La legge di stabilità 2020 (legge n. 160 del 27/12/2019) ha ulteriormente modificato l’Imposta sui servizi digitali (c.d. Web tax), istituita due anni fa e già corposamente modificata lo scorso anno, che sarebbe dovuta entrare in vigore il 01/01/2019.
Rispetto alla versione precedente (di cui avevamo già parlato su questo portale1) con tale novella legislativa vengono precisati alcuni servizi digitali non soggetti a tassazione, vengono meglio individuate alcune caratteristiche relative alla realizzazione della fattispecie impositiva e dei ricavi soggetti a tassazione, nonché vengono introdotti nuovi obblighi contabili.
Ma la principale novità è forse che la stessa Web tax è già entrata in vigore dal 01/01/2020, anche se ancora si attendono uno o più' provvedimenti del Direttore dell'Agenzia delle Entrate con i quali verranno definite le modalità applicative delle disposizioni relative a tale imposta.
Altra importante novità è che la Web tax sarà abolita al momento in cui entreranno in vigore eventuali accordi in sede internazionale in materia di tassazione dell’economia digitale.
La fonte giuridica dell’imposta è la legge n. 145/2019, art. 1, commi da 35 a 50, così come modificata dalla citata legge di stabilità 2020.
Vediamo le principali caratteristiche di tale nuovo tributo.
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1. Cfr. Baroni A., Web Tax 2019: cos’è e a chi si applica, 13/02/2019 e Baroni A., Web Tax: la nuova Imposta sulle transazioni digitali, 29/01/2018
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Natura dell’imposta.
Vengono colpiti i ricavi (al lordo dei costi ed al netto dell’Iva e delle altre imposte indirette) ottenuti da taluni servizi offerti su interfaccia digitale, come meglio specificato in seguito.
Parrebbe dunque che si abbia a che fare con un’imposta indiretta, tipo Iva. Tale conclusione sembra confermata dalla previsione del comma 44, che prescrive l’applicazione delle norme Iva, per quanto compatibili, ai fini dell’accertamento, delle sanzioni, della riscossione e dell’eventuale contenzioso.
Ambito soggettivo.
L’imposta colpirà i soggetti esercenti attività d’impresa che, singolarmente o come gruppo, nel corso dell’anno solare precedente a quello di imposizione, abbiano congiuntamente:
Si tratta dunque di soggetti aziendali di dimensioni significative.
Non sono tuttavia tassabili i ricavi in questione se scaturiscono da servizi prestati all’interno di gruppi aziendali, cioè resi ad aziende che, ai sensi dell’art. 2359 del codice civile, siano controllate o controllanti, ovvero nel caso in cui entrambe siano controllate dal medesimo soggetto controllante.
Ambito oggettivo.
Come già detto, l’imposta va a colpire i ricavi ottenuti tramite la prestazione di specifici servizi resi tramite interfaccia digitale, e precisamente:
Come si può vedere, si intende – tra gli altri - colpire i ricavi del web advertising e quelli derivanti dalla profilazione degli utenti; vengono colpite anche le piattaforme digitali del commercio on-line, qualora consentano comportamenti tecnici come quelli sopra descritti.
Il nuovo comma 37-bis specifica alcune prestazioni che non vengono considerati servizi digitali ai fini della Web tax. Si tratta:
Imponibile.
Sono tassati i ricavi derivanti dai servizi digitali che realizzano la fattispecie impositiva. Tuttavia, nel caso del comma 37, lett. b) non si considerano facenti parte dell’imponibile i corrispettivi derivanti dalla cessione dei beni e dalla prestazione dei servizi, considerati operazioni indipendenti dall’utilizzo del servizio digitale.
Non sono inoltre considerati imponibili neanche i corrispettivi relativi alla messa a disposizione di un’interfaccia digitale che facilita la vendita di prodotti soggetti ad accisa, quando tale servizio ha un collegamento diretto ed inscindibile con il volume o il valore di tali vendite.
Riguardo alla quantificazione dell’imponibile e tenuto conto della natura sovranazionale dei servizi web, il nuovo comma 40-ter fa ricorso ad una determinazione proporzionale tra i ricavi tassabili ovunque realizzati ed i ricavi realizzati in connessione al territorio italiano.
Aliquota.
L’imposta si applicherà nella misura del 3% del valore (Iva escluso) dei ricavi tassabili realizzati nell’anno solare (comma 41).
Territorialità dell’imposta.
L’imposta si applicherà allorché l’utente di un servizio tassabile venga localizzato – attraverso l’indirizzo IP o altro sistema di geolocalizzazione - nel territorio dello Stato, “nel rispetto delle regole relative al trattamento dei dati personali” (comma 40-bis).
Modalità applicative.
Il tributo andrà riversato all’erario entro il 16 febbraio dell’anno successivo a quello di imposizione (comma 42).
I soggetti passivi dovranno presentare entro il 31 marzo dello stesso anno apposita dichiarazione annuale dei servizi tassabili forniti.
Per quanto riguarda invece i profili di accertamento, sanzioni, riscossione e contenzioso, il comma 44 specifica che si applicano le disposizioni Iva, per quanto compatibili.
Con uno o più provvedimenti del direttore dell’Agenzia Entrate saranno definite le modalità applicative delle disposizioni relative a tale nuova imposta.
