La risposta ad interpello n. 199 del 22 marzo 2021 ha una struttura semplice, e l’Agenzia delle entrate avalla una pianificazione fiscale talmente lineare da permettere quasi di dubitare che ci fosse bisogno di una istanza di interpello.
Eppure, considerato che di tanto in tanto l’interpretazione dell’abuso del diritto fatta dall’amministrazione finanziaria riserva delle sorprese, bene ha fatto il contribuente a tutelarsi con la richiesta preventiva, offrendo peraltro l’opportunità di sviluppare qualche riflessione su di un tema piuttosto ricorrente e di individuare delle linee guida che potrebbero tornare utili anche nell’analisi di altre fattispecie.
Ricordiamo preliminarmente che l’attuale disciplina dell’abuso del diritto, contenuta nell’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente (legge n.212/2000), parte dalla valutazione della natura del vantaggio fiscale conseguito, per poi analizzare, solo se questo vantaggio fiscale risulta indebito, le modalità eventualmente artificiose, o meglio prive di sostanza economica, dell’operazione in esame, l’essenzialità del vantaggio fiscale conseguito (che di fatto si accompagna sempre all’assenza di sostanza economica) e le eventuali valide ragioni extrafiscali non marginali che abbiano indotto al compimento dell’operazione posta in essere.
Nel caso in esame, la partita si gioca interamente sul campo della natura (e della stessa esistenza, come vedremo) del vantaggio fiscale, non rendendosi necessaria l’analisi degli altri elementi costitutivi dell’abuso del diritto.
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Un contribuente possiede due partecipazioni rilevanti, nelle società Alfa (60%) e Beta (100%), che intende conferire in una holding di nuova costituzione da lui interamente partecipata, avvalendosi della disciplina di cui all’articolo 177, comma 2, del TUIR.
Secondo la norma richiamata, nota anche come regime del realizzo controllato o della neutralità indotta, ai fini della determinazione della plusvalenza da conferimento il valore delle partecipazioni è determinato in misura pari all’incremento del patrimonio netto della conferitaria, anziché in base al valore normale come da regola generale, e perciò può essere fissato in un importo tale da ridurre o azzerare la plusvalenza stessa.
Fin qui nulla di particolare, se non fosse che il contribuente istante ha già un contratto preliminare firmato per la vendita della partecipazione nella società Alfa, per cui il conferimento appare a prima vista privo di rilevanza strategica, e destinato ad essere seguito, entro massimo due anni, dalla cessione della partecipazione Alfa da parte della holding conferitaria. Il trasferimento della partecipazione sarebbe, quindi, solo un passaggio intermedio prima della vendita definitiva, e permetterebbe di non assoggettare la plusvalenza all’imposta del 26% (Irpef sulla plusvalenza), ma, in presenza dei presupposti (ed in particolare trascorsi dodici mesi dal conferimento) al regime della partecipation exemption (pex) di cui all’articolo 87 del TUIR, con imposta dell’1,2 per cento (Ires sul 5% della plusvalenza).
Nell’istanza sono evidenziati i vantaggi di natura extrafiscale del conferimento, individuati nella più efficiente gestione della governance delle partecipate (nel caso della Alfa per poco tempo, evidentemente), nella maggiore facilità di accesso per nuovi soci e nella centralizzazione della tesoreria; tuttavia, senza voler entrare nel merito della validità di questi vantaggi, preferiamo ritenere l’operazione effettuata con un mero intento di pianificazione fiscale, ed analizzarne la legittimità solo in riferimento al risparmio conseguito, per sottolineare che essa sarebbe stata al riparo da ogni contestazione anche se esclusivamente finalizzata a pagare meno imposte.
Prima è opportuno, però, richiamare alcuni aspetti dell’applicazione al caso in esame del regime della partecipation exemption, sulla quale anche la risposta n.199 si sofferma.
In particolare, si è già accennato al fatto che, allo scopo di integrare tutti i requisiti di cui all’articolo 87 del TUIR, sarebbe necessario far trascorrere dopo il conferimento il tempo richiesto dalla disciplina (che prevede la possibilità di ottenere l’esenzione solo per le partecipazioni possedute dal primo giorno del dodicesimo mese antecedente alla cessione). L’Agenzia ha a tal proposito rilevato come l’intento da parte della holding conferitaria di dismettere la partecipazione Alfa in breve tempo (massimo due anni, secondo i termini del preliminare) non sembra sposarsi con un altro requisito necessario all’applicazione del regime, ovvero quello dell’iscrizione della partecipazione nell’attivo immobilizzato; il contribuente, da parte sua, ha invece precisato nell’istanza che l’iscrizione nell’attivo immobilizzato sarebbe giustificata dall’attività di regia esercitata dalla holding durante il periodo di detenzione della partecipazione Alfa. Il punto non è ulteriormente approfondito nell’istanza, e non lo svilupperemo qui, perché non intacca il ragionamento e le valutazioni circa un eventuale abuso del diritto.
