Gli stipendi percepiti all’estero dal personale di volo delle compagnie aeree in servizio internazionale rappresentano un caso particolare di reddito da lavoro dipendente che merita di essere approfondito al fine di non cadere in errore circa l’applicazione del sistema di tassazione previsto.
In effetti, come del resto ben precisato in tutti i trattati contro le doppie imposizioni, tale tipologia di reddito presenta delle eccezioni rispetto alla norma ordinaria stabilita nei confronti di tutti gli altri dipendenti che producono redditi all’estero, a causa dell’ovvia impossibilità materiale nel definire la nazione effettiva nella quale viene in concreto prestato il lavoro. Un criterio che tenga conto della prevalenza del luogo in cui è realmente eseguita la prestazione lavorativa appare difficilmente adottabile (la base operativa? L’aereo fine a sé stesso?).
Invero, la circostanza legata alla “bandiera” dell’aeromobile (ossia, lo Stato nel quale risulta registrata la sua immatricolazione) è di regola un elemento importante, ma non decisivo ai fini impositivi, per svariate ragioni.
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Innanzitutto, la nazione nella quale si trova la sede legale della società che assume il personale di volo non necessariamente coincide con quella della “bandiera” dei velivoli; e, comunque, le compagnie aeree hanno in genere diverse sedi in tutto il mondo, tra le quali non risulta affatto agevole individuare quella di direzione effettiva. Inoltre, di norma il personale di volo viene assegnato a una base aeroportuale che ben potrebbe essere localizzata in un Paese terzo. Non ultimo, a complicare ulteriormente la situazione, talune note compagnie aeree low-cost utilizzano l’escamotage di far stipulare i contratti di assunzione (non direttamente, ma) tramite società di servizi “esterne”, nel tentativo di by-passare determinati obblighi retributivi, previdenziali e fiscali, nonché in generale godere di una maggiore libertà contrattuale. Infine, oggigiorno, esistono svariate compagnie aeree low-cost che sono in realtà emanazione di ben più conosciute compagnie tradizionali e che fanno capo (direttamente o indirettamente) a queste ultime.
Insomma, la situazione che ne consegue è straordinariamente complessa da decifrare.
Il punto di partenza, da cui il professionista chiamato a fornire assistenza fiscale non può prescindere, resta il contratto di lavoro sottoscritto dal dipendente. Detto documento, oltre al resto, attesta i seguenti parametri fondamentali:
Come vedremo subito, questi indicatori ci consentono di circoscrivere gli obblighi impositivi sui redditi percepiti dal dipendente, tenuto conto della propria residenza fiscale, così come stabiliti nei modelli convenzionali.
Il punto 1, per esempio, ci dà la possibilità di individuare lo Stato nel quale, salvo differenti elementi certi di segno opposto, è localizzata la sede del datore di lavoro. Potrebbe, infatti, risultare che la sede della direzione effettiva della società sia insita in un Paese differente rispetto a quello che appare ufficialmente nel contratto di lavoro. Il caso tipico è quello poc’anzi accennato di un’assunzione effettuata “conto/terzi” (anche eventualmente tramite società di somministrazione straniera).
La compagnia aerea irlandese Alfa conferisce mandato alla società di servizi olandese Beta, al fine di reclutare e assumere personale che sarà poi impiegato negli aeromobili di Alfa, in servizio internazionale. Laura, residente in Italia, è stata assunta come Cabin- Manager da Beta per operare sui velivoli di Alfa.
Orbene, tenuto conto che le disposizioni convenzionali fanno sempre riferimento alla sede effettiva di direzione (o comunque alla sede dell’impresa che utilizza i dipendenti), nell’esempio citato, dovremo analizzare la convenzione Italia / Irlanda (e non quella Italia / Olanda), anche se nel contratto esaminato, Beta, controparte del dipendente, risulta ufficialmente avere sede nei Paesi Bassi. Ovviamente, in assenza di indizi certi (anche non contrattuali) che dimostrino il contrario, non si potrà che attenersi al dato ufficiale.
I precedenti punti 2, 3 e 4, viceversa, servono (di concerto con le altre regole nazionali) a inquadrare la residenza fiscale del dipendente e la tipologia del lavoro che svolge in relazione alle disposizioni fissate dalle convenzioni.
