Speciale Pubblicato il 22/03/2020

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La decretazione d'urgenza e la Costituzione ai tempi del Covid-19

di Avv. Alessandro Cassiani

Le restrizioni della libertà devono essere previste dalla legge, il Dpcm non è lo strumento costituzionalmente previsto: arriva la prima sentenza



L’intensificarsi della situazione emergenziale che vive il nostro paese ha posto e pone tutt’ora, un’attenta analisi giuridica alla decretazione di urgenza che il Governo italiano sta attuando in questi giorni di criticità.

Decretazione di urgenza che incide su diritti fondamentali della Costituzione che, per l’ennesima volta, viene stravolta nei suoi principi fondamentali con sommo rammarico degli illustri padri costituenti.

Ma andiamo con ordine e ricostruiamo la situazione.


 

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La situazione attuale

L’epidemia (per non utilizzare il termine usato dall’O.M.S. di Pandemia, per non spaventare i lettori) di Covid19 nel nostro Paese ha assunto e assume ogni giorno, delle proporzioni importanti e preoccupanti sotto plurimi profili. Tra i tanti profili preoccupanti, si vuole sottolineare la vicenda in essere da un punto di vista giuridico – costituzionale. Si vogliono tralasciare qui le statistiche e i numeri poiché non è la sede adatta e perché questi sono in continuo aggiornamento ma è importante, ai fini del presente articolo, ripercorrere le tappe di detta diffusione.

In attesa dei dati del Meridione a seguito della “grande fuga” (per ricordare il noto film del 1963 di Sturges) è noto che le regioni più colpite, per ora sono la Lombardia, l’Emilia e il Veneto e sin da subito è apparso chiaro al Governo che la situazione emergenziale che si profilava più di un mese fa in quei luoghi, comportava la scelta di utilizzare una normativa emergenziale d’urgenza, al fine di contenere la diffusione del virus e contrastare la debacle economica imminente.

Fin dai primi giorni il Ministero della Salute ha cominciato a varare diversi D.M. fino alla deliberazione del C.d.M. del 31 gennaio u.s. che dichiarava lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale relativo al rischio sanitario connesso alle diverse patologie respiratorie gravi causate da agenti virali altamente trasmissibili che iniziavano ad interessare i vari nosocomi del nord Italia.

Va ricordato da subito che l’art. 24 del D.lgs. 1/18 sulla Protezione civile autorizza il Governo generalmente inteso, all’utilizzo di tale strumento in caso di emergenze nazionali.

Per mero tuziorismo si riporta il testo dell’art. 24 suddetto: “[…] 1. Al verificarsi degli eventi che, a seguito di una valutazione speditiva svolta dal Dipartimento della protezione civile sulla base dei dati e delle informazioni disponibili e in raccordo con le Regioni e Province autonome interessate, presentano i requisiti di cui all'articolo 7, comma 1, lettera c), ovvero nella loro imminenza, il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, formulata anche su richiesta del Presidente della Regione o Provincia autonoma interessata e comunque acquisitane l'intesa, delibera lo stato d'emergenza di rilievo nazionale, fissandone la durata e determinandone l'estensione territoriale con riferimento alla natura e alla qualita' degli eventi e autorizza l'emanazione delle ordinanze di protezione civile di cui all'articolo 25. La delibera individua, secondo criteri omogenei definiti nella direttiva di cui al comma 7, le prime risorse finanziarie da destinare all'avvio delle attivita' di soccorso e assistenza alla popolazione e degli interventi piu' urgenti di cui all'articolo 25, comma 2, lettere a) e b), nelle more della ricognizione in ordine agli effettivi fabbisogni e autorizza la spesa nell'ambito del Fondo per le emergenze nazionali di cui all'articolo 44.

2. A seguito della valutazione dell'effettivo impatto dell'evento calamitoso, effettuata congiuntamente dal Dipartimento della protezione civile e dalle Regioni e Province autonome interessate, sulla base di una relazione del Capo del Dipartimento della protezione civile, il Consiglio dei ministri individua, con propria deliberazione, le ulteriori risorse finanziarie necessarie per il completamento delle attivita' di cui all'articolo 25, comma 2, lettere a), b) e c), e per l'avvio degli interventi piu' urgenti di cui alla lettera d) del medesimo comma 2, autorizzando la spesa nell'ambito del Fondo per le emergenze nazionali di cui all'articolo 44. Ove, in seguito, si verifichi, sulla base di apposita rendicontazione, che le risorse destinate alle attivita' di cui alla lettera a) risultino o siano in procinto di risultare insufficienti, il Consiglio dei ministri, sulla base di una relazione del Capo del Dipartimento della protezione civile, individua, con proprie ulteriori deliberazioni, le risorse finanziarie necessarie e autorizza la spesa nell'ambito del Fondo per le emergenze nazionali di cui all'articolo 44.

