Agli accertamenti bancari, argomentati attraverso la trasformazione dei versamenti e dei prelevamenti non giustificati in reddito imponibile, non sono opponibili le spiegazioni fornite per «masse» di movimenti, in quanto l’onere della prova in carico al contribuente deve essere soddisfatto analiticamente per singolo movimento.
A questa conclusione è giunta la CTP di Savona attraverso la sentenza n. 341/01/2017, mediante la quale i giudici savonesi hanno respinto il ricorso depositato dal contribuente.
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L'avviso di accertamento impugnato era incentrato, ai sensi dell'articolo 32 del DPR n. 600/1973, sulle indagini finanziarie. A parere della commissione, l'onere probatorio a carico dell'Agenzia delle Entrate viene adempiuto attraverso la semplice indicazione delle informazioni scaturenti dai conti correnti bancari, generandosi un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente, il quale è chiamato a comprovare, attraverso una prova non generica e per singolo movimento bancario, che le informazioni arguibili dai menzionati documenti contabili non sono ascrivibili a operazioni assoggettabili a tassazione.
L'Ufficio parrebbe tenuto pertanto a provare esclusivamente l'esistenza dei movimenti bancari mentre al contribuente competerebbe l’onere di doverli giustificare adeguatamente e, sulla scorta di tali considerazioni, i Giudici liguri hanno sostenuto, nella sentenza in esame, che il tentativo del contribuente di giustificare “per masse” i movimenti bancari, senza attribuire a ogni singolo prelievo e versamento la corrispondente prova della non rilevanza fiscale dello stesso, non assume alcuna rilevanza.
Tuttavia la Suprema Corte ha riconosciuto al contribuente la facoltà di comprovare la riconducibilità dei prelievi alla sfera personale, chiamando il Giudice a riscontrare se le somme in argomento «siano o meno compatibili, anche in relazione al dato temporale, con le ordinarie esigenze di vita» (Cassazione sent. n. 7259/2017) in considerazione della circostanza che il gravame della prova liberatoria per il contribuente, deve in ogni caso essere parametrato al genere e alla attendibilità degli elementi indiziari impiegati dall'Agenzia delle Entrate.
Ma è ancor più importante evidenziare come il co. 1 n. 2) dell’art. 32 del DPR 600/1973, che regolamenta le indagini finanziarie, dispone che le informazioni concernenti le relazioni con gli intermediari finanziari possono essere poste a base degli accertamenti disciplinati dagli artt. 38, 39, 40 e 41 del DPR 600/1973, qualora il contribuente non comprovi di averle tenute in debita considerazione nella determinazione del reddito imponibile o nel caso in cui le stesse non assumono alcuna rilevanza ai fini della sua definizione. Tale previsione interessa tutti i contribuenti e fa riferimento ai versamenti non giustificati.
La seconda parte della disciplina, dedicata esclusivamente ai contribuenti che realizzano un’attività d’impresa, prescrive che i prelevamenti e le somme riscosse nel contesto dei rapporti intercorsi con gli istituti di credito, vengano posti – in qualità di ricavi - a base dell’accertamento, qualora il contribuente non sia in grado di individuare il beneficiato e non risultino contenute all’interno delle scritture contabili.
In merito ai prelievi, che interessano esclusivamente gli imprenditori, in fase di conversione del decreto fiscale n. 193/2016, sono stati fissati dei limiti quantitativi, contemplando che esclusivamente quelli che superano le soglie di € 1.000 giornalieri e, in ogni caso, di € 5.000 mensili, hanno la possibilità di essere considerati, dall’Amministrazione Finanziaria, ricavi non dichiarati.
Tale modifica normativa conferma la tesi secondo la quale, in ambito tributario, le norme afferenti le indagini finanziarie sono disposizioni che disciplinano l’attività istruttoria e non quella di accertamento.
La norma contenuta nell’articolo 32 del DPR 600/1973 è finalizzata ad assicurare all’Amministrazione Finanziaria lo strumento per ottenere le conoscenze fiscalmente rilevanti e propedeutiche al potenziale e susseguente accertamento e pertanto non è in grado di legittimarlo autonomamente in quanto si limita ad affermare che le permutazioni finanziarie, per le quali non si è nella condizione di fornire adeguate giustificazione, devono necessariamente soggiacere ai dettami delle specifiche disposizioni afferenti l’accertamento.
Pertanto i risultati delle indagini finanziarie, non costituendo un automatismo, non sono in grado di raffigurare una presunzione legale in quanto le risultanze delle investigazioni, qualora l’Ufficio reputasse di dare seguito alla mera attività istruttoria, dovranno essere convogliate all’interno di particolari precetti disciplinanti l’accertamento tributario.