Speciale Pubblicato il 02/01/2020

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Prescrizione cartella di pagamento nel fallimento: chi giudica?

di Luca Mariotti

Cartella di pagamento: giurisdizione Tribunale e non del giudice tributario sulla prescrizione in sede di fallimento. Qualche riflessione critica



La sentenza n. 34447, pubblicata il 24 dicembre 2019, della Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili (Pres. Virgilio, Rel. Lamorgese) risolve una questione di conflitto di giurisdizione tra magistratura tributaria e ordinaria in un contesto nel quale si discuteva di prescrizione di crediti erariali in ambito fallimentare.

Vediamo il caso in dettaglio con qualche riflessione critica sia sul presente che sui precedenti orientamenti giurisprudenziale e della Corte Costituzionale.

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La questione

Il Tribunale di Palermo, in un giudizio di opposizione allo stato passivo (ai sensi dell’articolo 98 della Legge Fallimentare) instaurato dall’agente della riscossione, aveva ammesso solo parzialmente alcuni crediti esattoriali e non altri, prescritti in ragione del tempo trascorso dopo la notifica delle cartelle non opposte.
Giunta la causa in Cassazione, sulla questione della giurisdizione, con ordinanza interlocutoria n. 20050 del 24 luglio 2019 la Prima Sezione ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l'assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.
Per il ricorrente il decreto del Tribunale di Palermo ha violato l'art. 2 del d. Igs. 31 dicembre 1992, n. 546 in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c..
E non vi è dubbio che a norma del citato principio processuale tributario appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, restando escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento.

Dunque la violazione di legge predetta è sollevata per avere il tribunale dichiarato la parziale estinzione dei crediti erariali fatti valere dal concessionario per l'avvenuto decorso del termine prescrizionale, pur essendo privo di giurisdizione in materia. Quindi il giudice delegato e successivamente il tribunale, investito dell'opposizione ex art. 98 legge fall. avrebbero debordato dai limiti della giurisdizione propria.
Poichè la cartella o il sollecito di pagamento non possono essere qualificati come atti dell'esecuzione forzata, il tema dell’opposizione verte allora sulla questione se siano riservate alla giurisdizione tributaria le controversie riguardanti, tra i fatti estintivi dell'obbligazione tributaria, la prescrizione maturata successivamente alla notifica della cartella di pagamento.

L’ordinanza di rinvio

Va detto che la Prima Sezione, nella richiamata ordinanza interlocutoria, aveva espresso dubbi sulla perdurante validità dell'orientamento, espresso anche dalle Sezioni Unite (n. 14648 del 2017, sez. I. n. 15717 del 2019, sez. VI-I n. 21483 del 2015), secondo cui qualora, in sede di ammissione al passivo fallimentare, il curatore eccepisca la prescrizione del credito tributario maturata successivamente alla notifica della cartella, viene in considerazione un fatto estintivo dell'obbligazione che involge l'an ed il quantum del tributo, sicché la giurisdizione sulla relativa controversia spetta al giudice tributario, con la conseguenza che il giudice delegato deve ammettere il credito in oggetto con riserva, anche in assenza di una richiesta di parte in tal senso.
Nell’ordinanza si osservava che la sentenza della Corte costituzionale n. 114 del 2018, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 57, comma 1, lett. a), del dPR 29 settembre 1973 n.602, come sostituito dall'art. 16 del d.lgs. 26 febbraio 1999, n.46 nella parte in cui prevede che, nelle controversie riguardanti gli atti dell'esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all'avviso di cui all'art. 50 del dPR n. 602 del 1973, non sono ammesse le opposizioni regolate dall'art. 615 cpc.

Quindi le questioni e i fatti successivi alla notifica della cartella (come la prescrizione) possono adesso trovare la corretta collocazione nelle forme del codice processual- civilistico.

Il precedente orientamento e la sua criticità

Per le Sezioni Unite la tesi dell’orientamento predetto è ispirata al principio per cui il giudice tributario, la cui giurisdizione si estende a «tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere o specie» (art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992), sia l'unico giudice competente a decidere ogni controversia relativa all'an e al quantum del tributo dovuto, ivi compresa la prescrizione del credito tributario maturata successivamente alla formazione del titolo esecutivo racchiuso nella cartella esattoriale (Cass. SU n. 23832 del 2007, richiamata da SU n. 14648 del 2017 e n. 8770 del 2016).