3. La durata dello stato di emergenza di rilievo nazionale non puo' superare i 12 mesi, ed e' prorogabile per non piu' di ulteriori 12 mesi.

4. L'eventuale revoca anticipata dello stato d'emergenza di rilievo nazionale e' deliberata nel rispetto della procedura dettata per la delibera dello stato d'emergenza medesimo.

5. Le deliberazioni dello stato di emergenza di rilievo nazionale non sono soggette al controllo preventivo di legittimita' di cui all'articolo 3 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni.

6. Alla scadenza dello stato di emergenza, le amministrazioni e gli enti ordinariamente competenti, individuati anche ai sensi dell'articolo 26, subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi, nei procedimenti giurisdizionali pendenti, anche ai sensi dell'articolo 110 del codice di procedura civile, nonche' in tutti quelli derivanti dalle dichiarazioni gia' emanate nella vigenza dell'articolo 5-bis, comma 5, del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343 convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401, gia' facenti capo ai soggetti nominati ai sensi dell'articolo 25, comma 7. Le disposizioni di cui al presente comma trovano applicazione nelle sole ipotesi in cui i soggetti nominati ai sensi dell'articolo 25, comma 7, siano rappresentanti delle amministrazioni e degli enti ordinariamente competenti ovvero soggetti dagli stessi designati.

7. Con direttiva da adottarsi ai sensi dell'articolo 15 sono disciplinate le procedure istruttorie propedeutiche all'adozione della deliberazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale e i relativi adempimenti di competenza dei Presidenti delle Regioni e Province autonome e del Capo del Dipartimento della protezione civile. […]”.

Successivamente a tale deliberazione del 31 gennaio venivano emanati il Decreto Legge n. 6/2020, poi convertito nella Legge 13/20, e diversi altri D.P.C.M. del 1, 8 10 e 12 marzo u.s., decreti di attuazione della legge 13/20.

Come si nota dal lasso temporale di varo dei suddetti decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, gli stessi sono stati emanati in gran numero ed in breve tempo, in conseguenza del progressivo diffondersi del Covid19 che trasformava in zone “rosse” le regioni del nord nelle diverse provincie, fino al decreto che dichiarava l’intera nazione “zona protetta”.

Il Decreto del 10 marzo, quindi, estendeva a tutto il territorio nazionale le limitazioni previste da quello dell’8 marzo 2020.

I limiti alle libertà costituzionali

Come oramai tristemente noto, le limitazioni e le restrizioni previste dai suddetti decreti incidono su diritti fondamentali costituzionalmente garantiti. Nello specifico, gli artt. della Costituzione più incisi dai suddetti provvedimento sono il 16 ed il 17.

L’art. 16 prevede: “[…] Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza […]”.

L’art. 17 prevede: “[…] I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica. […]”.

Queste norme vanno lette, a parere di chi scrive, alla luce delle misure restrittive applicate in merito alla chiusura degli esercizi commerciali e per la ristorazione oltre alle restrizioni imposte alla libera circolazione delle persone pena le sanzioni penali e amministrative previste dal decreto.

Quanto all’art. 16, il costituente ha voluto tutelare la libertà di circolazione quale articolazione della libertà personale prevista dall’art. 13 Cost.

È importante ricordare il testo dell’art. 13 Cost.: “[…] La libertà personale è inviolabile.

Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.

In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto […]”.

La libertà personale rappresenta il diritto fondamentale più importante, e consiste essenzialmente nel diritto della persona a non subire coercizioni, restrizioni fisiche ed arresti. Esso si traduce dunque in primis in una tutela avverso gli abusi dell'Autorità e, specularmente, costituisce l'indispensabile condizione per poter godere dell'autonomia ed indipendenza necessarie per esercitare gli altri diritti fondamentali.

