Speciale Pubblicato il 20/11/2019

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Criptomonete: anche per la Banca d’Italia non sono valute

di Dott. Roberto Bianchi

Aspetti economici delle criptovalute in uno studio della Banca d'Italia : non sono strumenti finanziari. La classificazione nei bilanci.



Le Criptovalute devono essere classificate nel bilancio quali attività immateriali o rimanenze ma non come valuta o strumento finanziario.

A tali conclusioni è giunto lo studio della Banca di Italia «Aspetti economici e regolamentari delle cripto-attività» diffuso in data 19/03/2019.

Il documento analizza gli aspetti economici delle cripto-attività disconoscendo l’inquadramento delle stesse tra gli strumenti finanziari «non tanto per la loro elevata volatilità» ma «quanto per l'assenza di valore intrinseco, l'indeterminatezza del loro prezzo e la non controllabilità da parte del regolatore». 

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Criptomonete: la gestione in bilancio

In merito alla gestione delle criptovalute nei bilanci ,  il documento evidenzia come l'analisi contabile escluda la possibilità di considerare, sulla base dei principi contabili internazionali Ias/Ifrs, le cripto attività una valuta o uno strumento finanziario e, al tempo stesso, la disciplina vigente pare indirizzare verso l'uso di due categorie contabili, tra le quali la prima risulterebbe l’attività immateriale, definita come attività senza sostanza fisica, identificabile e non monetaria e la seconda la rimanenza, in grado di rappresentare anche le commodity intangibili. L’Occasional Paper evidenzia come “Lo Iasb” abbia “deciso di consultare sul tema delle criptovalute l'Ifrs - Interpretation committee, unico organismo con il compito di fornire interpretazioni autentiche degli Ias/Ifrs”.

Il legislatore italiano ha disciplinato il fenomeno delle criptovalute solo nell’ambito della disciplina antiriciclaggio, reputandole una «rappresentazione digitale di valore non emessa da una banca centrale o da un'autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l'acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente» (art. 1 D.Lgs. 231/2007).

La disciplina antiriciclaggio colloca la valuta virtuale in una dimensione prettamente monetaria limitando il suo utilizzo quale mezzo di scambio.

Tale lettura si approssima a quella fornita dalla Corte di giustizia europea attraverso la sentenza n. 264/14 del 22/10/2015 nella quale, con riferimento ai bitcoin, è stato affermato che questi ultimi hanno la mera funzione di “mezzo di pagamento” e la menzionata pronuncia è stata di fatto recepita nella risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 72/E/2016 la quale, tuttavia, relativamente al trattamento reddituale afferente le persone fisiche private, ha equiparato le criptovalute alle valute estere.

COMMENTO ALLA RISOLUZIONE 72/E/2016 "Societa che svolgono servizi con monete virtuali trattamento fiscale"

La richiamata chiave di lettura si pone però in contrasto con disciplina antiriciclaggio nazionale, la quale definisce la valuta virtuale come «una rappresentazione di valore che non è necessariamente collegata a una valuta avente corso legale», prendendo le dovute distanze dalla catalogazione delle criptovalute quali valute estere.

Una valuta estera si può considerare tale, infatti, quando ha necessariamente un legame con un territorio e le criptovalute tale correlazione non la possiedono,  in quanto si tratta di una rappresentazione digitale di valore generata e circolante nella rete, che non dispone di alcuna dimensione materiale.

La connotazione delle criptovalute quali valute estere è pertanto da disconoscere al pari della rappresentazione fornita dalla disciplina antiriciclaggio in quanto quest’ultima attribuisce alle stesse una portata prettamente monetaria che rischia di non essere in grado di intercettare la dimensione speculativa delle criptovalute che risulta essere, al contrario, indiscutibilmente considerevole.

Attualmente la definizione più calzante appare quella fornita dalla stessa Banca d’Italia nella comunicazione del 30/01/2015 nella quale viene precisato che le valute virtuali, pur non essendo necessariamente collegate a una moneta fiat, vengono impiegate quale «mezzo di scambio o detenute a scopo di investimento e possono essere trasferite, archiviate e negoziate elettronicamente». La menzionata definizione, proponendo una interpretazione estensiva rispetto a quella prevista dalla norma antiriciclaggio, consente di considerare l’acquisto di valute virtuali anche quale forma di investimento.



TAG: Scritture Contabili Gli aspetti fiscali del commercio elettronico