È notizia di oggi che alcuni dei sindacati dei commercialisti hanno predisposto un documento programmatico chiamato “Insieme per lo sviluppo”, suddiviso in 11 punti analitici, da sottoporre al MEF e alla base dei commercialisti. Non stupirà nessuno sapere che questo documento non è stato sottoscritto da tutti i sindacati di categoria.
Il documento nasce dall’ipotesi di concertare una ipotesi di cosiddetta “riforma fiscale” con i commercialisti, da cui è nata una commissione di esperti presieduta dal presidente del CNDCEC e coordinata dal direttore dell’Osservatorio conti pubblici italiani.
Tuttavia, ricordando le recenti esperienze degli Stati generali dell’economia e della cosiddetta Commissione Colao, che nessun impatto di ordine pratico hanno avuto (rappresentando di fatto soltanto una vetrina), molte perplessità permangono sull’effettiva utilità di questa concertazione.
L'articolo continua dopo la pubblicità
Molto si è già parlato su come potrebbe essere strutturata l’ipotetica riforma fiscale, anche se, in molti casi, più che vere ipotesi sembrano piuttosto suggerimenti, che possibilmente resteranno inascoltati. Ad oggi quel che appare più certo è che la riforma si baserà sulla rimodulazione degli scaglioni Irpef, che indubbiamente presentano delle rigidità facilmente superabili.
Come da tradizione italiana, per ogni riforma c’è un modello estero da adottare, e in questo caso piace molto la progressività continua alla tedesca che permetterebbe di superare il sistema degli scaglioni di imposta. Importanti economisti hanno fatto notare, però, quanto questo sistema sia opaco, in quanto non permette una immediata identificazione dell’aliquota reale, e come, in un sistema che presenta una fascia di detassazione alla base, la progressività venga concretamente realizzata anche da una sola aliquota.
Quel che risulta più importante notare è il fatto che la rimodulazione delle aliquote o degli scaglioni di una imposta progressiva non rappresenta una riforma fiscale, in quanto non modifica l’imposta nel suo funzionamento specifico e neanche nell’impatto generale che questa ha sul sistema fiscale. A cambiare sarebbe piuttosto la quantizzazione dell’imposta da riscuotere.
Una riforma fiscale che non tocca le questioni più sensibili e con maggior impatto sull’efficienza del sistema fiscale, è dubbio che possa legittimamente dirsi “riforma fiscale”.
Non è un caso se il presidente di Confindustria, nei primi giorni di ottobre, ha espresso perplessità sull’efficacia di una rimodulazione dell’Irpef senza una contestuale riforma complessiva del sistema fiscale. Il dubbio condivisibile è che questa rappresenti una occasione per migliorare la capacità di riscossione delle imposte e non per riformare e migliorare l’efficienza sistemica.
A bene vedere, l’ipotesi che quella in corso sia fondamentalmente una riforma della riscossione piuttosto che una riforma fiscale, non è infondata.
Sotto l’indirizzo dell’Agenzia delle Entrate, ormai da molti anni assistiamo a una progressivo ma radicale cambiamento del modo di utilizzare le informazioni fiscali che sta modificando il sistema della riscossione in profondità.
Abbiamo visto nascere l’obbligo della trasmissione telematica delle certificazioni uniche, le fatture elettroniche, i corrispettivi telematici, abbiamo visto nascere il 730 precompilato, e vedremo la Dichiarazione IVA precompilata e probabilmente altro.
Di recente i vertici dell’agenzia hanno proposto di superare il meccanismo del saldo e dell’acconto delle imposte per gli autonomi attraverso una ipotesi di versamento mensile delle imposte, attuabile grazie alla trasmigrazione ad un sistema di cassa pura.
A guardare il quadro nel suo complesso, l’idea che si ha è che l’amministrazione finanziaria dello stato abbia in programma di predisporre le dichiarazione dei redditi a tutti i contribuenti persone fisiche, anche imprenditori.
I commercialisti, che tradizionalmente soffrono per un fronte poco compatto della categoria, nell’ultimo decennio hanno rappresentato un importante ingranaggio di questo sistema, permettendo di fatto all’Agenzia delle Entrate, come intermediari, di acquisire una sempre maggiore quantità di informazioni, senza richiedere però un adeguato tornaconto.
Si ci chiede quale sarà il futuro di questa categoria professionale, in un contesto in cui gli adempimenti fiscali delle persone fisiche risulteranno predisposte dall’Agenzia delle Entrate, il soggetto incaricato alla riscossione delle imposte.
Indubbiamente per i grandi studi professionali, che si dedicano a società e a consulenza settoriale, l’impatto non sarà rilevante; molto diversa potrebbero essere le prospettive, invece, per i tantissimi piccoli studi, spesso composti dal solo professionista in modo individuale, e per i giovani che iniziano la professione, che tradizionalmente trovano nel data entry e nella consulenza fiscale alle persone fisiche una parte considerevole del loro lavoro.