In prospettiva, l’emergenza epidemiologica Coronavirus è inevitabilmente destinata – una volta esauritesi le proroghe adottate dal Governo – a proiettare i suoi effetti destabilizzanti anche sugli adempimenti di carattere tributario, con particolare riferimento al versamento dell’IVA. Ed invero, il fatto che sia intervenuto il Governo (con il Decreto “Cura Italia” n. 18/2020) a differire il versamento dell’imposta sul valore aggiunto è già di per sé indice di una situazione di crisi.
È infatti agevole immaginarsi che le ombre lunghe dell’epidemia sul sistema economico – lungi dal dissolversi – coinvolgeranno anche il post-differimento, ponendo il soggetto obbligato dinanzi all’angosciante alternativa rappresentata dal se adempiere mettendo a rischio l’esercizio della attività di impresa oppure rimanere inadempiente, destinando la provvista all’attività in attesa di tempi migliori, nel contempo salvaguardandone il potenziale occupazionale.
Nello specifico, il problema che si pone – o meglio, si porrà – è quello di chiarire, una volta cessata la sospensione dei versamenti decretata dal Governo, cosa accadrà con gli adempimenti tributari, posto che – come è ampiamente prevedibile – lo stato di crisi non cesserà con il venir meno dell’emergenza sanitaria e delle sue misure di contenimento.
In altri termini, ci si chiede quali sorti spetteranno a coloro che fino ad oggi – in linea con gli adempimenti di natura fiscale – abbiano affrontato l’emergenza economico-imprenditoriale dirigendosi, in una ineluttabile alternativa secca, a destinare le residue risorse aziendali all’esigenza di garantire la continuità aziendale, magari anche nell’ottica di salvaguardia dei ruoli occupazionali e delle connesse esigenze di retribuzione dei lavoratori.
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L’introduzione e la recente evoluzione dell’art. 10-ter D.Lgs. 74/2000 – modificato dal D.Lgs. 158/2015 – è da rinvenirsi in una duplice esigenza:
Ebbene, ai sensi dell’art. 10-ter D.Lgs. 74/2000: “È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta”.
Si tratta di un reato proprio – l’agente, infatti, può essere solo il soggetto obbligato – di natura omissiva, istantaneo e punito a titolo di dolo generico , che consiste nella coscienza e volontà di non versare all’Erario le somme dovute a titolo di IVA nel momento in cui matura il tempo dell’obbligazione tributaria.
Ne deriva, dunque, che non rileva la specifica intenzione di evadere l’imposta, ma è necessario e sufficiente – per la consumazione del reato – che il soggetto obbligato ometta volontariamente il versamento dell’imposta dovuta nella consapevolezza della sussistenza dell’obbligo e della inutile scadenza del termine previsto per il pagamento.
Prevista dall’art. 45 c.p., la “forza maggiore” non viene definita dal legislatore, il quale si limita a stabilire che "...non è punibile chi ha commesso il fatto per...forza maggiore".
In assenza di una definizione normativa, la forza maggiore, infatti, si concreta in un evento derivante dalla natura o dal fatto dell’uomo che, pur se preveduto, non può essere impedito, sottraendo all’agente la coscienza e la volontarietà della condotta (vis maior cui resisti non potest, a causa della quale l’uomo non agit sed agitur).
Detto altrimenti, in presenza di un evento straordinario di forza maggiore – quale quello di emergenza sanitaria che stiamo vivendo – viene meno la colpevolezza del reato, determinando la non punibilità dell’agente.
Posto, dunque, che integra causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità – e non la semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omesso, in quanto il margine di scelta esclude sempre la forza maggiore perché non esclude la suitas della condotta – è necessario porre l’attenzione sull’elemento soggettivo del reato, connotato dalla consapevolezza dell’obbligo tributario e dalla inutile scadenza del termine. Consapevolezza che non potrebbe certo negarsi a chi omette il versamento dell’IVA per effetto delle conseguenze innescate dalla vicenda “Coronavirus”, con la conseguenza che la via della assoluzione “perché il fatto non costituisce reato” non è percorribile per il residuare di almeno un dubbio sull’elemento soggettivo.
Va, dunque, scrutata un’altra via residua e cioè la possibile configurabilità della esimente di cui all’art. 45 c.p. con riferimento alla “forza maggiore”, aprendo all’interrogativo se, in linea di principio, tali possano considerarsi gli effetti innescati dalla “pandemia”, con riferimento all’omesso versamento IVA.
In linea di principio, la giurisprudenza ritiene irrilevante la crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine entro il quale effettuare il versamento tributario . Ed invero, a parte rare eccezioni rinvenibili in talune pronunce di merito puntualmente disattese, la Cassazione è costante nel negare rilievo in termini di esimente, a situazioni di disagio economico ancorché riconducibile a fattori esterni perché, essendo il soggetto tenuto al versamento un sostituto di imposta, è tenuto ad accantonare l’IVA – riscossa dall’acquirente del bene o servizio – per poi riversarla, non potendo, dunque, venire in rilievo situazioni di difficoltà seppur non prevedibili.