Fatta questa premessa, la ratio legis dell’art. 16 è, quindi, quella di preservare i singoli dalla possibilità che la libertà di circolazione sia limitata per motivi politici, ciò sulla scorta di quanto era accaduto nella vigenza del regime fascista.

L'articolo 16, quindi, afferma la libertà dei cittadini di poter circolare e soggiornare liberamente nel territorio della Repubblica, salvo le limitazioni della legge per motivi di sanità e sicurezza. Salvo gli obblighi di legge, inoltre, ogni cittadino può uscire e rientrare dal territorio della Repubblica.

Circolazione vuole intendersi come la libertà di spostarsi senza limiti, all’interno dello Stato e tale norma va letta in combinato disposto con l’art. 120 Cost. che impone alle Regioni di non vietare con alcun provvedimento tale libertà.

Da una attenta lettura si può evincere che quest’ultima discende o si inserisce nella più ampia tutela sovranazionale prevista dall’ordinamento comunitario dove viene riconosciuta la libertà di circolazione a tutti i cittadini dell'Unione (v. art. 21 TFUE; v. art. 45 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, che lo riconosce anche ai cittadini di paesi extraeuropei che si trovino legalmente nel territorio comunitario). Le libertà di circolazione e stabilimento sono, inoltre, rafforzata dall'Accordo di Schenghen.

Per quanto concerne i cittadini dell'Unione Europea, essi godono anche della libertà di stabilimento, vale a dire il diritto di svolgere, senza restrizioni, attività lavorative di qualsiasi tipo.

Solo i dipendenti pubblici subiscono delle restrizioni legate allo status di cittadino ma solo quando necessario per garantire il buon andamento della PA ai sensi dell’art. 97 Cost.

Quindi, come per l’inviolabilità della libertà personale di cui all’art. 13, le limitazioni della libertà di circolazione devono seguire l’inderogabile principio della riserva di legge, ovvero la competenza esclusiva della legislazione ordinaria a disciplinare le forme di restrizione della libertà di circolazione.

Altro inderogabile principio è quello della riserva di giurisdizione per cui solo l'autorità giudiziaria può emanare provvedimenti restrittivi (habeas corpus) ovviamente con annesso obbligo di motivazione.

Ai fini del presente articolo occorre specificare che in merito alla riserva di legge, essa è una riserva relativa per cui le limitazioni alla circolazione sono certamente possibili per motivi di sanità e di sicurezza, come nel nostro caso.

In merito all’art. 17, va detto che lo stesso, condivide la medesima ratio legis dell’art. 16 e deriva, anch’esso, all’art. 13 Cost. in merito alla libertà personale di cui la libertà di riunione ne rappresenta una manifestazione ad uso collettivo.

Nonostante la formulazione della norma, la libertà viene garantita anche agli stranieri perché ai sensi dell’art. 2 comma 4 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, anche gli stranieri possono "partecipare alla vita pubblica locale" purchè soggiornino regolarmente sul territorio nazionale.

Tale libertà, a detta della migliore dottrina costituzionalistica, permette lo sviluppo sociale della collettività, concetto, quest’ultimo, che riprenderemo più avanti.

I diritti di riunione e di associazione (di cui all'art. 18 Cost.) costituiscono le c.d. libertà collettive, che si manifestano con il contributo di più soggetti. La riunione indica il diritto di associarsi in modo non stabile ma nemmeno fortuito ed esistono varie tipologie di riunioni.

Quella che, ad oggi, interessa è quella che riguarda gli assembramenti, ovvero riunioni occasionali determinate da una circostanza improvvisa ed imprevista.

Quindi, a causa dell’epidemia, sono vietate le riunioni organizzate per fini politici o sindacali, oltre a quelle religiose e quelle spontanee anche in casa.

Da quanto emerge da questa breve analisi delle norme in commento, viene limitata la socialità. La socialità è una prerogativa dell’uomo quale “animale sociale”, è una prerogativa dello sviluppo intellettivo, è una prerogativa del mondo giovanile. Anche se la socialità non è espressamente sancita dalla Carta Costituzionale, essa rappresenta un valore desumibile dalle diverse norme che la compongono.

Sempre in tema di sviluppo in generale e sviluppo sociale in particolare, altri valori costituzionali sono stati messi a dura prova a causa della diffusione dell’epidemia quale, ad esempio, il diritto allo studio presso scuole ed Università. Certamente viene garantito il servizio on line ma tale servizio in una società, quale quella italiana, più abituata al “cartaceo” ha delle ripercussioni di notevole valore considerando i molti disagi che studenti e professori si trovano a vivere.

