Il decreto Rilancio prevede l’abbuono del saldo e del primo acconto Irap, in scadenza a giugno 2020, per tutte le imprese, ma la norma, applicata ai singoli casi concreti, può avere un impatto anche notevolmente diverso a seconda dei casi.
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Con l’articolo 27 del decreto Rilancio, ancora ad oggi solo in bozza, si dispone che:
- non è dovuto il saldo dell’Irap per l’anno d’imposta 2019;
- non è dovuto il primo acconto dell’Irap per l’anno d’imposta 2020.
Che, non a caso, sono i due pagamenti previsti per la prossima scadenza di giugno 2020.
Fin da subito molti operatori si sono domandati: ma con precisione, questi “sconti” di imposta come dovrebbero funzionare?
La domanda non è affatto scontata, in quanto la disposizione in esame non risulta essere assolutamente chiara.
I motivi delle perplessità derivano dal fatto che la norma dispone un risparmio dell’imposta non basato sull’imposta dovuta, ma su saldi e su acconti, che si basano sulle risultanze di periodi imposta diversi da quello di competenza.
Quale sarà l’imposta Irap di competenza del 2019 da iscrivere in bilancio, quella che concretamente (a prescindere dal momento del pagamento) le aziende versano all’erario per quel dato anno?
Sarà il minor importo tra l’imposta effettivamente dovuta per il 2019 normalmente calcolata, e la somma degli acconti calcolati con il metodo storico previsti per il 2019, che, a sua volta, altro non è che un ammontare pari al 90% o al 100% (a seconda delle dimensioni dell’impresa) dell’imposta Irap dovuta nel 2018.
Questo, in parole povere, vuol dire che se una azienda per il 2019 avrà una imposta superiore a quella che aveva nel 2018, conseguirà un vantaggio fiscale tanto più grande quanto maggiore sarà l’imposta dovuta. Invece una azienda che avrà nel 2019 una minor imposta rispetto al 2018, non conseguirà nessun vantaggio fiscale.
Per quanto riguarda invece il taglio del primo acconto dovuto per l’anno d’imposta 2020, il calcolo è più semplice, ed equivale al 40% dell’ammontare dell’imposta dovuta per l’anno 2019. Fin da subito sono sorti, da più parti, dubbi se questo doveva essere considerato un vero e proprio taglio d’imposta o solo un rinvio del pagamento, ma sembrerebbe confermato (e si spera che la questione venga chiarita in sede di testo definitivo del decreto) che il taglio d’imposta possa essere considerato a titolo definitivo.
Anche in questo caso, salta subito in evidenza come, essendo l’agevolazione basata sulla storicità dell’imposta, si possa facilmente creare una sostanziale iniquità tra le imprese: una azienda che avrà nel 2020 una flessione dell’imposta dovuta rispetto al 2019, beneficerà di un taglio dell’imposta netta, in termini percentuali, per il 2020, tanto più grande quanto maggiore sarà la riduzione dell’imposta, arrivando persino, in ipotesi, a poter avere un credito Irap grazie al versamento figurativo di un ammontare equivalente al 40% dell’imposta del 2019.
E le nuove imprese, quelle che hanno iniziato l’attività nel 2019 e nel 2020?
Bisogna partire dalla considerazione che una impresa al primo anno di attività non versa saldo e non deve acconto, acconto che non può essere calcolato con il metodo storico, non esistendo per queste un anno d’imposta precedente che faccia da riferimento.
Questo cosa comporta per le aziende che hanno iniziato l’attività nel 2019 e nel 2020?
Le imprese che hanno iniziato l’attività nell’anno di imposta 2019, non avendo versato acconto nel 2019 in quanto non dovuto, presumibilmente potranno godere dello stralcio del saldo IRAP, che per loro consiste nel 100% dell’imposta dovuta.
Al contrario, i contribuenti che hanno iniziato l’attività nell’anno d’imposta 2020, non avendo saldo IRAP da versare, essendo al primo anno di attività, e non dovendo versare acconti, presumibilmente a giugno 2021 dovranno versare a saldo l’intera IRAP dovuta per l’anno 2020: quindi per loro l’agevolazione sarà dello 0% dell’imposta dovuta. Ci si chiede se queste imprese possano calcolare il loro sconto d’imposta sull’imposta effettivamente dovuta per il 2020: a leggere la norma in bozza, ci sono grandi e fondate perplessità che questo sia possibile.
Non si può fare a meno di chiedersi se una diversa impostazione della norma, facendo riferimento all’imposta dovuta più che ai versamenti dell’imposta, non potrebbe permettere un profilo di maggiore equità tra le imprese.