’indice Rt non è più infatti il solo punto di riferimento principale, ma vengono presi in considerazione il tasso di ospedalizzazione e l’incidenza dei casi.
Grazie all’andamento della campagna vaccinale e della diminuzione del numero di pazienti Covid in terapia intensiva tutte le Regioni hanno raggiunto lo status di zona bianca.
Alla luce di questa significativa variazione entriamo nel dettaglio di quali sono le caratteristiche della Zona bianca e le regole in vigore
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Appartengono alla Zona bianca “le regioni, […], nei cui territori l’incidenza settimanale di contagi è inferiore a 50 casi ogni 100.000 abitanti per tre settimane consecutive e che si collocano in uno scenario di tipo 1, con un livello di rischio basso.”
Leggiamo ancora: “In tale area non si applicano le misure restrittive previste dai DPCM per le aree gialle, arancioni e rosse ma le attività s i svolgono secondo specifici protocolli”.
Il protocollo per la Zona Bianca è contenuto nelle “Indicazioni della Conferenza delle regioni e delle province autonome sulle Zone bianche” del 26 maggio 2021 (21/72/CR04/COV19) e si articola su due punti:
Ovviamente, la riapertura avverrà sempre secondo le linee guida adottate dalla Conferenza delle Regioni.
Coprifuoco
Il coprifuoco non è quindi più in vigore dal 21 giugno.
Green Pass
È un certificato che attesta l’effettuata vaccinazione Covid-19 (basta anche la prima dose di vaccino purché effettuata almeno 15 giorni prima), la guarigione o la negatività ad un tampone per Covid-19 effettuato entro le 48 ore precedenti.
Misure per bar e ristoranti
Mentre le regole per la Zona Gialla prevedevano che, dal 1° giugno, i locali potessero riprendere le attività anche al chiuso, con il limite orario legato al coprifuoco, con la Zona Bianca è caduto anche quest’ultimo limite.
All’aperto cade il limite per il numero di posti al tavolo ma resta il distanziamento di almeno un metro tra tavoli diversi.
Per quanto riguarda i tavoli al chiuso, il numero massimo di posti passa da 4 a 6.
Matrimoni, fiere, discoteche
In base all’accordo tra le regioni, in Zona bianca sarebbero dovute ripartire le seguenti attività:
Nessuna limitazione per i negozi, anche quelli all’interno dei centri commerciali che possono aprire anche nei weekend, festivi e prefestivi.
Stesso dicasi per i musei, la cui apertura in Zona Gialla era già prevista a partire dal 26 aprile, e per le palestre che hanno ricevuto il lasciapassare già dal 24 maggio.
Per quanto riguarda i matrimoni, un comunicato stampa congiunto del Ministero della Salute e della Conferenza delle Regioni ha specificato che anche in zona bianca sarà necessaria la certificazione verde per la partecipazione ai ricevimenti.
Per quanto riguarda la questione delle discoteche, il CTS ha espresso parere favorevole alla loro riapertura in zona bianca discoteche possono stare aperte come ristoranti, lounge-bar o live-club, con un limite di partecipanti fissato al 50% della capienza e d in corso di verifica da parte del Governo l’obbligo di green pass per i partecipanti.
Mascherine e divieti
Le riaperture non significano un “libera tutti”, rimangono obblighi e divieti volti a ostacolare la diffusione dei contagi.
A partire dal 28 giugno, in zona bianca, è venuto meno l’obbligo di indossare le mascherine all’aperto.
Bisognerà comunque portare la mascherina sempre con sé e indossarla nei luoghi chiusi, sui mezzi pubblici, e all’aperto quando non si può garantire il distanziamento, ad esempio al mercato o in fila.
Resta inoltre in vigore il divieto di assembramento, e per l’appunto il mantenimento del distanziamento sociale.
Spostamenti e visite
Cadono le limitazioni sugli spostamenti all’interno della Regione, per quanto riguarda le visite a parenti e amici è stato stabilito che gli spostamenti verso altre abitazioni private sono consentiti senza limiti al numero di persone, ed in Zona Gialla il limite è di 4 persone oltre ai minori.
Per quanto riguarda gli spostamenti fuori regione, invece, questi sono permessi senza alcuna limitazione tra Zone Bianche e Gialle.
In caso di riclassificazione di Zone Arancioni e Rosse sarà possibile spostarsi con il green pass e resteranno validi gli spostamenti per motivi di lavoro, salute o necessità.
La presente sezione ha temporaneamente, e speriamo definitivamente, perso di validità con l’introduzione della zona bianca, ma si reputa giusto in ogni caso svolgere un breve excursus nella denegata, e non auspicata, reintroduzione delle zone Gialla, Rossa ed Arancione.
A causa della diffusione a livello mondiale del virus Covid-19, sono sorti numerosi dibattiti sulla possibile configurazione del reato di epidemia nella forma dolosa o colposa nei confronti di chi, consapevole o meno di aver contratto il virus, continui a circolare liberamente, violando le disposizioni governative sull’obbligo di quarantena.
