Con ripetute sentenze la Cassazione accoglie la tesi favorevoli alla neutralità dell’atto di dotazione del trust affermando l’inapplicabilità, tanto dell’imposta di registro, quanto la mancanza dell’arricchimento del trustee che riceve i beni in temporanea titolarità (legal ownership), nell’esclusivo interesse del beneficiario (equity ownership).
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Numerose sono le sentenze delle Commissioni Tributarie Provinciali, come confermate dalle Commissioni Tributarie Regionali, favorevoli alla neutralità dell’atto di dotazione del trust, che superano a pieni voti il vaglio dei giudici della nomofilachia i quali hanno inteso affermare l’inapplicabilità, tanto dell’imposta di registro in quanto atto privo di “contenuto patrimoniale” della traslazione (da non confondere col “contenuto di valore economico” della prestazione, al più rileverebbe in senso civilistico giammai in quello fiscale) che, per l’effetto, non realizza il presupposto impositivo, quanto la mancanza dell’arricchimento del trustee che, per l’effetto, non genera la capacità economica e contributiva in considerazione del fatto che esso, per diritto e non solo convenzionale, è unicamente il soggetto fiduciario affidatario dei beni del trust fund, che li riceve in temporanea titolarità (legal ownership), nell’esclusivo interesse del beneficiario (equity ownership), al quale li dovrà trasferire indefettibilmente al termine finale di durata, emergendo, di tal guisa, in capo ad esso medesimo, l’espressione di ricchezza che genera il presupposto impositivo (Cassazione n. 25478/15; n. 21614/16; n. 975/18; n. 13626/18; n. 15469/18; n. 31446/18; n. 15456/19; 15455/19; n. 30816/19; n. 30821/19; n. 16699/19; n. 16701/19; n. 16702/19; n. 16703/19; n. 16704/19; n. 19167/19; n. 1131/19; n. 15453/19; n. 2901/20; n. 32392/20; n. 2897/20;)n. 2898/20; n. 2900/20; n. 2902/20; n. 4163/20; n. 7003/20).
Giova osservare, come, in questo lustro appena trascorso, la Corte di Cassazione abbia inteso esercitare, con le numerose elaborazioni giurisprudenziali univoche, la funzione giurisdizionale che le è propria fornendo un indirizzo interpretativo “uniforme” in ambito di tassazione degli atti di dotazione del trust, salvo minoritari pronunciamenti i quali apparivano idiosincratici più per una esigua e particolare casistica di trust giunti al vaglio, ma che portavano con sé quell’alone di frode tanto vaneggiato, da un generale quanto insipienti immaginario collettivo, distraendo di fatto l’interprete, che per una tranquilla comprensione del fenomeno, come la stessa progressiva elaborazione giurisprudenziale si incaricherà di dimostrare.
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Viene in rilievo, non con stupore, come, i superiori pronunciamenti, diacronici oramai, qui in rassegna, che peraltro vede sullo stesso piano quella dottrina che ha sapientemente divulgato gli enzimi per la metabolizzazione del trust, hanno sancito la neutralità fiscale dell’atto di dotazione per essere privo di contenuto patrimoniale e, per l’effetto dunque, tassabile con la sola imposta d’atto, non rilevando il fine causale che per lungo tempo è stato foriero di contrastanti dibattiti alla spasmodica ricerca di un inquadramento fiscale, per ogni tipo di trust, impossibile come poi risulterà alla luce di una sincronica lettura delle norme che hanno fatto emergere le peculiarità dirimenti dell’istituto segregativo.
In fatti, la L. 364/89, art. 2 Conv. non a caso definisce il “trust” come un rapporto giuridico istituito, inter vivos o mortis causa, da una persona detta “disponente” qualora dei “beni” siano stati posti sotto il controllo di un “trustee”, nell'esclusivo interesse di un “beneficiario” o per uno “scopo”, costituendo, di tal guisa, una massa distinta e distante dal suo patrimonio personale e famigliare potendo essere intestati indifferentemente a sé o ad altro soggetto per suo conto. Egli, in fatti, è investito del potere e onerato dell'obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o disporre detti beni secondo i termini del trust e le norme particolari impostegli dalla legge.
Ne consegue, ineludibilmente, che l’intestazione di detti beni al trustee è solo formale e non sostanziale al punto tale da essere giuridicamente estranei al cospetto dei suoi creditori, del suo fallimento, del suo matrimonio, della sua successione, etc. e come tale, la traslazione di questi, come la conseguente intestazione a sé medesimo, è fittizia e, dunque, funzionale al ri-trasferimento definitivo al beneficiario al quale è tenuto, in termini perentori, a consegnarlo al termine del negozio di segregazione. Ecco come, per tali ragioni, l’atto di dotazione nel trust, non porti con sé il contenuto patrimoniale, giusta l’art. 9 della tariffa di registro, Parte I, tipico del corrispettivo di trasferimento e dell’arricchimento che esprimerebbe la capacità contributiva, come vuole l’art. 53 della Costituzione.
