L’emergenza epidemiologica da Covid-19, tra le altre cose, solleva alcune incertezze in tema di adempimento delle obbligazioni, che il legislatore con la frenetica produzione legislativa susseguitasi negli ultimi tempi (Decreto Legge n. 19 del 25 marzo 2020 e da ultimo il DPCM del 25 aprile 2020) ha solo in parte contribuito a risolvere.
Con lo scopo di contenere e contrastare la diffusione del c.d. Coronavirus sono state introdotte dalla legislazione d’emergenza alcune “misure di contenimento”, che in generale consistono in significative limitazioni della libertà personale di tutti i cittadini, ai quali salvo poche eccezioni è stato fatto obbligo di rimanere presso le proprie residenze, nonché all’esercizio delle attività commerciali, molte delle quali sono state espressamente vietate.
Il tema è comprendere l’effetto dell’infezione pandemica sulle obbligazioni e sui contratti nonché, in particolare, in quali fattispecie essa possa essere invocata, anche in considerazione delle “misure di contenimento” (le quali prevedono oltre alla limitazione della circolazione sul territorio dei cittadini anche il divieto di esercitare numerose attività commerciali, professionali ed imprenditoriali), come causa legittima di totale o parziale impossibilità all’adempimento di obbligazioni o giusta ragione per risolvere un contratto.
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Tra le norme prodotte, il primo riferimento specifico è dato dall’art. 28 del Decreto Legge n. 9 del 2 marzo 2020 con il quale si è stabilito il rimborso per i titoli di viaggio ed i c.d. pacchetti turistici, precisando che “ai sensi e per gli effetti dell’art. 1463 c. c.” per tali rapporti “ricorre l’impossibilità sopravvenuta della prestazione” a causa dei provvedimenti restrittivi assunti per evitare la diffusione del contagio.
L’efficacia di tale disposizione è stata estesa successivamente dall’art. 88 del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020 anche ai contratti di soggiorno, oltre che a quelli aventi per oggetto l’acquisto di biglietti per spettacoli, musei ed altri luoghi della cultura, rispetto ai quali viene legittimata la risoluzione “di diritto” per impossibilità totale della prestazione.
Il provvedimento citato da ultimo, inoltre, modifica l’art. 3 del Decreto Legge n. 6 del 23 febbraio 2020, inserendo un ultimo comma (6 bis) il quale prevede che “il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”. Tale norma è rimasta sostanzialmente immutata anche dopo la Legge di conversione.
La responsabilità del debitore inadempiente e l’impossibilità sopravvenuta della prestazione per cause a lui non imputabili.
L’art. 1218 Codice civile prevede che “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
Precisa il successivo art. 1223 Codice civile che il danno risarcibile è costituito dalla “perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”.
La prima parte dell’art. 1218 Codice civile individua in via indiretta il concetto di adempimento come l’esecuzione esatta della prestazione da parte del debitore, così che questo dovrà essere ritenuto inadempiente non solo quando omette di prestare del tutto l’obbligazione dovuta ma anche quando la esegue in modo parziale.
D’altra parte, unica esimente per il debitore è la circostanza che il difetto della prestazione sia derivato da una “causa a lui non imputabile” successiva alla nascita dell’obbligazione e non è superabile con uno sforzo normale da parte del debitore che rientri nella diligenza da questo dovuta (art. 1176 Codice civile).
L’impossibilità sopravvenuta della prestazione è un impedimento assoluto, oggettivo e soggettivo (Cass. n. 845 del 1979), che ostacola l’adempimento della prestazione dovuta ed il debitore non è in grado di superare né di prevenire e che comporta ai sensi dell’art. 1256 Codice civile l’estinzione dell’obbligazione.
Essa può avere fondamento naturale o fondamento giuridico (factum principis) e si distingue dalla mera difficoltà che, al contrario, è un ostacolo che rende più oneroso l’adempimento superabile con la dovuta diligenza (il sarto non è esonerato a consegnare l’abito a causa dell’esaurimento della stoffa, essendo questa comunque reperibile) ovvero circostanze esterne all'obbligazione che pregiudichino l'interesse del creditore a conseguire la prestazione: “l’obbligo di consegnare l'abito rimane fermo anche se, ad es. viene annullata la festa in occasione della quale il creditore intendeva indossarlo (Bianca, Diritto civile, IV, Milano, 1995, 545)”.
Nei contratti c.d. sinallagmatici, dove vi è un rapporto di reciproca condizionalità nelle prestazioni (compravendita, locazione ecc.), l’impossibilità sopravvenuta della prestazione comporta l’estinzione della relativa obbligazione con la risoluzione del contratto e la parte liberata non ha diritto alla controprestazione ma deve restituire quella che abbia già ricevuto, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito (art. 1463 c.c.).
Tuttavia, quando la prestazione è divenuta solo parzialmente impossibile per una parte l’altra può chiedere una corrispondente riduzione di quella dovuta (ad es. riduzione del prezzo) o recedere dal contratto nel caso in cui non abbia interesse all’adempimento parziale (art. 1464 c.c.).
