Mai come in questo momento gli accadimenti a cui assistiamo ci dimostrano, non solo quanto niente sia una coincidenza e che tutto sia un ricorso storico, ma dimostrano anche che virologia e politica economica sono aggredibili dallo stesso male virale.
Per questi motivi nella notte appena trascorsa la BCE corre frettolosamente ai ripari e non senza una certa vergogna di se stessa.
L'articolo continua dopo la pubblicità
Scarica gratuitamente la circolare sul Decreto Cura Italia di marzo 2020
Nel lontano 1720 la peste di manzoniana memoria infierì in Europa fino a metà Settecento circa; basta visitare Marsiglia che fu devastata da ricorrenti epidemie di peste tra 1650 e 1720, dove ancora oggi c’è la testimonianza del grande lazzaretto vicino al porto.
Nel 1820, il colera fu protagonista delle scene, e fu provocato dal «vibrione di Koch» che è stato lo spauracchio dell’Europa fino alla seconda metà del secolo scorso, il tifo, il vaiolo sconfitto dall’innesto del “vaccino” scoperto da E. Jenner e dichiarato estinto nel 1979.
Nel 1920 si conclamò una epidemia che era iniziata già da un paio di anni prima. La cosiddetta “spagnola” che tale non era per nulla – pare provenisse, dalla Cina – e che infierì spopolando la terra falcidiando quasi 20 milioni di morti nei due anni di disastro epidemiologico.
Oggi vogliano essere convinti e speranzosi che le più moderne tecnologie ed organizzazioni socio politiche facciamo fronte in modo più tempestivo ed incisivo a questi disastri che ci rincorrono dal passato.
Anche se, ad essere onesti, fino ad ora hanno fallito.
La nostra madre Europa si è dimostrata inutile e faziosa nelle sue prime uscite rassicurative, per l’intera popolazione europea. Nel primo discorso veramente importante la BCE per il tramite dei suoi più alti rappresentanti ha fallito completamente l’obiettivo istituzionale di essere il vero cardine della tanto sponsorizzata Unione europea, che tanto unita non è sembrato essere.
Da un confronto con il resto del mondo bancario sembrerebbe che solo la BCE non comprenda il momento storico economico in cui il mondo stia viaggiando, lasciando invariati i principali indicatori di stimolo monetario con il tasso di interesse di riferimento allo 0,00 %; Tasso sui depositi: - 0,50 %.
Il resto del mondo bancario, sembra invece, più vigile e presente alla pandemia da C19, consapevole che l’effetto pandemico non sia solo biologico, ma anche economico finanziario.
Infatti, il 10 marzo La Bank of England ha tagliato i tassi di 50 punti basi, arrivando allo 0,25 % come tasso di riferimento e ha introdotto un nuovo schema di prestiti alle piccole / medie imprese che, secondo le stime della banca, potrebbe portare a prestiti per GBP 100 miliardi.
La banca centrale norvegese, lo scorso 12 marzo, ha tagliato i tassi di 50 punto base dall’ 1,5 % all’ 1 %.
La Banca ha anche consigliato al Ministro delle Finanze, che ha seguito tale raccomandazione, di ridurre il buffer di capitale che le banche tengono come sicurezza dal 2,5 % all ’1 %.
La banca centrale canadese, lo scorso 4 marzo, ha tagliato i tassi dall’ 1,75 % all’ 1,25 % e il 16 marzo allo 0,75 %.
Tra le altre banche centrali che hanno tagliato i tassi tra febbraio e marzo ci sono quelle di Corea, Tailandia, Filippine, HongKong, Indonesia, Brasile, Messico, Russia e Turchia.
Le azioni delle banche centrali decise fino ad oggi potrebbero avere un impatto immediato limitato sulle prospettive di crescita dell’economia poiché in questo momento è ancora troppo elevato il danno causato dalla chiusura di attività legate alla diffusione del Covid –19.
Gli effetti di tali azioni dovrebbero essere maggiori una volta che la pandemia si ridurrà.
E’ possibile ipotizzare che le banche centrali potranno rendere le proprie politiche monetarie ancora più espansive nelle prossime settimane, in particolare qualora dovessero proseguire le tensioni sui mercati finanziari.
Con i tassi a 0 % o prossimi a tale livello in quasi tutti i maggiori Paesi, è lecito attendersi un maggiore ricorso a misure di intervento non convenzionali.
Perché gli interventi di politica monetaria possano risultare pienamente efficaci è necessario che il rilancio iniziale all’economia venga avviato attraverso politiche fiscali di ampio respiro; in particolare in Europa dove misure comuni a tutti i Paesi potrebbero cambiare il passo di crescita delle economie dopo anni di contenimento della spesa pubblica.
Di questi tempi occorre fare molta attenzione che L’unione Europea e le sue pericolose istituzioni non facciano più danni di quanti ne fece il FMI alla fine degli anni 90. Infatti bisogna pensare che una mancanza di una teoria logica e ragionevolmente articolata da parte della BCE & company, possa portare alla elaborazione di politiche che finiscono per aggravare proprio quei problemi che vorrebbero, invece, risolvere.
Ripensiamo a ciò che accade nel 1997, quando il FMI cerca di evitare il contagio della crisi finanziaria asiatica al resto del continente. In quel momento il Fondo sostiene di dover intervenire in fretta, per evitare che la crisi in corso in un singolo paese si estenda a quelli limitrofi, al pari di una dannosissima malattia infettiva.
Se il contagio è un problema, è importante capire come operano i meccanismi attraverso i quali esso si diffonde; proprio come gli epidemiologi che oggi si preoccupano di contenere il diffondersi di un virus.
A questo proposito il compianto JM Keynes aveva una sua teoria logica: la contrazione economica di un paese, in questi tempi di economia globale ed interallacciata, determina da parte dello stesso una riduzione delle importazioni e questo si ripercuote sui paesi vicini e collegati dalla rete economica e commerciale che li connette.
Durante quella crisi economica asiatica il FMI tenta di evitare il contagio con i paesi connessi, con dei provvedimenti che di fatto accelerano il disastro tanto mal contenuto. La conseguenza è stata che tutti i paesi all’epoca coinvolti, dovettero fare sacrifici contraendo la propria economia, la contrazione dei redditi nazionali comportò una riduzione drastica delle importazioni. Dato che i paesi coinvolti erano fortemente interallacciati, l’indebolimento fu progressivo per tutti.
Le difese immunitarie economiche si andavano indebolendo ed il virus aveva la meglio.
Mentre la regione asiatica implodeva su se stessa, spinta dalla manifesta incapacità della istituzione internazionale come il FMI, la diminuzione della domanda di petrolio e di altri beni primari provocò l’inevitabile quanto prevedibile crollo dei prezzi.
Ma ecco che il FMI tira fuori dal cappello il coniglio. Con un astuto ed ineccepibile colpo di genio trova l’antidoto alla crisi: l’austerità fiscale, sostenendo che fosse essenziale per ripristinare la fiducia negli investitori. Bella pensata!
Quella crisi si diffuse da lì alla Russia attraverso il veicolo epidemiologico del crollo dei prezzi del petrolio, me non certo per una fantomatica sfiducia di inventati investitori.
A causa di una mancanza di una teoria logica persuasiva che spieghi il contagio finanziario del 1997 in Asia, possiamo dire che le politiche dell’epoca diffusero il contagio, anziché contenerlo.
L’unione europea con le sue pittoresche istituzioni farebbe bene a non considerarsi immune dalla pandemia da C19, solo perché arroccata dentro il castello franco-tedesco. Altrimenti rischia di essere vittima di se stessa provocando la propria estinzione.