A parere della Cassazione, nell’ipotesi in cui una società risulti cessata, il giudizio prosegue nei confronti dei componenti la compagine sociale persino nella circostanza in cui la medesima non abbia riscosso alcunché dal riparto finale del patrimonio sociale.
Questo innovativo assioma è rappresentato nella sentenza n. 9094 del 07/04/2017. La riforma del diritto societario ha modificato l'art. 2495 c.c. fissando uno stretto collegamento tra cancellazione dal registro delle imprese ed estinzione della società, così che la suddetta eliminazione determina l’irreversibile estinzione dell’ente societario.
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Sino alla pubblicazione della sentenza in commento la giurisprudenza della Suprema Corte aveva sempre sostenuto che, qualora i soci non avessero percepito nulla durante la liquidazione della società, il contenzioso introdotto dal creditore insoddisfatto si estingueva per assenza della controparte.
Tuttavia la sentenza n. 9094/2017 inverte tale orientamento affermando che la circostanza rappresentata non rileva ai fini della legittimazione passiva dei soci, in ogni caso debitori al posto dell’ente cessato, che pertanto possono essere condannati a rimborsarne i debiti sociali rimasti insoluti, tra i quali rientrano a pieno titolo anche i debiti tributari.
Tutto ciò rappresenta una “strambata” epocale da parte degli Ermellini che tuttavia rischia di trasformarsi in un mero postulato teorico in quanto, una condanna così formulata, non consente ai creditori di assalire il patrimonio degli ex soci della società cancellata, ma esclusivamente di rivalersi nei confronti di eventuali «sopravvenienze attive su beni e diritti non contemplati nel bilancio» delle quali la compagine sociale potrebbe essere stata beneficiaria.
Pertanto il creditore, ottenuta la sentenza di condanna nei confronti degli ex soci alla corresponsione dei debiti sociali non onorati in seguito alla cancellazione dell’ente, dovrebbe attivarsi per individuare eventuali sopravvenienze attive che garantirebbero il titolo per rivalersi sul patrimonio personale degli ex soci al fine di soddisfare il credito vantato nei confronti della società estinta.
La responsabilità nei confronti dei soci risulta essere di tipo civilistico e non in solido con la società. La natura civilistica dell’art. 36 del D.P.R. n. 602/1973 viene confermata dalla Corte di Cassazione (sent. n. 16446/2016) la quale ha stabilito che quella della norma citata risulta “una particolare ipotesi di responsabilità per obbligazione propria ex lege, ed ha natura civilistica e non tributaria, in quanto trova il suo fondamento in un credito civilistico fondato sulla violazione degli artt. 1176 e 1218 c.c., non ponendo detta norma alcuna coobbligazione di debiti tributari a carico di tali soggetti”.
La responsabilità dei soci stabilita dall’art. 36 scaturisce da una obbligazione tributaria non assolta dalla società, che può verificarsi soltanto quando l’imposta sia stata prima accertata nei confronti della società o, perlomeno, iscritta in ruoli anche provvisori. Pertanto la compagine sociale può essere chiamata a rispondere, in base al disposto dell’art. 36 del D.P.R. n. 602/1973, solamente se, e nei limiti in cui, l’amministrazione sia in grado di dimostrare l’esistenza di una obbligazione tributaria non assolta da parte della società.
Di conseguenza la responsabilità stabilita dall’art. 36 del D.P.R. n. 602/1973 riguarda, per le società cancellate dal registro delle imprese entro il 12/12/2014, esclusivamente l’IRES e non le sanzioni.