Ma i Giudici di Legittimità ricordano come in verità l'art. 2 del d. Igs. n. 546 del 1992, come sostituito dall'art. 12, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, prevede che «Restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell'avviso di cui all'articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 [...]».

Di conseguenza la Corte rileva che la notifica della cartella di pagamento non impugnata (o vanamente impugnata) dal contribuente nel giudizio tributario determina il consolidamento della pretesa fiscale e l'apertura di una fase che, per espressa disposizione normativa, sfugge alla giurisdizione del giudice tributario, non essendo più in discussione l'esistenza dell'obbligazione tributaria né il potere impositivo sussurnibile nello schema potestà-soggezione che è proprio del rapporto tributario.

Si osserva altresì che nelle caratteristiche del processo tributario è quella di essere un giudizio di  «impugnazione-merito» poiché pur essendo diretto alla pronuncia di una decisione sul merito della pretesa tributaria, postula pur sempre l'esistenza di un atto da impugnare in un termine perentorio e da eliminare dal mondo giuridico (art. 19 del d. Igs. n. 546 del 1992).

Ebbene non si può ravvisare un vero e proprio atto da impugnare quando il debitore intenda far valere fatti estintivi della pretesa erariale maturati successivamente alla notifica della cartella di pagamento, come la prescrizione, al solo fine di paralizzare la pretesa esecutiva dell'ente creditore. Non è questo atto identificabile nell’estratto di ruolo, ritenuto appunto impugnabile nel caso in cui della cartella di pagamento non si sia avuta conoscenza a causa della invalidità o mancanza della relativa notifica (Cass. SU n. 19704 del 2015, sez. V n. 22507 del 2019).
Nel caso in cui la cartella sia stata invece regolarmente notificata e la relativa pretesa tributaria sia divenuta definitiva, dei successivi fatti estintivi della pretesa tributaria competente a giudicare covrà essere il giudice ordinario, quale giudice dell'esecuzione, cui spetta l'ordinaria verifica dell'attualità del diritto dell'ente creditore di procedere all'esecuzione forzata.

Argomentazioni a favore di una revisione dell’interpretazione pregressa.

Viene ricordato come la sentenza della Corte costituzionale n. 114 del 2018, già citata, fornisca altri elementi a conferma di una revisione del precedente orientamento.
La Corte premette che «la linea di demarcazione della giurisdizione [è] posta dalla cartella di pagamento e dall'eventuale successivo avviso recante l'intimazione ad adempiere: fino a questo limite la cognizione degli atti dell'amministrazione, espressione del potere di imposizione fiscale, è devoluta alla giurisdizione del giudice tributario; a valle, la giurisdizione spetta al giudice ordinario e segnatamente al giudice dell'esecuzione».
Osserva altresì che «È questo un criterio di riparto della giurisdizione; ma la sommatoria della tutela innanzi al giudice tributario e di quella innanzi al giudice (ordinario) dell'esecuzione deve realizzare per il contribuente una garanzia giurisdizionale a tutto tondo: in ogni caso deve esserci una risposta di giustizia perché siano rispettati gli artt. 24 e 113 Cost.».
E il profilo per cui l’impianto normativo ritenuto illegittimo costituzionalmente non ha retto il vaglio di costituzionalità era proprio il fatto che l'opposizione all'esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ. è una tutela che non ricade nella giurisdizione del giudice tributario e dunque non è attivabile con il ricorso ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, perché la giurisdizione del giudice tributario non è ormai configurabile perché si è a valle dell'area di quest'ultima. Quindi «c'è una carenza di tutela giurisdizionale» giudicata costituzionalmente non tollerabile «perché il censurato art. 57 non ammette siffatta opposizione innanzi al giudice dell'esecuzione e non sarebbe possibile il ricorso al giudice tributario perché, in tesi, carente di giurisdizione».
Per i principi espressi in quella sede dalla Corte Costituzionale, allora, occorre concludere che la giurisdizione del giudice ordinario sussiste in tutte le controversie che si collocano «a valle della notifica della cartella di pagamento», dove non v'è spazio per la giurisdizione del giudice tributario ex art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 e l'azione esercitata dal contribuente assoggettato alla riscossione, che non riguardi la mera regolarità formale del titolo esecutivo o di atti della procedura, «deve qualificarsi come opposizione all'esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., essendo contestato il diritto di procedere a riscossione coattiva» (sentenza n. 114 del 2018).
Quindi, tornando al criterio base del giudizio tributario (ovvero all’impugnazione-merito) per la Corte non c’è un atto impositivo da impugnare una volta regolarmente notificata la cartella di pagamento, ma il giudizio diviene una opposizione agli atti esecutivi ex articolo 615 c.p.c. Esclusa dalla giurisdizione tributaria per espressa previsione dell’articolo 2 del D.Lgs 564/92.
La Cassazione ricorda poi come tra le «altre evenienze che si collocano a valle della notifica della cartella di pagamento, in cui la doglianza del contribuente sia diretta a contestare il diritto di procedere a riscossione coattiva» mediante l'opposizione ex art. 615 c.p.c., la Corte costituzionale menziona le «ipotesi dell'intervenuto adempimento del debito tributario o di una sopravvenuta causa di estinzione dello stesso per essersi il contribuente avvalso di misure di favore per l'eliminazione del contenzioso tributario, quale, ad esempio, la cosiddetta "rottamazione" [...]». Conclude quindi che in tale novero non v'è ragione di non ricomprendere l'estinzione del credito tributario per intervenuta prescrizione maturata successivamente alla notifica della cartella.
In conclusione dunque, per la Cassazione, il Tribunale di Palermo (e prima acora il Giudice Delegato) avrebbero correttamente operato decidendo sulla questione della intervenuta prescrizione dei crediti erariali.