Tutte queste restrizioni sono state disposte da un Decreto del Presidente del Consiglio e non da legge ordinaria.

Il Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri e le critiche della dottrina

A questo punto occorre analizzare funditus questo strumento.

Il Decreto del presidente del consiglio è un atto amministrativo che non ha forza di legge e che, come i decreti ministeriali, ha il carattere di fonte normativa secondaria e serve per date attuazione a norme o varare regolamenti.

Quindi, il d.p.c.m. non costituisce una fonte del diritto autonoma, bensì la veste formale spesso attribuita ad una fonte secondaria, il regolamento appunto, qualora essa venga emanata da un Ministro nell'ambito della competenza del suo dicastero o dal Presidente del Consiglio stesso.

Tale potere regolamentare è disciplinato dall'art. 17 della Legge 23 agosto 1988, n. 400. Secondo i principi generali del diritto amministrativo, tale articolo costituisce la fonte attributiva del potere che, sulla base del sistema delle fonti disciplinato dalla Costituzione, non può essere esercitato in difetto di una specifica attribuzione di potere da parte di legge ordinaria.

Quindi, tali decreti non possono derogare, quanto al contenuto, né alla Costituzione, né alle leggi ordinarie sovraordinate. Per identico motivo, le norme regolamentari non possono avere ad oggetto incriminazioni penali, stante la riserva assoluta di legge che vige in detta materia prevista dall’art. 25 della Costituzione.

Occorre, però, distinguere tra regolamenti governativi in senso stretto e quelli ministeriali. I primi seguono un procedimento di emanazione cosiddetto aggravato in quanto essi vengono emanati con Decreto del presidente della Repubblica (D.P.R.), previa deliberazione del Consiglio dei Ministri e sentito il parere del Consiglio di Stato (obbligatorio ma non vincolante). Essi sono inoltre sottoposti al visto e alla registrazione della Corte dei conti e pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale.

I decreti ministeriali o i d.p.c.m. subiscono, invece, un procedimento meno gravoso e molto più semplificato essendo atti amministrativi (per alcuni di alta amministrazione) e non fonti legislative.

Ora, il nostro ordinamento giuridico prevede delle misure restrittive della libertà personale per motivi di salute anche gravi, quali epidemie, che, in un recente passato, hanno impegnato i dirigenti dello Stato Nazionale.

Si pensi al colera, al vaiolo o all’AIDS e si pensi al recente dibattito sulle vaccinazioni obbligatorie. Quindi, tecnicamente, in casi gravi e non soltanto pandemici o epidemici (si pensi ai TSO), lo Stato può incidere con forza su diritti costituzionalmente garantiti.

Corre l’obbligo di una specificazione. Tali restrizioni, anche nel passato, erano attuate solo e soltanto sui soggetti colpiti da tali malattie e non sulla collettività in maniera così indiscriminata. La situazione dell’epidemia da COVID 19 è una situazione che rapprea un novumsent importante, in cui, anche dall’utilizzo numeroso del mezzo del d.p.c.m., è emerso che lo Stato Italiano è, ancora una volta, risultato assolutamente impreparato.

Ritorniamo al passato sulle note del brocardo storia magistra vitae.

Ai tempi della influenza “spagnola”, che portò con se una lunga scia di decessi nel mondo, sul finire della prima guerra mondiale, non si adottarono, in Italia, misure così restrittive e così indiscriminate.

Sembra del tutto chiaro che misure restrittive così importanti rappresentano, anche sulla scorta delle esperienze passate, un vulnus sensibile all’inderogabile diritto primario all’autodeterminazione.

In un articolo dell’Eurispes di Vincenzo Macrì del 16 marzo scorso, viene detta questa frase: “[…] l’art. 32 della Costituzione prevede il diritto alla salute, ma non l’obbligo alla salute […]”. Come dice anche l’autore, il limite è uno solo che il danno cagionato a se stessi non produca danni alla collettività.

Ora, queste limitazioni cosi stringenti adottate con un provvedimento amministrativo o di alta amministrazione, hanno destato notevoli perplessità nella dottrina costituzionalistica più attenta. Come sostiene Arturo Diaconale, l'emergenza può indirizzare o abituare allo “stravolgimento dello Stato di diritto e della democrazia liberale nel nostro Paese”.