Prima di analizzare la configurazione o meno del reato in questione, bisogna approfondire l’elaborazione normativa che si è succeduta nel nostro ordinamento sin dall’inizio della pandemia.
L’11 marzo del 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha qualificato il fenomeno virale del Coronavirus come “pandemia”, dopo aver dichiarato, in data 30.1.2020, l’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale.
In Italia, ancor prima del sopraggiungere dei primi casi, in data 31.1.2020 è stato dichiarato lo stato di emergenza con delibera del Consiglio dei Ministri.
Poco dopo, il Governo di fronte ad una situazione non poco allarmante il 21 febbraio 2020 ha emanato il D. L. n. 6/2020, poi convertito in L. n. 13/2020, recante “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”, decretando l’introduzione di misure limitanti al precipuo scopo di tentare di contenere il contagio.
L’art. 3, comma 4, del suddetto decreto ha così statuito: “Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è punito ai sensi dell’articolo 650 del codice penale.”
Con tale disposizione, il Governo ha previsto, quale sanzione in caso di violazione degli obblighi dallo stesso imposti, la configurazione del reato di cui all’art. 650 c.p. “Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità”, che prevedeva l’arresto fino a 3 mesi e l’ammenda fino a 206 euro.
La disposizione in esame ha, inoltre, introdotto una clausola di salvezza nella parte in cui statuisce “salvo che il fatto non costituisca più grave reato”, facendo riferimento a tutti quei casi in cui la violazione delle misure avrebbe integrato un reato più grave.
Tale statuizione, va dato atto che è stata partorita in un momento storico di particolare delicatezza, ha sollevato molteplici problemi, in ordine alle fattispecie concretamente configurabili.
Tra queste avrebbero potuto rientrarvi, in una prima ipotesi estensiva, i reati di epidemia di cui agli artt. 452 e 438 c.p., i reati di lesioni e di omicidio, sia nella forma dolosa che colposa.
Nello stesso mese, precisamente il 26 Marzo 2020, è entrato in vigore un ulteriore Decreto-Legge, il n. 19/2020, poi convertito con L. n. 35/2020, con l’intento di riorganizzare a fini deterrenti la disciplina precedentemente introdotta e, soprattutto, di dare una pronta sanzione ai trasgressori.
Il comma 1 dell’art. 4 ha previsto l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, individuata nel pagamento di una somma che va da 400 a 3.000 euro, eliminando il riferimento all’art. 650 c.p., in caso di mancato rispetto delle misure di contenimento previste dall’art. 1, co. 2 e dall’art. 3 del medesimo decreto, ossia tutte quelle disposizioni limitative degli spostamenti delle persone, degli assembramenti e dell’apertura delle attività commerciali.
La sanzione è aumentata fino ad un terzo nel caso in cui la violazione avvenga mediante l’utilizzo di un veicolo, mentre la sanzione amministrativa è raddoppiata in caso di reiterata violazione della medesima disposizione.
Quanto, invece, alla misura di cui all’art. 1, comma 2, lett. e), ossia il divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per i soggetti sottoposti alla quarantena in quanto positivi al virus, è il comma 6 dell’art. 4 che ne prevede la disciplina.
Quest’ultima disposizione si apre con una clausola di salvezza, ossia “salvo che il fatto costituisca violazione dell’art. 452 c.p. o comunque più grave reato”, che a differenza dell’art. 3, co. 4 del D.L. n. 6/2020, ormai abrogato, ha statuito e tipizzato, all’interno della normativa emergenziale, l’art. 452 c.p., ossia il reato di epidemia colposa.
È stata così prevista l’applicazione, in caso di violazione della suddetta misura, dell’art. 260 del R.D. n. 1265/1934, T.U. delle leggi sanitarie, come modificato dal comma 7 del D.L. in esame, che punisce la condotta del soggetto che non ottemperi ad un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo, con l’irrogazione della sanzione dell’arresto da 3 a 18 mesi e l’ammenda da 500 a 5.000 euro.
Inoltre, il comma 8 prevede altresì l’applicazione retroattiva delle nuove disposizioni alle violazioni commesse prima della data di entrata in vigore del D.L. n. 19/2020, con la riduzione della metà delle sanzioni amministrative irrogate.
La principale novità introdotta è quella relativa alla modifica della sanzione irrogabile in caso di violazione delle misure di contenimento di cui all’art. 1.
La volontà di introdurre una sanzione amministrativa in luogo di una contravvenzione, ribadiamo, è stata volta ad aumentare l’effetto deterrente della sanzione che, dal punto di vista economico, assume un peso maggiore rispetto all’ammenda prevista dall’art. 650 c.p., oltre alla necessità di evitare di congestionare il sistema giudiziario con un numero imprecisato di procedimenti penali dagli esiti incerti, a fronte di un procedimento amministrativo sicuramente molto più rapido ed economicamente incisivo.
