Il corretto trattamento delle perdite d’esercizio e gli obblighi conseguenti, in capo ad amministratori e soci delle società di capitali, sono definiti con rigore e puntualità dal Codice civile, a tutela dei terzi.
Nell’anno 2020, caratterizzato dall’emergenza sanitaria e dalle conseguenti misure restrittive di contenimento, una molteplicità di aziende, in diversi settori, ha subito un tracollo economico, in molti casi conseguente alla temporanea ma prolungata interruzione dell’attività.
In una situazione del genere, nel contesto di un periodo di tempo limitato, legato all’esplodere dell’emergenza, il legislatore ha ritenuto di dover privilegiare la tenuta del sistema economico rispetto alla tutela dei terzi.
Proprio al timore di assistere allo scioglimento di una moltitudine di aziende, a causa delle perdite scaturite dal contesto pandemico, è dovuta quella normativa in deroga che prevede il congelamento delle perdite significative realizzate nell’esercizio 2020 con conseguente sterilizzazione degli obblighi consequenziali.
Il primo intervento normativo sul tema, poco rifinito su alcuni aspetti, è l’articolo 6 del DL 23/2020, il cosiddetto decreto Liquidità, promulgato nei primi giorni di aprile 2020 nel pieno della quarantena nazionale, e convertito dalla Legge 40/2020.
La norma prevedeva, per gli esercizi chiusi dall’entrata in vigore del decreto al 31 dicembre 2020, la facoltà, per le società di capitali, di non applicare gli articoli del Codice civile in materia di riduzione del capitale sociale per perdite superiori a un suo terzo ma senza incidere sul minimo legale, e quelli per il caso in cui il capitale risultasse anche compromesso oltre il minimo legale.
In capo agli amministratori restava solo l’obbligo di convocare l’assemblea, non per assumere gli opportuni provvedimenti, ma per informarla della situazione.
Il limite fondamentale del disposto normativo, scritto per tamponare una situazione potenzialmente esplosiva, era che questo non forniva indicazioni su cosa sarebbe successo l’esercizio successivo; in conseguenza di ciò, il primo giorno del 2021 sarebbero tornate a regime le regole ordinare, con il conseguente obbligo, per le imprese, in caso di perdite significative che incidessero il capitale oltre il minimo legale, di convocare l’assemblea per procedere con la ricapitalizzazione, lo scioglimento, o la trasformazione in una società per la quale il capitale residuo fosse sufficiente.
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Stante il problema dell’esaurimento della normativa con l’ingresso del nuovo anno, al perdurare di un contesto generale ben lontano da una normalizzazione, il legislatore ha deciso di intervenire sulla norma riscrivendola e sostituendola con l’articolo 1 comma 266 della Legge 178/2020, la Legge di Bilancio 2021.
La sostanza della norma è mantenuto, con l’aggiunta di alcuni correttivi prospettici.
L’oggetto dell’ibernazione, con la novellata deroga, divengono le perdite significative emerse durante tutto l’esercizio 2020, ampliando così il campo d’applicazione.
Ma la novità più importante riguarda la gestione negli anni successivi delle perdite emerse nel 2020, e che l’assemblea ha deciso di ibernare: è prescritto infatti che, nel caso in cui le perdite superino il terzo del capitale sociale ma non la sua interezza, il termine entro il quale dovranno risultare diminuite a meno di un terzo sarà il quinto esercizio successivo (quindi entro il termine di approvazione del bilancio 2025). Similmente nel caso in cui le perdite siano di entità tale da ridurre il capitale al di sotto del minimo legale previsto per la specifica forma societaria interessata, la decisione obbligatoria in tema di ricapitalizzazione o trasformazione o scioglimento, potrà essere rinviata fino al quinto esercizio successivo (anche in questo caso, quindi, entro il termine dell’approvazione del bilancio 2025). Le perdite interessate sono le perdite significative realizzate nell’esercizio 2020.
Le perdite realizzate nell’esercizio 2020 e ibernate, la cui gestione può essere sospesa fino al 2025, dovranno essere, però, distintamente indicate in Nota integrativa fin tanto che permarranno in bilancio, con specificazione della loro origine e delle eventuali movimentazioni intervenute nell’esercizio.
Il termine dell’assemblea che approva il bilancio d’esercizio 2025 può essere considerato a tutti gli effetti un termine ultimo per agire secondo le disposizioni normative ordinarie, in quanto non appare preclusa la possibilità, per le società interessate, di procedere anticipatamente all’assunzione degli obblighi previsti, anche in termini di ricapitalizzazione, scioglimento o trasformazione; con la sola peculiarità che, fino a quella data, gli amministratori e la società non possono invocare l’automatismo delle procedure che, in questo caso, si configureranno come volontarie.