Qualche spunto di riflessione critica e conclusioni

A ben vedere il ragionamento della Corte (contenuto prima ancora che nella sentenza, nell’ordinanza di rinvio alle Sezioni Unite) è quello per cui dopo la regolare notifica della cartella di pagamento la giurisdizione tributaria trova il suo limite. E sulla conseguenza, non del tutto convincente, per cui ogni successiva eccezione in merito alla esistenza del debito tributario diviene di fatto, opposizione alla esecuzione.

In realtà riteniamo che questo passaggio motivazionale sia da indagare forse in maniera più approfondita visto che sembra essere in conflitto aperto con l'attribuzione alle commissioni tributarie - a norma dell'art. 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, come sostituito dall'art. 12, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 - della cognizione di tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e speciesi estende ad ogni questione relativa all'an o al quantum del tributo.
Vero che tale regola si arresta (unicamente e tassativamente) di fronte agli atti della esecuzione tributaria. Ma il riferimento è agli atti. Non ad una eccezione che va ad impattare sulla stessa esistenza dell’obbligazione tributaria, ovvero quella della prescrizione del credito.

Ed infatti seguendo questa regola, di maggior rigore letterale,  le Sezioni Unite (Sentenza 14648 del 13 giugno 2017 Pres. Amoroso, Rel. Di Virgilio) avevano affermato che “anche l'eccezione di prescrizione, quale fatto estintivo dell'obbligazione tributaria, rientra nella giurisdizione del giudice che abbia giurisdizione in merito alla predetta obbligazione”. Nel caso specifico il fatto estintivo opposto era sopravvenuto alla formazione del titolo esecutivo costituito dalla cartella esattoriale ed è stata inoltre esclusa l'appartenenza del sollecito di pagamento inviato al contribuente agli atti dell'esecuzione forzata, potendosi assimilare invece all'avviso di mora di cui all'art. 50, comma 2, del d.P.R. n. 602 del 1973, che è impugnabile davanti alle commissioni tributarie.

Ci pare di poter dire, allora, che si intravedono due soluzioni ermeneutiche contrapposte in un ambito in cui i dubbi interpretativi possono dirsi tutt’altro che risolti:

  1. Una che si focalizza sulle fasi delle tutele concesse al contribuente, identificandone due:
  1. Una seconda lettura che fissa invece il discrimine, in linea con l’articolo 2 del decreto sul processo tributario, sugli “atti dell’esecuzione”. E tra questi, evidentemente, non rinviene riferimenti alla contestazione in tema di prescrizione, che attiene all’esistenza stessa del debito tributario e che si lega naturalmente alla impugnazione dell’estratto di ruolo, dell’avviso di mora o del semplice sollecito di pagamento. Tutti atti non appartenenti alla sfera delle esecuzioni.

Dobbiamo dire che al momento questa ultima impostazione, più fedele alla lettera dell’articolo 2 del D.Lgs. 546/92, ci risulta maggiormente convincente.


1 FILE ALLEGATO:
Cassazione 34447 2019 giurisdizione

TAG: Riforma Giustizia Tributaria e Processo Telematico 2024 Codice della Crisi d'Impresa e dell'insolvenza Giurisprudenza