Dall’analisi delle suddette disposizioni, è emersa chiaramente la volontà del legislatore di introdurre una fattispecie autonoma per sanzionare chiunque violi la misura dell’obbligo di quarantena, pur essendo infetto, con il rischio di contagiare un numero rilevante di persone, considerato l’alto grado di virulenza del virus Covid-19.
Confrontando la precedente disposizione dell’art. 3, comma 4, D.L. n. 6/2020 con l’art. 4, comma 6, del D.L. n. 19/2020 emerge una principale differenza, necessaria per delimitare l’area di applicazione delle due normative.
La prima disposizione ha trovato applicazione nei casi di violazione delle misure di contenimento indipendentemente dalla positività o meno al virus del soggetto attivo, a differenza della seconda che sanziona più gravemente la violazione di queste misure nel caso di positività accertata.
Con i due decreti il legislatore ha creato un “microsistema sanzionatorio” graduato in ragione della gravità della condotta del soggetto attivo.
In questo microsistema, al primo livello si trova la condotta di chi violi le misure di contenimento del contagio di cui all’art. 1 D.L. n. 19/2020 punita con una sanzione amministrativa.
Al secondo livello vi è la condotta del soggetto positivo al virus, che violi la misura dell’obbligo di quarantena, di cui all’art. 1, comma 2, lett. e) punita con l’applicazione dell’art. 260 R.D. n. 1265/1934.
Al terzo livello vi è la condotta di chi diffonde colposamente il virus, punito ai sensi dell’art. 452 c.p. con il reato di epidemia colposa o ponga in essere delle condotte che, in ragione della probabilità statistica della diffusione del virus, rappresentano un pericolo per la collettività e la salute pubblica.
In fattispecie analoghe si è già espressa la giurisprudenza, sostenendo che “un soggetto è punibile quando la condotta che viola una delle misure emergenziali, fra quelle generiche o specifiche, si pone come antecedente causale di uno specifico focolaio epidemico, evento che rientra fra quelli che le regole cautelari miravano proprio ad evitare (secondo il criterio della causalità della colpa)”.
Se da un lato, l’elemento soggettivo della colpa presupporrebbe l’assenza del profilo dell’accettazione del rischio di contagiare terzi, non è possibile operare il medesimo ragionamento nel caso di specie in quanto è la stessa disposizione legislativa che richiede la consapevolezza del proprio status patologico.
Di conseguenza, sarà configurabile il reato di epidemia colposa, anche aggravato dalla previsione dell’evento di cui all’art. 61 n. 3 c.p.
Infine, vi è la condotta del soggetto che diffonde dolosamente il virus, sanzionato con il reato di epidemia dolosa di cui all’art. 438 c.p., fattispecie astrattamente configurabile all’interno della categoria del “più grave reato”.
In quest’ottica, viene punito chi, essendo consapevole del proprio stato patologico, accetta il rischio di contagiare più persone, rimanendo a contatto ravvicinato con le stesse per un lasso di tempo prolungato.
Non è infatti richiesto che vi sia un dolo diretto o intenzionale ai fini della configurazione del reato in questione, bensì è sufficiente la mera accettazione del rischio per poter punire l’agente per il reato di epidemia commesso con dolo eventuale.
Sul punto la giurisprudenza di legittimità si è espressa in ordine alla condotta del soggetto configurabile in termini dolosi.
La Corte di Cassazione si è espressa ritenendo che sia difficilmente configurabile l’art. 438 c.p. in caso di condotta realizzata con le modalità omissive, affinchè la stessa possa cagionare il contagio di una malattia che abbia i requisiti richiesti dalla stessa giurisprudenza (indeterminatezza dei contagi e rapida diffusività temporale e spaziale).
Nonostante ciò, non si può escludere che, proprio per la particolarità del virus Covid-19 e per l’alto grado di virulenza, il mero contatto umano non possa essere strumento idoneo a realizzare quella cosiddetta “indeterminatezza dei contagi” richiesta ai fini della configurazione del reato di epidemia.
Per quanto riguarda la configurazione del delitto nella forma colposa è necessaria non soltanto la violazione di regole cautelari, ma anche la prevedibilità dell’evento e il giudizio di esigibilità nei confronti dell’agente, in quanto lo stesso deve essere a conoscenza della tipologia dei germi che sta diffondendo e gli si deve poter muovere un rimprovero in termini di prevedibilità ed evitabilità dell’evento.
Lo stesso, quindi, risulta addebitabile anche in caso di negligenza, imprudenza o imperizia, purché la violazione delle suddette regole provenga da una condotta attiva del soggetto agente, in quanto, in aderenza alla Suprema Corte, è da sposare l’orientamento restrittivo che non ammette la configurabilità del reato di epidemia nel caso di condotte omissive in quanto si tratta di reato a forma vincolata, “incompatibile con il disposto dell’art. 40, 2° comma, c.p., riferibile esclusivamente alle fattispecie a forma libera”.