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Jean è un cittadino francese assunto a tempo indeterminato dall’Air France come primo ufficiale di velivoli in servizio internazionale, con base assegnata presso l’aeroporto di Parigi, Charles De Gaulle. Il 1° giugno del 2020, Jean ha acquistato una casa in Sardegna e ha chiesto la residenza italiana, iscrivendosi all’anagrafe locale, al fine di beneficiare delle agevolazioni previste in materia di “prima casa”.
Nell’anno 2020, Jean risulterà fiscalmente residente in Francia dal 1° gennaio al 31 maggio, e fiscalmente residente in Italia dal 1° gennaio al 31 dicembre. Occorrerà dunque analizzare la convenzione Italia / Francia, fermi e impregiudicati i doppi obblighi per i primi cinque mesi dell’anno. A tale ultimo proposito, è evidente che il discorso vale anche in termini inversi.
Nel caso in cui Jean avesse effettuato il cambio di residenza in data 01/08/2020 (anziché, il 1° giugno), egli avrebbe avuto obblighi specifici in Francia per i primi sette mesi; non avrebbe invece avuto alcun obbligo dichiarativo in Italia (per i redditi conseguiti come primo ufficiale di volo) relativamente all’intera annualità (nemmeno per il periodo 01/08 – 31/12), giacché la residenza italiana si acquisisce con riferimento a tutto l’anno d’imposta ma solo laddove si verifichi la citata condizione concernente l’iscrizione all’anagrafe nazionale per il periodo minimo di 183 giorni (le altre condizioni di residenza, sicuramente non si verificano nell’esempio in questione). Dunque, in detta seconda ipotesi, Jean, per l’anno 2020, avrebbe l’obbligo di dichiarare in Italia solo i redditi ivi prodotti nel periodo, ma non quelli percepiti all’estero (senza residenza, non si applica il principio della tassazione mondiale).
Abbiamo già avuto modo di precisare che la normativa convenzionale prevista per la tassazione dei redditi qui oggetto di esame è sostanzialmente simile in tutti i trattati. Andando a memoria, peraltro, fanno sicuramente eccezione le convenzioni Italia / Singapore, Italia / Hong-Kong e Italia / Emirati Arabi Uniti. Vediamo subito come variano fra loro tali convenzioni rispetto a quelle di interesse nei precedenti due esempi descritti.
“Nonostante le precedenti disposizioni, le remunerazioni relative al lavoro subordinato svolto a bordo di aeromobili in traffico internazionale sono tassabili nello Stato contraente in cui è situata la sede della direzione effettiva dell’impresa”
“Nonostante le precedenti disposizioni, le remunerazioni relative al lavoro subordinato svolto a bordo di aeromobili in traffico internazionale sono imponibili nello Stato nel quale è situata la sede della direzione effettiva dell'impresa; se tale Stato non preleva imposte su dette remunerazioni, le stesse sono imponibili nello Stato di cui i beneficiari sono residenti”
[Questo secondo periodo è stato inserito al fine di vanificare l’effetto “paradiso fiscale” nel caso di eventuali localizzazioni c.d. “off-shore”, posto che la convenzione, col termine “Francia”, include anche gli eventuali Territori D’Oltremare nei quali sono previste svariate agevolazioni di carattere tributario]
“Nonostante le precedenti disposizioni, le remunerazioni relative al lavoro subordinato svolto a bordo di aeromobili in traffico internazionale sono imponibili soltanto nello Stato nel quale è situata la sede della direzione effettiva dell'impresa”
“Nonostante le precedenti disposizioni, le remunerazioni relative al lavoro subordinato svolto a bordo di aeromobili impiegati in traffico internazionale da un’impresa di una Parte Contraente sono imponibili solo in detta Parte”
“Nonostante le precedenti disposizioni, le remunerazioni relative al lavoro subordinato svolto a bordo di aeromobili in traffico internazionale sono imponibili soltanto nello Stato Contraente nel quale è situata la sede della direzione effettiva dell'impresa”
Da quanto appena riportato, nei casi di cui ai capi A e B il diritto di tassare i redditi spetta a entrambi i Paesi interessati:
La situazione cambia drasticamente nei casi di cui ai capi C, D ed E. In tali fattispecie, infatti, solo – rispettivamente – Singapore, Hong-Kong ed Emirati Arabi Uniti hanno il diritto esclusivo di tassare i redditi eventualmente percepiti da dipendenti residenti in Italia, posto che assume rilevanza solamente il Paese del datore di lavoro, mentre risulta assolutamente ininfluente la nazione di residenza del lavoratore.
