L’articolo 110 del decreto legge n.140/2020, come ormai sappiamo, ha introdotto la possibilità di rivalutare i beni d’impresa presenti nei bilanci delle società in corso al 31 dicembre 2019, da cui molti soggetti trarranno benefici civilistici e fiscali.
Questa, però, non è una norma creata per favorire l’assegnazione dei beni, ed i particolare degli immobili, ai soci! Vediamo perché.
Innanzitutto, il beneficio della rivalutazione potrebbe essere raccolto – ai fini dell’assegnazione - solo nel quarto esercizio successivo, e quindi, per semplicità, tra poco circa tre anni; nel frattempo, la società dovrebbe sottostare alla disciplina delle società di comodo (art. 30 della legge 724/94) applicando per tre anni le penalizzazioni ivi previste sui valori rivalutati e non più sui valori storici, e questa in molti casi potrebbe essere una criticità.
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Ma questo appena evidenziato sarebbe il minore dei problemi, almeno per le società di capitali. Per queste ultime, infatti, non bisogna perdere di vista che la disciplina dell’assegnazione prevede due momenti impositivi distinti, ancorché contestuali:
- il primo, quando la fuoriuscita a titolo gratuito del bene dà luogo a plusvalenza (da valutare al valore normale, non essendoci un corrispettivo, art. 86, comma 1, lett. c) del T.U.I.R.);
- il secondo, quando la ripartizione di riserve di utili (dividendi) dà luogo a reddito di capitale in capo al socio, con valorizzazione anche in questo caso ancorata al valore normale del bene (art. 47, comma 3 del T.U.I.R.).
La distribuzione di utili può anche essere evitata, nel caso in cui la posta del passivo da annullare abbia natura di riserva di capitale o finanziamento soci (ferma restando la necessaria osservanza delle rispettive discipline fiscali).
Comunque, ove si volesse approfittare della rivalutazione per ridurre il carico fiscale dell’assegnazione di un immobile, non pare che il beneficio sarebbe particolarmente allettante, perché si dovrebbero pagare due imposte sostitutive sul maggiore valore: una del 3% per la rivalutazione fiscale, ed una del 10% per l’affrancamento del saldo attivo di rivalutazione (altrimenti la riserva che si crea in contropartita della rivalutazione non è distribuibile ai soci se non con il pagamento delle imposte ordinarie, Ires ed Irap, da parte della società). Seguirebbe poi l’applicazione del regime ordinario di imposizione dei dividendi in capo ai soci, con applicazione di una ritenuta del 26% sul dividendo.
Resterebbero dovute, infine, le imposte indirette (Iva, registro, ipocatastali, a seconda dei casi).
Diversa si presenta la situazione delle società di persone, perché il doppio momento impositivo non c’è, e tutto si risolve nella tassazione per trasparenza della plusvalenza da assegnazione. Resta, comunque, la necessità di affrancare il saldo attivo della rivalutazione con l’imposta del 10 per cento, perché, in caso contrario, la sua distribuzione fa diminuire il costo fiscale della partecipazione, con effetti reddituali (se il valore dell’immobile supera il costo fiscale della partecipazione).
In definitiva, il carico fiscale per le società di persone sarebbe un po’ inferiore a quello delle società di capitali, ma comunque non tale da invitare a mettere in atto un’assegnazione.
Resta da valutare la situazione delle società di persone in contabilità semplificata. Per questi soggetti, come più volte ribadito dall’Agenzia delle entrate (a partire dal par. 1.3 della circolare n. 18/E/2006), “non opera la disposizione che prevede la tassazione del saldo attivo di rivalutazione”, il che dovrebbe significare che il pagamento del 3 per cento, ferma restando la necessità di attendere il quarto periodo d’imposta successivo, esaurisce quanto dovuto per le imposte dirette, senza che vi sia alcuna altra pendenza (a parte le imposte indirette, da valutare).
Ecco, allora, individuato l’unico caso in cui si potrebbe valutare il ricorso alla disciplina delle rivalutazione con lo scopo di assegnare un bene ai soci. Resta, però, la necessità di una accorta valutazione caso per caso, mirata alla determinazione:
- del valore normale del bene (affinché esso sia interamente affrancato con l’imposta sostitutiva del 3 per cento);
- delle imposte indirette da versare;
- degli effetti della necessaria attesa di tre esercizi prima dell’assegnazione.
Non sembra una buona idea, invece, quella di trasformare una società di capitali in società di persone in regime di contabilità semplificata (ricorrendone i presupposti), perché ai sensi dell’articolo 170, comma 4, del T.U.I.R., la riserva da rivalutazione, non ricostituita nella contabilità semplificata post trasformazione, sarebbe imputata interamente ai soci per trasparenza.