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In vero, gli elementi, imprescindili, attorno ai quali opera un trust, come noto, sono il disponente, il fondo e il beneficiario (the three certainties) che presuppongono la segregazione di un patrimonio (che per l’occasione lo potremmo definire property in cloud) funzionale alla realizzazione di un programma ben stabilito che per sua stessa natura non consente destinazioni diverse salvo quelle negoziali. Per ciò, essa, verosimilmente, è munita di uno statuto proprietario che determina sì assetti precostituiti, ma che non identifica alcun effetto economica e patrimoniale nella sfera dei soggetti del trust, salvo per il beneficiario, ma al termine finale di durata.
Pertanto, altro non rappresenta che un disciplinare -che come tale va osservato- per la gestione della proprietà senza dubbio difforme dagli stilemi classici civilistici noti, ma non per questo astrattamente elusiva, che realizza una mediata e futura traslazione di ricchezza, sia che si tratti di trust familiari liberali in funzione successoria o di passaggio generazionale, sia che si tratti di trust di scopo o di garanzia che liberali non sono; in ambe due ipotesi, in fatti, la manifestazione di ricchezza è realizzata mediante la traslazione definitiva dei beni dal trustee al beneficiario al verificarsi dello scopo, o fine, con conseguente carico tributario del soggetto in favore del quale si compie il ri-trasferimento dei beni del fondo.
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Condivisibile è l’orientamento espresso dalla Corte Suprema, con le richiamate sentenze e ordinanze, la quale ha sapientemente stabilito che il momento impositivo in ambito trust non è realizzato al trasferimento dei beni dal disponente al trustee ma all’eventuale successivo trasferimento a quest’ultimo da parte del trustee cui sì connettere le imposte di successione e donazione ex D. L. n. 262 del 2006 art. 2, comma 47, come convertito con modificazioni dalla L. n. 286 del 2006 che peraltro include anche i vincoli di destinazione.
Va ribadito al riguardo, ancora una volta, come il cit. art. 2 della Convenzione de l’Aja del 195, evidenzi, sostanzialmente, l’impossibilità del trustee di giovarsi dei beni del trust non potendo esercitare le prerogative proprietarie, che gli sarebbero proprie ove il trasferimento fosse sostanziale, quindi, dette limitazioni altro non fanno che confermare il carattere formale della traslazione a tutto vantaggio del carattere transitorio il quale, per l’effetto, è gestorio lato sensu, con l’onere, a volte retribuito a volte no, della prestazione gravata da responsabilità aquiliana la quale peraltro prescinde dal carattere oneroso o gratuito.
Il trasferimento al trustee, si ripete, è atto neutro la cui causa concreta risiede non già nell’arricchimento, ma nel fine negoziale o scopo e tanto in quanto non realizza il presupposto dell’imposta che, come informa l’art. 23 della Costituzione, è elemento posto a fondamento della piramide impositiva dalla quale risalire l’apotema della soggettivazione passiva fino a giungere alla cuspide cui è connessa e desunta la capacità contributiva del soggetto in favore del quale si compie il trasferimento, (Art. 53 Cost.).
Ed allora, per una esatta e puntuale valutazione del fatto impositivo in presenza di trust occorre un esame critico scevro da condizionamenti preconfezionati che non deve -come spesso accade- orientare lo sguardo al trasferimento di apparente ricchezza dal disponente al trustee, ma deve valutare in primis se tale traslazione sia definitiva e in che misura realizzi il reale arricchimento di quest’ultimo o del beneficiario, a nulla valendo, nella fattispecie, i relativi titoli di legal o equity ownership che sappiamo essere, per il primo, effimero e temporaneo, per il secondo, di attesa e dovuto, status, questi, giuridicamente non spendibili fuori dal perimetro del diritto dei trust in vigenza di trust. Dunque, il momento impositivo si identifica nel termine finale di durata del negozio il quale implica, salvo diversamente disposto dal disponente, l’attribuzione del trust fund al beneficiario che di tal guisa porta con sé il connesso carico fiscale per effetto della traslazione definitiva dei beni.
Tuttavia, non va sottaciuto, come possa accadere, che, al termine finale di durata del trust, non vi siano beni da attribuire al beneficiario, per essere stati venduti al fine di dover assolvere ai bisogni negoziali come le elargizioni in denaro e il sostenimento dei costi inerenti la gestione del trust, ma senza che tanto possa mai configurare una sottrazione all’imposta di beni, in quanto, a ben vedere, ne hanno dovuta scontare una, ben più elevata, in occasione della loro alienazione a titolo oneroso a terzi; infatti, ove la traslazione si fosse verificata nei confronti del beneficiario finale l’erario si sarebbe giovato di un minor gettito riferito alla imposta di successione e donazione, che, come noto, è inferiore fino a neutralizzarsi del tutto salvo non superare la franchigia nel caso di beneficiario discendente erede; dunque, il fatto in sé considerato dimostra come il trust sia potenzialmente un volano d’imposta e non già elusivo, e tanto in considerazione del fatto -di non poco conto- che esso compie le attività tipiche quali, prime fra tutte, la tutela di interessi meritevoli, il passaggio generazionale, la compravendita immobiliare, investimenti finanziari, produzione industriale, commercio, etc., e, quanto più alto sia il suo trust fund tanto più gettito fiscale produrrebbe; salvo che si voglia istituire, sotto mentite spoglie, sic et sempliciter, una nuova e ulteriore tassa che colpisca, ancora una volta, il patrimonio, ma a tanto deve poterci pensare il decisore politico per il quale il tema del trust, evidentemente, non lo riguarda affatto; fortunatamente.