Ulteriore annotazione: le disposizioni convenzionali specificano che la disciplina si applica alle remunerazioni relative al lavoro subordinato svolto a bordo di aeromobili in traffico internazionale. Conseguentemente, tale normativa non riguarda:
Nello specifico, è sempre il modello convenzionale (in genere, nell’art. 3) a definire l’espressione "traffico internazionale", come:
“Qualsiasi attività di trasporto effettuato per mezzo di un aeromobile da parte di un'impresa la cui sede di direzione effettiva è situata in uno Stato, a eccezione del caso in cui l'aeromobile sia utilizzato esclusivamente tra località situate nell'altro Stato”.
Esempio:
Un Airbus A320 dell’Air France svolge la tratta Roma Fiumicino / Milano Linate.
In questo caso, non siamo di fronte a un aereo impiegato in traffico internazionale secondo quanto stabilito dal modello convenzionale.
Per ovviare alla regola in questione e poter comunque vendere anche tali tipologie di tratte, le compagnie aeree hanno studiato un accordo noto col nome di: “code-share”. In sostanza, riprendendo l’esempio appena descritto, la tratta in questione (Roma Fiumicino / Milano Linate) è regolarmente operata dal vettore italiano (Alitalia), ma i biglietti vengono venduti anche in Francia, dalla locale compagnia di bandiera, previa aggiunta del codice di volo Air France a quello originale Alitalia. Accade così che uno stesso volo riporti anche tre/quattro differenti codici di altrettante compagnie straniere, previo specifico accordo di code-share. Con detto sistema, viene di fatto elusa la regola convenzionale concernente la definizione di “aeromobili utilizzati in traffico internazionale”, laddove la compagnia aerea intenda – in aggiunta al resto – poter pure operare dal punto di vista commerciale esclusivamente presso le località di uno Stato straniero.
Per altro verso, ragionando in termini teorici, uno stesso dipendente potrebbe essere impiegato sia in tratte domestiche che internazionali. Al riguardo, le convenzioni non prevedono uno specifico criterio di prevalenza. Pertanto, se il personale fosse impiegato anche solo una volta nell’anno in un aereo utilizzato sia in traffico domestico che internazionale (e sempre che ciò non risultasse ostativo a eventuali clausole inserite nel contratto di assunzione del personale in parola), si renderebbe comunque applicabile, per tutto il periodo d’imposta interessato, la sopra richiamata disposizione normativa stabilita dalla convenzione in tema di tassazione degli stipendi.
Pur riservandoci di tornare eventualmente sul punto in altra specifica occasione al fine di meglio approfondirne gli aspetti, pare doveroso far presente che l’intera disciplina qui riepilogata in relazione al personale di volo impiegato dalle compagnie aeree, analogamente si applica (mutatis mutandis) anche ai marittimi in servizio a bordo di navi, parimenti impiegate in traffico internazionale. Tale analogia, viceversa, non si rende possibile per quanto concerne l’applicazione delle c.d. “retribuzioni convenzionali”.
Come noto, in base all’art. 51, comma 8-bis, TUIR:
“Il reddito di lavoro dipendente, prestato all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell'arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale”.
Per contro, però, l’Agenzia delle entrate (Circolare 20/2011) ha evidenziato che:
“La mancata previsione nel decreto ministeriale del settore economico nel quale viene svolta l’attività da parte del dipendente costituisce motivo ostativo all’applicazione del particolare regime”.
Orbene, le anzidette “tabelle convenzionali” contengono il settore “trasporto aereo”, ma non includono il settore marittimo. Pertanto (sempre rifacendoci al I e II esempio di cui sopra), sia Laura che Jean, in osservanza al principio della tassazione mondiale, dichiareranno in Italia gli stipendi esteri percepiti sulla base delle “tabelle convenzionali” (sempre ovviamente che il loro contratto di lavoro consenta di individuare il corrispondente “inquadramento italiano”). Al contrario, un marittimo che si trovasse in situazione contrattuale e fiscale analoga, dovrebbe necessariamente dichiarare il totale degli stipendi esteri effettivamente incassati.
In sede di conclusioni pare solo il caso di ricordare che, ai fini del calcolo del credito spettante in Italia sulle imposte versate all’estero a titolo definitivo, i redditi di lavoro dipendente andranno sempre indicati al lordo di eventuali benefit e al netto dei contributi previdenziali versati, rapportandone l’importo all’euro (laddove ricevuti in valuta straniera).