Il disposto normativo in trattazione è stato oggetto di dibattito in relazione a numerose questioni interpretative.
Tra le ipotesi avanzate, quelle più creative, ben presto superate e accantonate, ipotizzavano una lettura sostitutiva della normativa in deroga, che avrebbe dovuto rappresentare una nuova forma della disciplina ordinaria, oppure richiedevano una correlazione diretta tra perdite emerse e situazione emergenziale, ai fini del facoltà di congelamento.
Il dibattito alla fine si è concentrato su altre due questioni, dagli importanti risvolti pratici per gli amministratori delle società: il periodo di riferimento per l’applicazione della norma e il comportamento che l’impresa debba successivamente adottare all’insorgere di nuove perdite, durante il periodo quinquennale in cui le perdite 2020 risultano congelate.
In relazione a entrambe le questioni possiamo rilevare una interpretazione letterale della normativa, rappresentata dalla Lettera circolare alle Camere di commercio 26890 del MISE (Ministero dello Sviluppo Economico) del 29 gennaio 2021, e una interpretazione estensiva della medesima normativa, rappresentata dalla Circolare Assonime numero 3 del 25 febbraio 2021; le due letture giungono a conclusioni diametralmente opposte.
Per quanto riguarda il periodo d’applicazione della norma, prevedendo la norma stessa una applicazione limitata alle perdite emerse nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2020, l’interpretazione letterale del MISE esclude i bilanci 2019 e quelli con esercizio non coincidente con l’anno solare che non ricomprendano tale data.
Di diverso avviso è Assonime la quale, leggendo estensivamente la norma, ipotizza la possibilità effettiva di estendere l’applicazione della normativa, in tema di congelamento delle perdite significative, ad un arco temporale più ampio, in coerenza al perdurare della situazione emergenziale.
Per quanto riguarda la seconda questione, divenuto pacifico il comportamento da adottare in relazione alle perdite emerse nell’esercizio 2020, dopo la riscrittura del disposto normativo, oggetto del contendere diventano le eventuali perdite significative che emergano nei quattro anni successivi, durante il periodo di ibernazione delle perdite significative del 2020, e come queste perdite successive debbano relazionarsi con quelle congelate.
La lettura letterale della norma vede queste perdite successive come autonome rispetto a quelle emerse nel 2020 e, di conseguenza, sottoposte alle ordinarie previsioni del Codice civile; la lettura estensiva, invece, le vuole attratte alla medesima disciplina di posticipazione prevista per le perdite dell’esercizio 2020, perché inserite all’interno del medesimo contesto.
Assonime ipotizza “una sorta di percorso speciale” per le imprese che sono entrate nel perimetro di crisi congelato del 2020, in coerenza con la prospettiva del recupero della solidità patrimoniale della società, anche alla luce del fatto che, essendo il bilancio dell’impresa idealmente unico, è difficile non mettere in relazione il risultato di un esercizio con il precedente ed il successivo; ma, bisogna precisarlo, il testo della norma non appare costruito con questa dinamicità di pensiero.
La lettura letterale della normativa ha provato un importante sostenitore nel Comitato interregionale dei consigli notarili delle Tre Venezie, il quale, sul suo sito internet istituzionale, ha pubblicato dodici massime sull’argomento.
Anche i notai del Triveneto circoscrivono il perimetro temporale della deroga al solo esercizio in corso al 31 dicembre 2020, all’infuori del quale vigono le ordinarie disposizioni del Codice civile senza ipotesi di ulteriori eccezioni.
Ad oggi la lettura letterale della normativa, su tutte queste questioni, appare come quella prevalente.
Appare pacifico come la disapplicazione delle cause di scioglimento, nei limiti delle perdite rilevanti emerse nel 2020, escluda, di conseguenza, l’obbligo degli amministratori di adottare una gestione conservativa della società.
Tuttavia, gli amministratori, pur potendo operare con finalità speculativa, non vigendo obblighi di gestione conservativa, non potranno comunque ignorare il fatto che l’impresa si trovi in una situazione di crisi solo congelata e translata nei suoi effetti, motivo per cui la gestione aziendale non potrà fare a meno di operarsi con finalità di recupero del dissesto patrimoniale.
Pur avendo i poteri per operare liberamente, gli amministratori non potranno fare a meno di operare con un elevato livello di prudenza, esistendo una situazione di crisi latente, alla quale il legislatore ha offerto un arco temporale ampio ma definito per il recupero, recupero che non potrà non essere il fine primario della gestione.