Speciale Pubblicato il 20/11/2019

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La crisi nei gruppi d’impresa nel Codice della crisi d’impresa e insolvenza

di Falchi dott. Pierpaolo

Il codice della crisi di impresa disciplina per la prima volta in maniera organica la crisi dei gruppi di impresa: lo stato dell'arte



Per la prima volta in Italia il fenomeno del gruppo d'impresa forma oggetto di una disciplina organica in ambito concorsuale. Il d.lgs. n.14 del 12 gennaio 2019 (nuovo Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza) tra le numerose importanti novità ha introdotto infatti, una disciplina organica dei gruppi in crisi rispondendo ad un’esigenza da tempo avvertita e avvicinandosi a un’impostazione tipica delle scienze aziendalistiche che considera l’azienda oltre i confini dei singoli soggetti giuridici secondo una visione unitaria della gestione e dell’organizzazione.
In questo senso il “gruppo” visto come insieme di società autonome giuridicamente ma unica impresa sotto il profilo economico, rappresenta oramai la forma di organizzazione più evoluta ma anche la più complessa in quanto forma “intermedia” tra il singolo (singole autonomie patrimoniali e singoli bilanci approvati ad esempio) e il sistema unitario (gestione strategica unitaria e bilancio consolidato); ed qui che ci si vorrebbe insinuare con il presente lavoro.

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Le tutele per la ricostruzione patrimoniale delle singole imprese

La legge ammette, oggi e in concreto, la possibilità per il debitore di elaborare un piano e una proposta di concordato che coinvolgano il gruppo, siano queste formulate unitariamente da tutte le società che ne fanno parte, ovvero predisposte con distinti ricorsi, fermo comunque restando le necessità di valutare la convenienza del piano (o dei piani) in un’ottica aggregata e non atomistica.

L’appartenenza ad un gruppo rileva altresì nel contesto della nuova liquidazione giudiziale, cui potranno essere assoggettate in via unitaria “più imprese in stato di insolvenza appartenenti al medesimo gruppo” (Art.287 CCI)

Ma la vera “novità” della riforma della liquidazione giudiziale di gruppo è rappresentata dal cospicuo incremento delle tutele funzionali a consentire, con maggiore efficienza, le operazioni di ricostruzione dell’asse patrimoniale delle singole imprese.

A questo proposito, gli aspetti di maggiore rilevanza paiono essere:

1) le nuove azioni di inefficacia e le azioni revocatorie ulteriormente “potenziate,
2) l’inefficacia dei finanziamenti postergati recepiti dal nuovo codice della crisi,
3) le azioni di responsabilità esperibili nella liquidazione giudiziale nei confronti della holding fattivamente coinvolta nella causazione del dissesto delle controllate.
Tuttavia, benché la Riforma fallimentare abbia introdotto importanti meccanismi di armonizzazione e coordinamento con l’impostazione aziendalistica, sul piano del diritto concorsuale le autonomie giuridiche paiono rivestire ancora una prioritaria rilevanza al fine di assicurare una segregazione dei patrimoni e delle masse dei creditori da tutelare secondo un approccio atomistico ponendo numerosi problemi di conciliazione con la definizione unitaria di gruppo testé esposta.

Le soluzioni del Codice della Crisi per i Gruppi e i punti da chiarire

Il presente progetto ha l’ambizioso obiettivo sia di provare a colmare talune incertezze, sia di far da possibile “molla” a studi futuri in tal senso. In particolare, lo stato dell’arte, le incertezze e le domande di ricerca a cui si proverà a dare una risposta riguarderanno principalmente i seguenti argomenti:

1. L’art.2 del Nuovo codice della Crisi d’impresa riprendendo gli articoli 2497 e 2545-septies del c.c., individua il “gruppo di imprese” sulla base di un’attività di direzione e coordinamento da valutarsi, anzitutto, alla luce di un vincolo partecipativo o contratto.