Un altro aspetto analizzato è l’applicazione, al caso in esame, dell’articolo 177, comma 3, del TUIR, che rimanda all’articolo 175, comma 2, dello stesso TUIR: si tratta di una norma di carattere antielusivo, in base alla quale chi conferisce partecipazioni prive dei requisiti di accesso al regime della pex, ottenendo in cambio partecipazioni che vi possono accedere, non può beneficiare del regime del realizzo controllato, dovendo invece determinare la plusvalenza secondo la regola ordinaria (ovvero in base al valore normale). In questo modo, si evita che si possa utilizzare il regime di neutralità per convertire partecipazioni imponibili in partecipazioni esenti.
Nel caso in esame, secondo la tesi del contribuente, che trova concorde l’Agenzia delle entrate, questa regola non deve essere applicata perché il conferente è una persona fisica, in quanto tale non soggetta alla disciplina delle plusvalenze destinata ai soggetti Ires, per i quali la norma antielusiva è stata introdotta (è evidente che la disposizione intende evitare comportamenti strumentali da parte di società, mentre una persona fisica per il semplice fatto di conferire la partecipazione in una società soggetta all’Ires converte una partecipazione imponibile in una partecipazione esente, con effetto del tutto fisiologico).
Venendo ora all’essenza dell’interpello, il contribuente chiede se possa configurare abuso del diritto la sottrazione della plusvalenza al suo regime “naturale” di assoggettamento ad Irpef al 26%, in favore della più mite imposizione da pex in capo alla holding conferitaria. Insomma, il contribuente, già impegnatosi con un contratto preliminare a vendere la partecipazione, generando una plusvalenza da assoggettare ad Irpef, vorrebbe deviare il carico fiscale su di una società di capitali che potrebbe pagare un’imposta notevolmente inferiore. Sembra evidente che, messa in questo modo, l’operazione fino a poco tempo fa sarebbe stata censurata dall’Agenzia delle entrate in quanto fattispecie di abuso del diritto.
Correttamente, invece, nella risposta n.199 l’Agenzia delle entrate esclude qualunque profilo elusivo, motivando la legittimità dell’operazione sulla base della considerazione che la successiva – sia pure eventuale - distribuzione da parte della holding dell’utile realizzato grazie alla plusvalenza azzera il vantaggio fiscale, essendo soggetta alla medesima imposta della plusvalenza realizzata direttamente dalla persona fisica.
Qualche parola in più sarebbe stata gradita, perché quanto riportato è condivisibile ma non esaustivo. Si potrebbe aggiungere, infatti, che nel caso in esame, invece di indagare la natura del vantaggio fiscale, come avviene nella normalità dei casi, si deve constatare che il vantaggio fiscale è del tutto assente. L’approccio corretto all’analisi dell’abuso del diritto in casi come quello in esame (operazioni c.d. lineari), infatti, presuppone la comparazione tra due percorsi che conducono al medesimo risultato, che nel caso in esame si ottiene solo quando la ricchezza derivante dalla vendita della partecipazione Alfa raggiunge il titolare persona fisica.
Perciò, confrontare il carico fiscale della persona fisica con quello della holding, per rilevare che il secondo è inferiore e si è conseguito un vantaggio fiscale, ed indagarne la natura, non è il modo giusto di procedere: in un caso, infatti, la ricchezza generata dalla vendita resterebbe alla società, nell’altro arriverebbe al socio.
Rendendo comparabili le due situazioni, con la distribuzione del dividendo derivante dalla plusvalenza al socio, si rileva addirittura che il passaggio attraverso la holding comporta un aggravio del carico fiscale. Questo porta a concludere che il conferimento che il contribuente istante vuole effettuare non comporta alcun vantaggio fiscale e non si rende necessario procedere alla verifica della presenza degli elementi costitutivi dell’abuso del diritto.
Resta inteso, però, che il vantaggio temporaneo che il conferimento in una holding permette di conseguire è, dal punto di vista imprenditoriale, tutt’altro che irrilevante, perché può consentire, sfruttando l’effetto “leva fiscale”, di impiegare le maggiori somme di cui la holding può disporre, rispetto alla persona fisica, per effettuare nuovi investimenti in attività economiche capaci di generare ulteriore ricchezza.
Questa operazione, che rappresenta una semplice pianificazione fiscale permessa dal nostro ordinamento, è sempre possibile, anche in presenza di un impegno alla cessione di una partecipazione già preso. Nonostante l’esistenza di un preliminare, come nel caso della risposta che abbiamo qui commentato, il contribuente persona fisica può, quindi, ugualmente decidere di conferire la partecipazione in una holding, maturare i requisiti della pex, e godere della tassazione ridotta senza incorrere in alcuna censura.