Preoccupa che si è incisa gravemente la libertà delle persone con un atto amministrativo. Per quanto la ratio dello stesso può sembrare assolutamente corretta in seno all’esigenza di contenimento della diffusione del Covid19 per la tutela di tutti, da un punto di vista strettamente giuridico, questo strumento rappresenta un abuso indiscriminato contrario allo stato democratico in cui dovremmo vivere.

Abbiamo detto che il d.p.c.m. è un decreto impugnabile dinanzi ai Tribunali Amministrativi Regionali essendo un atto amministrativo e nemmeno fonte del diritto.

Quindi, un esercizio commerciale che ha avuto la sospensione della licenza perché rimasto aperto, ben potrebbe impugnare tale atto amministrativo dinanzi al TAR sollevando la questione di legittimità costituzionale.

Quindi, un cittadino che si è visto irrogare una sanzione amministrativa o penale, che preveda anche l’arresto, potrebbe sollevare questione di legittimità costituzionale su uno strumento che, a parere di chi scrive, è del tutto costituzionalmente errato.

La dottrina costituzionalistica ritiene che non sia pensabile che un siffatto strumento, quale un d.p.c.m., che, lo ripetiamo, non è una legge perché ad essa gerarchicamente inferiore, e non è, quindi, una fonte normativa, possa limitare, restringere, annullare (in alcuni casi) diritti costituzionalmente garantiti quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, quelli di circolazione e riunione che, tra l’altro, sono estrinsecazione dell’art. 13 quale diritto fondamentale.

La nostra Costituzione che, per quanto vetusta, non è certo poco esaustiva, prevede, come detto ut supra, limiti all’esercizio di diritti costituzionalmente garantiti e, in situazioni emergenziali importanti come quella attuale, sembra anche corretto prevederne per la salvaguardia della collettività. Ma tali limiti devono essere previsti da legge ordinaria. Oltre al potere legislativo del Parlamento, esiste lo strumento del Decreto Legge o del Decreto Legislativo che dovevano essere utilizzati in luogo del d.p.c.m. e che, tra l’altro, costituiscono fonte normativa. Ovviamente nel rispetto delle norme costituzionali.

Chi scrive ritiene di sostenere la tesi che in questi giorni è invalsa nella dottrina costituzionalistica maggioritaria; la tesi per cui sarebbe stata scelta migliore l’adozione di decreto legge da trasformare in legge ed utilizzare lo strumento del d.p.c.m. o del d.m. come decretazione atta a spiegare e ad interpretare le norme contenute nell’emanando D.L., senza lasciare alla magistratura, come oramai troppo spesso avviene, il compito di interpretare le leggi stante le carenze del Parlamento.

L’esempio di quanto detto è rinvenibile nell’interpretazione del termine “passeggiata” che, secondo alcuni magistrati del nord Italia, deve essere interpretata come passeggiata a poche centinaia di metri da casa. Non sarebbe dovuto essere il Governo a specificare tale locuzione in luogo della magistratura?

Il Decreto Legge e il Ruolo del Parlamento

È difficile essere esaustivi in relazione ad un argomento così vaso ma si tenterà di fornire al lettore la più ampia panoramica possibile sulla situazione emergenziale a livello normativo.

Il fondamento per l’esercizio, da parte del Governo, del potere normativo è, nel decreto legislativo, nella stessa legge di delegazione. Invece, quando il Governo interviene con Decreto Legge, il fondamento di tale potere normativo è ravvisato nella situazione di necessità ed urgenza.

È proprio il Governo che deve valutare lo stato di necessità e di urgenza ed è, quindi, lui che adotta tali decreti “sotto la propria responsabilità”. Come noto, tali decreto devono essere presentati alle Camere lo stesso giorno per la conversione in legge, in mancanza della quale, entro 60 giorni dalla pubblicazione in G.U.R.I., essi perdono efficacia ab initio.

L’apprezzamento circa la straordinarietà, la necessità e l’urgenza del caso, ha, naturalmente, carattere politico ma è altrettanto chiaro che l’apprezzamento sulla straordinarietà ed urgenza va riferito alla impossibilità di legiferare da parte del Parlamento.