In tal senso è interessante segnalare una decisione della Cassazione secondo cui “l’impossibilità sopravvenuta della prestazione produce la liberazione del debitore solo se consiste in un impedimento oggettivo, assoluto e definitivo, mentre la mera difficoltà dell'adempimento o l'impossibilità temporanea della prestazione producono soltanto la sospensione del contratto” (Cass. n. 794 del 1979).
Ovviamente, in caso di contenzioso l’intensità, l’attitudine e più in generale l’idoneità delle cause quali esimenti totali o parziali ai sensi delle regole descritte è valutata dal giudice, secondo il suo “prudente apprezzamento” ai sensi dell’art. 116 Codice di procedura civile.
La pandemia e le misure di contenimento quali cause non imputabili al debitore che rendono totalmente o parzialmente impossibile l’obbligazione. Il “rimedio” dell’art. 3, comma 6 bis del Decreto Legge n. 6 del 23 febbraio 2020.
È innegabile che l’infezione pandemica da Covid 19 e le conseguenti “misure di contenimento” fissate dal Governo abbiano avuto e continuino ad avere conseguenze significative in tutto il Paese e si riflettono in maniera profondamente negativa anche sulla capacità di adempiere esattamente le obbligazioni assunte sia da un punto di vista diretto (si pensi all’industria che ha dovuto sospendere la produzione e che conseguentemente non è in grado di onorare i propri ordini nei tempi in cui si era impegnata) che indiretto (il commerciante che ha visto diminuire in maniera importante i propri ricavi e dunque non è in grado di onorare i propri debiti).
Così, è certamente ammissibile che la Pandemia e le misure di contenimento possano essere in generale ed astrattamente considerate cause di estinzione totale o parziale delle obbligazioni o diversamente come causa di risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta.
Per quanto riguarda il rimborso dei titoli di viaggio e pacchetti turistici oltre che per i contratti di soggiorno ed i biglietti per spettacoli, musei ed altri luoghi, gli artt. 88 e 88 bis del Decreto Legge n. 18 hanno espressamente individuato alcune ipotesi specifiche rispetto alle quali ricorre “in automatico” la sopravvenuta impossibilità della prestazione ex art. 1463 Codice civile.
È interessante notare che la risoluzione con riferimento ai pacchetti turistici è stata in passato già affermata dalla Cassazione in un precedente in cui la causa dell’impossibilità della prestazione era proprio un evento infettivo (febbre dengue) che aveva colpito una destinazione di viaggio (Cass. n. 16315 del 2007).
Al contrario, l’art. 3 co. VI, bis, è un precetto di carattere generale rispetto al quale appare piuttosto evidente che esso abbia una portata estremamente limitata sul piano sostanziale, così da assumere la veste di un precetto molto generale ed esclusivamente di carattere “orientativo”.
Diversamente a quanto stabilito dai citati articoli 88 e 88 bis, infatti, non è stato stabilito alcun nesso causale “vincolante” tra le misure di contenimento (o, in ogni caso la Pandemia qualora si voglia dare una lettura estensiva alla norma), e lo scioglimento del debitore incolpevole dal vincolo di eseguire esattamente l’obbligazione.
La norma in esame impone solo di valutare sempre dette circostanze ai fini dell’esclusione della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardi, senza tuttavia che le stesse abbiano valore di prova legale non rimessa alla valutazione del giudice ai sensi dell’art. 116 Codice procedura civile ma predeterminata.
Dunque, la valutazione del fatto non imputabile al debitore così come la sua efficacia causale nel rendere irrealizzabile la prestazione rimane comunque lasciata al “prudente” apprezzamento di merito del giudice, con l’unica novità che egli non può mai prescinderne nel processo di formazione del giudizio secondo quanto previsto dall’art. 116, II co. Codice procedura civile (Cass. n. 845 del 1979).
Peraltro, una diversa e più stringente interpretazione della norma nel senso di attribuire alle citate misure di contenimento efficacia presuntiva di prova legale, ancorché relativa, a favore del debitore appare francamente eccessiva anche se il legislatore avrebbe potuto (alla stregua di quanto fatto per il rimborso dei titoli di viaggio, dei pacchetti turistici, dei contratti di soggiorno dei biglietti per spettacoli) individuare, anche se non in maniera esaustiva, nei settori più esposti alle conseguenze degli eventi pandemici le fattispecie più “sensibili” per le quali l’impossibilità sopravvenuta della prestazione fosse dichiarata ex lege per il debitore.
Così, in concreto la disposizione in esame poco aggiunge sul piano sostanziale al sistema già previsto dal Codice poiché in pratica, anche in assenza di tale norma, qualora il debitore chiamato a rispondere dell’inadempimento eccepisse le misure di contenimento a sua discolpa, il giudizio avente per oggetto proprio la rilevanza di queste quali esimenti liberatorie, ai sensi dell’art. 1218 Codice civile sarebbe comunque rimessa al giudizio di merito del giudice.
