L’iscrizione in un albo professionale presuppone la volontà del contribuente di esercitare tale attività in modo abituale e continuativo, fatto che preclude la possibilità di avvalersi del cosiddetto “lavoro autonomo occasionale” per le prestazioni tipiche della professione esercitata.
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Per le sempre maggiori difficoltà ad avviare con successo una attività professionale, da un lato, e per una non immotivata repulsione ad aprire una posizione IVA, se non assolutamente necessario, dall’altro, negli ultimi anni è divenuta abitudine sempre più diffusa, presso i giovani professionisti ma non solo, quella di utilizzare il cosiddetto Lavoro autonomo occasionale per dichiarare al fisco dei redditi di modesto importo.
Tuttavia è impossibile non notare come molto spesso ci sia un utilizzo non corretto di questo strumento, da molti utilizzato per qualsiasi tipologia di attività lavorativa, diversa dal lavoro dipendente, liberamente usufruibile in caso di redditi annui di importo inferiore a cinque mila euro.
Occorre richiamare come invece, questa tipologia di contratto, disciplinato civilmente dall’articolo 2222 del Codice civile, e fiscalmente dall’articolo 67 comma 1 lettera l del TUIR (per un approfondimento della disciplina fiscale si può vedere l’articolo I redditi “occasionali” nella dichiarazione dei Redditi 2020, richieda, per essere correttamente inquadrato, dei requisiti specifici: che l’attività espletata sia di lavoro autonomo e che questo lavoro sia meramente occasionale, elementi entrambi imprescindibili.
Non rappresenta invece un limite l’importo dei cinque mila euro annui, che segna solo il limite tra la porzione di reddito da assoggettare a imposizione contributiva e quella esentata.
Tra l'altro, nonostante gli ordini professionali ne abbiano più volte scoraggiato l’utilizzo, questa forma contrattuale è stata anche utilizzata da molti professionisti iscritti in albi professionali, per dichiarare fiscalmente compensi di modesto importo, in luogo dell’apertura di una posizione IVA.
Recentemente, in merito è intervenuta l’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n.41/E del 15 luglio 2020, che, sfruttando il caso specifico di un medico, coglie l’occasione per fare il punto della situazione sull’argomento.
Se pur vero che un tale documento rappresenti soltanto un documento di prassi senza forza di legge, bisogna pur dire che l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate per il fatto concreto è credibile e condivisibile.
L’agenzia delle Entrate, correttamente, puntualizza che “i requisiti di professionalità e abitualità sussistono ogni qualvolta un soggetto ponga in essere con regolarità, sistematicità e ripetitività una pluralità di atti economici coordinati e finalizzati al conseguimento di uno scopo; mentre non si realizzano solo nei casi in cui vengano posti in essere atti economici in via meramente occasionale”: definizione che segna in modo chiaro la linea di confine tra lavoro autonomo abituale, per il quale è richiesta necessariamente una posizione IVA, e il lavoro autonomo occasionale.
L’agenzia delle Entrate prosegue notando come “l’iscrizione all’albo, richiesta per poter esercitare l’attività, risulta indicativa […] della volontà del professionista di porre in essere una pluralità di atti coordinati e finalizzati all’esercizio della professione”.
Ne consegue che, secondo questa interpretazione, condivisibile, il professionista iscritto in un albo, che consegue redditi professionali, in ogni caso sarà obbligato all’apertura di una partita IVA, all’emissione della fattura, e a dichiarare il compenso come reddito di lavoro autonomo abituale.
Questo non vuol dire che chiunque sia iscritto ad un albo professionale non possa espletare delle prestazioni di lavoro autonomo occasionale, ma che non può farlo per la tipologia di attività professionali che vengono attratte alla professione esercitata, fermo restando il diritto a farlo per attività di diversa tipologia.
Bisogna puntualizzare, infine, come questo punto di vista, da parte dell’Agenzia delle Entrate, rappresenti una presa di posizione più netta rispetto al passato sul tema: si ricorda infatti come ancora nel 2015, con la Risoluzione n.88/E del 19 ottobre, l’agenzia scriveva che “l’iscrizione volontaria in apposito albo professionale può costituire indizio di abitualità”, passando così, oggi, dalla possibilità alla certezza.