L’istituto della conversione entro 60 giorni dalla pubblicazione in G.U.R.I. è necessaria per ripristinare le rispettive competenze degli organi costituzionali coinvolti attraverso l’istituto della novazione della fonte legislativa.

Si riporta l’art. 77 Cost.: “[…] Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria.

Quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni.

I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione.

Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti […]”.

Il legislatore, attraverso questa novazione di fonte normativa converte in Legge i D.L. qualora si ravvisi la fondatezza della necessità e dell’urgenza

Da quanto detto emergono i seguenti corollari: il primo è quello per cui l’apprezzamento di cui sopra viene effettuato una seconda volta dal Parlamento in sede di novazione (conversione). Con questa seconda valutazione, il titolare del potere esecutivo perde la responsabilità delle decisioni assunte.

Il secondo corollario è quello per cui la mancanza di tale apprezzamento vizia la legge di conversione e, per il principio dell’atto presupposto, il D.L. stesso.

La mancata conversione parlamentare, ovviamente, rappresenta una negativa valutazione dell’operato del Governo con le inevitabili ricadute politiche di tale decisione.

Forse è per questo che nell’attuale crisi il Governo ha adottato l’incostituzionale mezzo del d.p.c.m.?

Il caso Tar Campania

A riprova di quanto sin qui esposto va segnalata una delle prime sentenze in seno alla crisi epidemiologica inerente al Covid19. Il caso del Tar Campania.

Il Giudice Amministrativo Campano ha annullato un provvedimento amministrativo irrogato contro in cittadino italiano da parte delle forze dell’ordine.

Il caso, appunto, è stato quello di un cittadino che aveva deciso, nonostante la quarantena impostagli, di andare a lavorare e di andare a prendersi le sigarette.

Il Tar Campano gli ha dato ragione con annullamento del provvedimento amministrativo con cui gli era stato ordinato di rimanere nella propria abitazione.

Sulla scia dell’analisi fin qui effettuata e sui pericoli in merito all’adozione del mezzo del d.p.c.m., questa sentenza apre una breccia in un muro che sembrava destinato a non venire scalfito, quello che doveva mettere le norme emergenziali al riparo dai cavilli e dai ricorsi. Ma abbiamo detto che così non è.

L’atto che costringeva tale cittadino viene in sentenza nominato come “atto di diffida e quarantena” che proibisce di uscire di casa per quattordici giorni. Il giorno dopo avere ricevuto la diffida, il soggetto coinvolto ha invece presentato ricorso al Tar Campania.

Il Tar della Campania, che come tutti i tribunali d’Italia, dovrebbe essere praticamente fermo, con le udienze che si dovrebbero tenere solo in casi gravi ed urgenti, ha deciso il caso di questa persona. In 48 ore viene emanata la sentenza che “accoglie l'istanza e per l'effetto sospende l'atto di diffida e la messa in quarantena”.

Si riporta qui appresso la motivazione del provvedimento: “riscontrata allo stato degli atti la verosimiglianza di quanto dedotto in esito alla essenzialità del percorso seguito dalla propria abitazione per l'approvvigionamento presso il punto di distribuzione automatico di tabacchi”. Il giudice Capano continua “ritenuto che l'estrema gravità e urgenza vada apprezzata anche nella adeguata considerazione del fine giustificante e misure. Certo, il ricorso viene accolto con esclusivo riferimento all'atto di diffida e messa in quarantena in relazione ai detti impegni professionali, nei limiti di quanto ad essi necessariamente connesso e nel rispetto di tutte le altre misure, condizioni e precauzioni note al ricorrente.

Ora, al di la della correttezza o meno del provvedimento del Tar Partenopeo in termini di tutela della collettività, il pericolo segnalato in queste poche righe, dell’approssimarsi di numerosi ricorsi davanti all’Autorità Giudiziaria Amministrativa, si appalesa più che concreto.

Conclusioni

Conclusivamente, per quanto è necessario fare tutto il possibile per salvaguardare la salute della collettività, chi scrive ritiene che il Parlamento e il Governo avrebbero dovuto agire seguendo gli insegnamenti della Carta Costituzionale.

Assistiamo, per l’ennesima volta, all’utilizzo distorto del potere legislativo o perché utilizzato non con i mezzi che la Costituzione mette a disposizione, o da organi non dotati di potere legislativo.

…con sommo rammarico degli illustri padri costituenti.



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