D’altra parte, anche in vigenza della stessa norma in esame, nel caso in cui l’esimente eccepita non sia propriamente una misura di contenimento di cui all’art. 3, comma VI bis, ma più in generale qualunque diversa conseguenza dell’infezione pandemica, in ogni caso il giudice dovrà effettuare una valutazione del fatto libera e prudente, analogamente a quanto previsto da tale disposizione.
Si potrebbe porre, inoltre, il problema di chiarire se la valutazione delle esimenti in esame possa essere effettuata anche d’ufficio, in assenza di una specifica eccezione delle parti, ma questa francamente pare un’ipotesi più che altro teorica che concreta, ancorché la prudenza faccia propendere per una soluzione positiva.
A ben vedere, la previsione dell’art. 3, co. VI bis, sebbene possa essere considerata un “rafforzativo” della disciplina civilistica già in essere, ad una analisi attenta è destinata con ogni probabilità ad esplicare i suoi effetti più significativi sul piano processuale, quanto all’obbligo di motivazione della sentenza previsto in primis dal dettato costituzionale (art. 111, VI co. Cost.), al fine di consentire il controllo logico e giuridico della decisione del giudice.
Infatti, ai sensi dell’art. 132 Codice di Procedura Civile e dell’art. 118 delle relative Disposizioni di attuazione la sentenza deve contenere, tra l’altro, la succinta motivazione delle ragioni giuridiche della decisione, al fine di evidenziare il processo cognitivo attraverso il quale il giudice è “passato dalla sua situazione d'iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio (Cass. n. 24784 del 2015)”
Così, è innegabile che nei giudizi volti ad accertare l’incidenza delle misure di contenimento sul mancato adempimento delle obbligazioni non possa omettersi l’espressa ancorché succinta esposizione da parte del magistrato riguardo alla valutazione di tali misure, così che l’omessa indicazione espressa di tale elemento si risolverebbe in un vizio della sentenza.
La mancanza di tale valutazione integrerebbe nei casi più eclatanti l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 Codice di procedura civile e dunque un gravame che legittimerebbe l’impugnazione della sentenza innanzi alla Corte di Cassazione.
Pare ragionevole credere che l’infezione virale per le modalità con le quali si è sviluppata nonché per la gravità, straordinarietà ed imprevedibilità della sua evoluzione abbia tutte le caratteristiche di una “causa non imputabile al debitore”, che legittimerebbe i rimedi descritti nelle norme sopra menzionate.
Analogamente dicasi per le c.d. misure di contenimento le quali rappresentano in concreto un impedimento di natura giuridica all’esercizio delle attività economiche, che in alcuni casi sono state completamente proibite per opera dei provvedimenti legislativi e governativi (factum principis).
È del tutto probabile, quindi, che in futuro vi sarà un aumento del ricorso in sede giudiziaria ai rimedi introdotti dalle norme in esame, con particolare riferimento a quanto disposto dal co. VI, bis dell’art. 3.
Così che, si dovrà verificare in concreto se l’infezione virale o le misure restrittive delle attività economiche fin qui adottate abbiano avuto come conseguenza immediata e diretta l’impossibilità di adempiere l’obbligazione in maniera assoluta o parziale, temporanea o definitiva, nonché l’assenza di qualunque contributo causale in capo alla parte che reclama di essere liberata.
In tema è interessante notare che la giurisprudenza ha affermato che per le obbligazioni pecuniarie l'impossibilità della prestazione ai fini dell'estinzione dell'obbligazione non può consistere nella mera impotenza economica derivante dall'inadempimento di un terzo nell'ambito di un diverso rapporto obbligatorio (Cass. n. 25777 del 2013).
Conseguentemente, a titolo esemplificativo, il mancato pagamento di un credito a suo favore non potrà di per sé essere eccepito dal debitore quale circostanza liberatoria per l’adempimento di un credito vantato da altri nei suoi confronti.
Come si è visto, eccezion fatta per alcune limitatissime ipotesi, non vi è alcun automatismo tra tali rimedi e la liberazione dalla responsabilità per il debitore o più in generale l’estinzione (totale o parziale) dell’obbligazione, rimanendo tutte queste circostanze subordinate all’accertamento giudiziario.
Conseguentemente, i contenziosi eventualmente instaurati esporranno le parti a significativi tempi d’attesa per la definizione delle relative controversie.
Così, al fine di evitare lunghi e dolorosi contenziosi dall’esito spesso incerto e la cui definizione tarda rischia di non portare alcun sostanziale beneficio anche per la parte che dovesse vedere riconosciute le proprie ragioni, sembrerebbe opportuno seguire la strada di una “riduzione concordata ad equità” dei contratti, anche provvisoria per tutto il periodo di durata dell’emergenza pandemica, ricercando nel merito una soluzione economica che contemperi con equilibrio gli interessi delle parti.