Come è noto dal primo luglio del corrente anno si applicherà il dispositivo di cui all’art 4 octies D.L. n. 34/2019, che prevede l’obbligo da parte dell’agenzia delle Entrate di invitare i contribuenti al contraddittorio prima di emettere avvisi di accertamento riguardanti imposte sui redditi e addizionali, contributi previdenziali, ritenute, imposte sostitutive, IRAP, IVA, IVIE e IVAF.
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Sull’obbligo del contraddittorio in ambito tributario si è incentrato un intenso dibattito in dottrina, e sul punto ha preso posizione anche la giurisprudenza di legittimità.
La querelle deriva dal fatto che il diritto dell’Unione Europea pone un obbligo generalizzato nell’ambito di un procedimento amministrativo e tributario di contraddittorio endoprocedimentale.
Invero, al fine di assicurare il diritto alla difesa e ad una buona amministrazione ex art 41 dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, prima di emettere un provvedimento amministrativo che incida sulla sfera giuridica di un soggetto è necessario prendere atto delle sue osservazioni ed eventuali doglianze.
Il provvedimento emesso in violazione del contraddittorio endoprocedimentale è illegittimo e suscettibile di annullamento. Orbene, mentre in dottrina si è sostenuta l’applicabilità generalizzata di tale istituto, la Cassazione a sezione unite n. 24823/2015 ha posto un discrimine tra tributi armonizzati, quali l’IVA, e non armonizzati, quali, ad esempio, IRAP, tributi locali etc.
La Suprema Corte ha affermato che la violazione dell’obbligo di contraddittorio determina l’invalidità dell’atto esclusivamente per i tributi armonizzati fermo restando, in caso di violazione, la dimostrazione della cosiddetta prova di resistenza da parte del contribuente in sede di mediazione/ricorso. Secondo i giudici del massimo consesso, unicamente per i tributi armonizzati il diritto dell’Unione sarebbe immediatamente applicabile nel nostro ordinamento suscitando qualche motivata perplessità in seno alla dottrina più attenta.
Con l’obbligo di contraddittorio generalizzato che entra in vigore dal primo luglio del 2020 si attenua, quindi, il discrimine tra tributi armonizzati e non con l’effetto di garantire più efficacemente il diritto alla difesa del contribuente in ossequio ai principi comunitari.
L’agenzia delle Entrate con circolare n. 17 del 22 giugno 2020 interviene chiarendo la portata applicativa della novella legislativa.
Preliminarmente, l’ADE, in linea con le precedenti circolari, raccomanda l’applicazione generalizzata dell’istituto anche nei casi non obbligatori al fine di una più compiuta motivazione del provvedimento di accertamento, in un’ottica partecipativa e deflattiva del contenzioso che comporta indirettamente anche un’accelerazione delle procedure di riscossione. D’altra parte, ne precisa gli ambiti di applicazione escludendo l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale in alcune ipotesi, ossia: nei casi di motivata urgenza, allorquando sia stato rilasciata copia del Processo Verbale di Constatazione e nelle ipotesi di cui all’art 41 bis d.p.r. 600/73 ed art 54 d.p.r. 633/72, trattasi delle ipotesi di accertamento parziale. Per quanto concerne i processi verbali le conclusioni dell’agenzia non destano particolari perplessità alla luce delle già previste garanzie di cui all’art 12 co. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente il quale dispone che, “Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.
Per quanto concerne, invece, le ipotesi disciplinate dagli articoli 41 bis e 54 dei decreti citati, trattasi come noto di accertamenti parziali che derogano il principio di unicità dell’azione di accertamento senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertativa e non costituiscono, pertanto, autonomi strumenti di accertamento. Tale previsione rischia, comunque, di vanificare del tutto la portata applicativa del nuovo istituto in quanto l’evoluzione dell’attività di accertamento ha registrato un notevole incremento degli accertamenti parziali
L’agenzia raccomanda che i provvedimenti di accertamento, emessi successivamente al contraddittorio in mancanza di adesione del contribuente, abbiano una motivazione rafforzata. In conclusione , in linea con gli orientamenti comunitari, la circolare incoraggia il confronto anticipato con il duplice scopo di incoraggiare l’adesione spontanea, e, nella denegata ipotesi di rifiuto del contribuente all’adesione, emettere un provvedimento che riporti tutte le doglianze e le osservazioni verbalizzate in uno alle ragioni specifiche del mancato accoglimento, rendendo di fatto il provvedimento di accertamento meno suscettibile ad una successivo annullamento in fase contenziosa in quanto munito di una più completa motivazione
Altra nota dolente dell’istituto è rappresentato dagli effetti del mancato rispetto dell’obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, che non determina in re ipsa l’invalidità del provvedimento di accertamento. Infatti, incombe sul contribuente la cosiddetta prova di resistenza, ovvero sarà necessario dimostrare le ragioni che avrebbero determinato in concreto un diverso risultato dell’attività di accertamento allorquando si fosse attivato il contraddittorio endoprocedimentale .
La valutazione di queste ragioni è rimessa alla valutazione e convincimento del giudice adito. Si tratta, invero, di una prova quasi diabolica, ed a tal proposito, bisogna osservare che il legislatore tributario adotta uno schema giuridico analogo a quanto previsto nell’ambito della normativa generale del procedimento amministrativo, laddove all’art 21 octies, co. 2 della L. 241/90 prevede che nelle ipotesi di natura vincolata del provvedimento la violazione di norme procedimentali non determina l’invalidità’ del provvedimento. Essendo, salvo rare eccezioni, il provvedimento tributario caratterizzato dal principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, che riduce sensibilmente il margine di discrezionalità amministrativa, si possono comprendere le ragioni della compressione dei diritti del contribuente ad un “ giusto procedimento “ di matrice comunitaria, salvo osservare la sussistenza di uno stridente contrasto con i principi comunitari che impone la ricerca di un diverso e preferibile bilanciamento, prevedendo di porre a carico dell’amministrazione finanziaria l’onere di provare le specifiche ragioni che abbiano giustificato la deroga del contraddittorio endoprocedimentale.