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I pronunciamenti in esame della Corte Suprema, con i quali peraltro ha superato il contrasto giurisprudenziale creatosi in tema di vincolo, hanno ribadito che il vincolo di destinazione rappresenta una fattispecie della liberalità e non già autonomo centro di imputazione da esercitarsi al di fuori del contesto di cui all’art. 2, comma 47 e ss. del D. L. 262/2006 a nulla valendo interpretazioni restrittive quanto illogiche e, dunque, contrarie all’orientamento costituzionale.
In vero, va osservato, come il citato D. L. 262/06 art 2, comma 47, altro non fa che reintrodurre una (sola) imposta, ossia quella sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito “e (anche) sulla costituzione di vincoli di destinazione” secondo le disposizioni concernenti la medesima imposta, di cui al D. Lgs. 346/90 nel testo vigente alla data del 24-10-2001; in fatti, per quanto d’interesse, va rilevato come nel Testo Unico non compaia articolato di sorta, tanto meno riferimenti alcuni, dedicato alla disciplina del vincolo di destinazione che facesse ritenere istituita una nuova imposta autonoma e disaggregata dal contesto successorio-donativo.
Eppertanto, il presupposto dell’imposta rimane sostanzialmente quello stabilito dall’art. 1 del citato D. L. ossia il “(reale) trasferimento di beni o diritti” al beneficiario di ultima istanza (Cass. n. 25478/15; n. 21614/16; n. 975/18; n. 13626/18; n. 15469/18; n. 31446/18; n. 16699/19; n. 16701/19; n. 16702/19; n. 16703/19; n. 16704/19; n. 19167/19; n. 1131/19; n. 15453/19; n. 2901/20; n. 32392/20; n. 2897/20;) e come se ciò non bastasse, è stato ribadito altresì che ai superiori rilievi devesi affiancare quello, non meno rilevante, legato alla capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione e al contenuto patrimoniale dell’atto, di cui all’art. 9 della tariffa di registro, Parte I, D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.
Viene in emersione in fine, in virtù del superiore principio di neutralità fiscale dell’atto di dotazione, come anche il trust testamentario, analogamente ai trust inter-vivos, non realizzando la immediata successione del patrimonio del de-cuius, il trasferimento dei beni al trustee, che vede beneficiari futuri, è parimenti atto neutro, quindi, privo di contenuto patrimoniale che, come tale, non realizza il presupposto impositivo e la capacita contributiva del trasferitario temporaneo dal momento che non è compiuta la traslazione definitiva al beneficiario, seppur erede.
Conclusioni
All’esito, possiamo ben affermare che il principio di neutralità dell’atto dotativo del trust è consolidato essendo connaturato, a nulla rilevando peraltro la causa, giusta le superiori elaborazioni giurisprudenziali di legittimità ci hanno dimostrato, in quanto: non è una liberalità o donazione diretta, semmai, a tutto voler concedere, indiretta; non rappresenta un vincolo di destinazione bensì una segregazione patrimoniale a termine per il raggiungimento di un fine meritevole di tutela legale; non è dotato di contenuto patrimoniale essendo il trasferimento dei beni al trustee una pura formalità negoziale che non realizza alcun presupposto impositivo, pertanto, in ogni caso, sconta unicamente l’imposta d’atto rinviando al termine finale di durata la tassazione, avuto riguardo al rapporto intercorrente tra disponente e beneficiario intestatario dei beni finali.
Alla luce di tanto, va osservato, con compiacimento di chi scrive, che il trust annovera un ulteriore elemento di pregio che a buon diritto lo lancia nell’agone degli atti negoziali del nostro ordinamento in particolare in quelli privi di contenuto patrimoniale che lo rendono di fatto idoneo strumento giuridico a disposizione dell’autonomia privata, più di quanto non fosse stato in passato, per la gestione di patrimoni segregati, semplici o complessi che siano, in neutralità d’imposta.
Giunti fin qui, ci si aspetta, conseguentemente, a rigor di logica, che l’Agenzia delle Entrate processasse una nuova ed emancipata circolare in ambito della fiscalità del trust anche al fine di porre rimedio al proliferare di inutili e costosi contenziosi i quali, essendo di intralcio, costituiscono impedimento allo sviluppo dei mercati che di essi, l’erario, si nutre. Ci riuscirà? ai posteri l’ardua sentenza.
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