Per quanto riguarda tutti i gruppi societari, è prevista la nomina di una singola società del gruppo per l’assolvimento degli obblighi scaturenti dall’applicazione della nuova imposta.
I soggetti esteri privi di stabile organizzazione nel territorio dello Stato e privi di un numero identificativo ai fini Iva, i quali realizzano nel corso dell’anno i presupposti d’imposta, dovranno fare richiesta all’Agenzia Entrate di un numero identificativo ai fini dell’imposta sui servizi digitali.
Eventuali soggetti residenti, facenti parte dello stesso gruppo aziendale dei citati soggetti non residenti, sono solidalmente responsabili con questi per le obbligazioni scaturenti da tale imposta.
Inoltre i soggetti non residenti, privi di stabile organizzazione nel territorio dello Stato, stabiliti in uno Stato diverso da uno Stato membro dell'Unione europea o dello Spazio economico europeo con il quale l'Italia non ha concluso un accordo di cooperazione amministrativa per la lotta contro l'evasione e la frode fiscale e un accordo di assistenza reciproca per il recupero dei crediti fiscali, devono nominare un rappresentante fiscale per assolvere gli obblighi di dichiarazione e di pagamento dell'imposta sui servizi digitali (comma 43).
L’imposta si applicherà ai ricavi su servizi digitali, come definiti dalla norma, realizzati indistintamente da imprese italiane ed estere.
Tuttavia, i volumi di affari aziendali al di sopra dei quali l’impresa viene chiamata a versare l’imposta e le ipotesi di esclusione contemplate dal nuovo comma 37-bis lasciano pensare che, più che pensare a eventuali soggetti italiani (che già pagano l’Ires sui propri profitti), il legislatore si sia voluto dotare di uno strumento giuridico per attrarre nelle maglie del fisco una quota dei profitti di quei soggetti non residenti (i c.d. “big del web”) che, attraverso la prestazione di servizi immateriali via Internet, producono ricavi nel nostro paese (a motivo degli utenti qui fisicamente presenti) senza pagare l’Ires sui relativi redditi, in quanto privi di stabile organizzazione.
Con tale nuova imposta si mira a colpire sia la capacità del web di fare business consentendo alle persone di connettersi tra di loro, sia tutto ciò che potremmo definire il “backstage” di internet, vale a dire quell’insieme di servizi digitali della cui esistenza l’utente non ha talvolta piena consapevolezza (come ad esempio la trasmissione, ai fini di profilazione, dei dati originati dalla navigazione), o che vengono considerati elementi marginali della navigazione web (come la pubblicità mirata online2).
Per quanto riguarda le modalità applicative, è auspicabile che il Mef chiarisca in modo più specifico le casistiche tassabili, soprattutto per la tipologia di ricavi scaturenti dalle attività di cui al sopra citato comma 37, lett. b). Si pensi, ad esempio, alla semplice fornitura di una casella pec, con accesso da web: dalla lettura combinata del medesimo comma 37 lett. b) e del comma 40, lett. b), tale esempio parrebbe restare fuori dal campo di applicazione del tributo, ma, ripetiamo, una elencazione delle casistiche ordinariamente tassabili sarebbe alquanto opportuna.
Sull’opportunità di introdurre una simile imposta vi è da vari anni un ampio dibattito a livello internazionale. In particolare il tema dell’erosione della base imponibile nazionale e dello spostamento dei profitti (c.d. Beps) è oggetto di un articolato lavoro in sede Ocse, che sta coinvolgendo 135 paesi (cfr. sito Ocse).
Pur partecipando a tale lavoro congiunto in sede Ocse, l’Italia per il momento ha tuttavia seguito la decisione della Francia di introdurre una autonoma imposta nazionale, in assenza di un accordo in sede internazionale. La Web tax francese (il cui testo è consultabile nell'apposito sito) è entrata in vigore lo scorso luglio ed ha una struttura analoga a quella italiana, nonché la medesima aliquota.
L’introduzione di tali imposte è stata oggetto di critiche da parte del governo Usa, dal momento che alcune delle “big-tech” colpite sono statunitensi.
In tale contesto, il comma 49-bis della Web tax italiana prevede significativamente che la stessa imposta sarà abrogata dalla data di entrata in vigore delle disposizioni in materia di tassazione dell’economia digitale, quali deriveranno dagli accordi raggiunti in sede internazionale.
Ricordiamo infine che la recente novella legislativa ha continuato a mantenere in vigore la modifica dell’art. 162 Tuir effettuata dalla legge di stabilità 2018 sulle stabili organizzazioni, che introduceva una nuova modalità di individuazione delle stesse, basato non più solamente su una presenza fisica nel territorio, bensì su “una significativa e continuativa presenza economica nel territorio dello Stato costruita in modo tale da non fare risultare una sua consistenza fisica nel territorio stesso.” 3
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2.Pare opportuno anche considerare che i ricavi così ottenuti sono la fonte da cui scaturiscono una quota dei profitti che hanno consentito ai big del web di mettere a disposizione degli utenti internet numerosi servizi in forma gratuita.
3.Così la nuova lettera f-bis aggiunta al comma 2 dell’art. 162 Tuir.