L'accertamento parziale, che impersonifica uno strumento orientato a far emergere sollecitamente la materia imponibile, non costituisce un metodo di accertamento autonomo e indipendente rispetto alle previsioni di cui agli artt. 38 e 39 del D.P.R. 600/1973 e agli artt. 54 e 55 del D.P.R. 633/1972, bensì una modalità procedurale la quale, ripercorrendo le medesime regole, ha la possibilità di fondarsi, senza limiti, anche sulla metodologia induttiva e, il correlato atto di accertamento, può essere emesso anche in presenza di una contabilità tenuta in maniera regolare.
A tale conclusione è giunta la Corte di Cassazione attraverso l’ordinanza n. 32459/2018.
L'articolo continua dopo la pubblicità
L'introduzione dell'art. 41 bis del D.P.R. 600/1973 e del co. 5 dell’art. 54 del D.P.R. 633/1972 è avvenuta con il D.P.R. 309/1982, in risposta all'esigenza, avvertita dall'Ufficio, di procedere ad accertamenti scaturenti da una serie di controlli incrociati o da comunicazioni di soggetti anche esterni, senza la necessità di effettuare un apprezzamento valutativo afferente la posizione complessiva del contribuente.
Il quadro di riferimento è stato modificato attraverso la previsione, di cui al co. 405 dell'art. 1 della L. 311/2004, che ha sostanzialmente recepito le indicazioni contenute nella circ. 235/E/1997 e pertanto, per effetto di tale previsione normativa, si potrebbe giungere alla conclusione che lo strumento dell'accertamento parziale possa trovare applicazione anche in assenza della prova diretta dell'evasione e, di conseguenza, qualora la rettifica risulti essere fondata su delle semplici presunzioni scaturenti dalla richiamata attività istruttoria.
Agendo in questa maniera, tuttavia, verrebbe delegittimato il principio dell’affidamento nonché del diritto di difesa del contribuente in quanto, l'Agenzia delle Entrate, avendo la possibilità di utilizzare in quasi tutte le circostanze l'istituto dell'accertamento parziale, potrebbe provvedere a reiterare l'attività di accertamento senza sottostare ai vincoli, di cui al co. 4 dell'art. 43 del D.P.R. 600/1973, disposti per gli accertamenti integrativi.
Il co. 4 dell’art. 43 prevede, infatti, che l'esercizio dell'ulteriore azione accertatrice risulta possibile, a pena di nullità, esclusivamente in presenza della sopravvenuta conoscenza di elementi nuovi e, pertanto, a seguito dell’emersione di circostanze che non risultavano conoscibili dall'Agenzia, utilizzando i poteri ordinari a sua disposizione, al momento del primo accertamento. Inoltre, la possibilità di emettere reiteratamente accertamenti parziali in dispregio ai principi che ne limitano l'operatività, provocherebbe anche delle rilevanti conseguenze sul piano processuale.
È doveroso pertanto rilevare che deve sussistere necessariamente un limite nella reiterazione di atti impositivi parziali in quanto, qualora l’Agenzia delle entrate dovesse emettere più atti parziali fondati sul medesimo presupposto, l'atto impositivo successivo al primo risulterebbe illegittimo (Cass. sent. n. 1150/2010) in quanto l'Amministrazione finanziaria è tenuta a utilizzare sin dal primo momento e, pertanto, a far confluire nel primo accertamento parziale, tutti gli elementi di cui risulta essere a conoscenza.
Considerato, infatti, che la finalità dell'accertamento parziale è quella di accelerare l'azione accertativa per effetto del principio di efficacia e del buon andamento dell'azione amministrativa, non si comprende la ragione per la quale l’Agenzia non debba inserire nell'accertamento parziale tutti gli elementi di cui dispone in relazione al contribuente. Tutto ciò al fine di evitare che gli elementi acquisiti unitariamente in origine, debbano in seguito essere contestati al contribuente separatamente, limitando la possibilità di impostare una strategia difensiva organica e d'insieme.