Ciò laddove, invece, la forza maggiore, presupposto della esimente di cui all’art. 45 c.p., è qualcosa di diverso e di più pregnante, materializzandosi in un evento che, anche se in astratto prevedibile – come del resto quasi tutto è prevedibile in astratto – non può essere impedito. Esimente, nella specie, invocabile solo laddove derivi da fatti contingenti e imprevedibili non imputabili all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio.
Ne consegue, dunque, che la forza maggiore rileva come causa esclusiva dell’evento e non quale causa concorrente di esso, con la conseguenza che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente mai possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante .
Pertanto, si può invocare – alla luce della consolidata giurisprudenza – l’esimente in questione solo laddove derivi da fatti contingenti e imprevedibili non imputabili all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico.
Dalla definizione, pacificamente accettata, di forza maggiore appare ovvia l’applicabilità della stessa alla attuale emergenza sanitaria da Covid – 19, ben potendo essa rappresentare una causa di forza maggiore.
Posto, allora, che l’omesso versamento IVA oltre la soglia integra la ipotesi delittuosa di cui all’art. 10-ter D.Lgs. 74/2000, si tratta di vedere se ed eventualmente in quali termini, ciò sia suscettibile di risolutiva valutazione sul versante penalistico.
Con “risolutiva” si intende l’escludersi il perfezionamento del reato o l’affermarsi della sua non punibilità, perché, che una siffatta situazione di emergenza sanitaria vada a riflettersi sulla entità del trattamento sanzionatorio può, in vero, darsi per scontato. E ciò :
Il vero problema, dunque, è la configurabilità o meno del presupposto della responsabilità penale perché è a quello che si lega la problematica ulteriore dei presupposti del sequestro preventivo finalizzato a confisca.
Una prima risposta all’interrogativo può, dunque, essere fornita attraverso la affermazione che, in linea di principio, la emergenza “coronavirus” in relazione al reato di cui all’art. 10-ter D.Lgs. n. 74/2000 può integrare la esimente di cui all’art. 45 c.p. con riferimento alla forza maggiore.
Certamente, però, la applicazione di quel principio non può essere generalizzata, occorrendo coniugarlo con la variegata gamma delle fattispecie concrete, onde verificare l’effettivo impatto della epidemia sulla possibilità di assolvere al versamento di imposta.
Tanto per esemplificare, può darsi, infatti:
A ciò potrebbe aggiungersi un altro possibile scenario, ossia dare rilevanza alla crisi di liquidità come causa di esclusione del dolo – e della conseguente responsabilità penale – del reato di omesso versamento IVA, laddove venga accertato che l’impresa abbia adottato iniziative idonee a tentare di fronteggiare la crisi finanziaria, facendo ricorso – ove possibile – anche al patrimonio personale .
In tali casi, la scelta di dare prevalenza alla continuità aziendale, provvedendo al pagamento di dipendenti e fornitori, con la convinzione che ciò possa mantenere in vita l’attività di impresa, farebbe venir meno la rappresentazione nel soggetto agente della mancanza “delle risorse necessarie per assolvere a tale adempimento alla scadenza”.
Ebbene, considerato lo stato di emergenza e considerato, altresì, che molte imprese abbiano già adottato tale indirizzo – volto a prediligere la continuità aziendale sull’adempimento tributario – la soluzione, in questi casi, di ritenere non integrato il dolo del reato di cui all’art. 10-ter D.Lgs. 74/2000 potrebbe farsi strada e “salvare” tutte quelle attività che si trovano momentaneamente impossibilitate a far fronte ai tanti – forse, troppi – adempimenti fiscali.
Gli effetti della diffusione del “coronavirus” avranno – secondo un copione quasi scontato – delle conseguenze importanti anche sul fronte tributario, il quale, esaurite le misure di contenimento, dovrà adattarsi ad una situazione del tutto straordinaria per evitare il collasso dell’intera imprenditoria.
Allo stesso modo, sembra doversi chiedere tale “adattamento” anche agli imprenditori che, terminata la fase di emergenza sanitaria – ma non certamente economica – dovranno adempiere agli obblighi tributari, prestando attenzione a quanto – fino ad ora – stabilito dalla Corte di Cassazione e facendo, quindi, buon uso delle risorse finanziarie disponibili.
Al momento, quelli esemplificati sono gli esiti che possiamo con certezza prevedere salvo, come detto, ripensamenti della giurisprudenza.
In definitiva, quelle prospettate sono prognosi future che ben potrebbero verificarsi per molte delle attività imprenditoriali che con l’arrivo della crisi epidemiologica hanno avuto il “colpo di grazia” da un sistema economico già in défaillance da più di un decennio.