Non è affatto agevole comprendere se il legislatore per “contratto” abbia inteso riferirsi alle forme di controllo c.d. “contrattuale” individuate dall’art.2359 c.1 n.3 del cc. o ai contratti di “dominazione” di cui all’art.2497 septies o ad entrambi. Inoltre, paiono incerti anche i confini di tale forma di controllo potendosi configurare, ad esempio, un controllo anche in presenza di una dipendenza economica di fornitura secondo dottrina (Galgano & Sbisà, 2014) ma di contrasto con la recente giurisprudenza (Trib. Catania, 17 marzo 2016, sentenza n.1762/2016).

2. Significativo è inoltre il riferimento, sempre nell’art.2 c.1 lett.h), alla “persona fisica” come soggetto che potrebbe esercitare attività di direzione e coordinamento. Si tratta, a ben vedere, di una importante novità rispetto all’art.2497 c.c. che, com’è noto, si limita a menzionare le società e gli Enti ma non le persone fisiche.
Si tratterà di capire la rilevanza di tale precisazione sia sul versante delle azioni revocatorie e risarcitorie, sia sul terreno della stessa assoggettabilità alle procedure concorsuali ampliando notevolmente la platea dei “gruppi”.

3. Nell’ambito del “nuovo” concordato preventivo di gruppo, rispetto al passato, si possono ipotizzare oggi manovre che al contempo coinvolgano più patrimoni e che si avvalgano di un intero gruppo di imprese fermi comunque restando il principio di tener distinte le masse attive e passive di “competenza” di ciascuna società.

Seguendo un’impostazione siffatta, il “Nuovo codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza” prevede:

• La possibilità di proporre la domanda di accesso al concordato preventivo o alla procedura di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti “con un piano unitario o con piani reciprocamente collegati e interferenti” (art.284, c.1)

• La necessita che nel ricorso venga dato adeguato spazio alla “illustrazione delle ragioni di maggior convenienza, in funzione del miglior soddisfacimento dei creditori delle singole imprese, della scelta di presentare un piano unitario ovvero piani reciprocamente collegati”

• L’idoneità del piano a “consentire il risanamento dell’esposizione debitoria di ciascuna impresa”

• La necessità di tenere distinte le masse attive e passive proprie di ciascuna società (art.284, c.3).

• La possibilità di prevedere nel piano la “liquidazione di alcune imprese e la continuazione di altre”, nonché il compimento “operazioni contrattuali riorganizzative, inclusi i trasferimenti di risorse infragruppo” (art.284, c.3).

La necessità di tenere distinte le singole masse attive si dovrebbe riflettere allora, nelle modalità di soddisfacimento dei creditori che dovranno avvenire nel rispetto dell’autonomia patrimoniale e giuridica di ciascun complesso societario. I creditori potranno allora conseguire trattamenti differenziati in considerazione solo delle condizioni patrimoniali di ogni singola società generando, presumibilmente, un’inammissibilità per lo meno nei concordati liquidatori, di miglioramento delle condizioni creditizie di quei creditori (ancorché tipologicamente omogenei) appartenenti ad altra società come ad esempio una “consorella”. Sembrerebbe invece praticabile la vendita congiunta di beni di società diverse al fine di realizzare un surplus rispetto alla vendita atomistica da distribuirsi però, all’interno del concordato e in misura non inferiore a quanto si sarebbe ricavato dalla singola vendita della singola società.

Tuttavia, ai sensi dell’art.285 c.1, parrebbe comunque possibile derogare il principio di cristallizzazione delle masse attive testé esposto attraverso “operazioni contrattuali e riorganizzative inclusi trasferimenti di risorse infragruppo, purché un professionista indipendente attesti che dette operazioni sono necessarie ai fini della continuità aziendale e coerenti con l’obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori di tutte le imprese del gruppo”. Permangono allora da definire i confini e la portata nel tenere “distinte masse attive e passive di ciascuna società” in una visione aziendalistica che considera l’impresa come sistema unitario anche in riferimento dell’art. 286 c.3 che, prevedendo la ripartizione dei costi della procedura fra le imprese del gruppo “in proporzione alle rispettive masse attive”, potrebbe imputare alla società maggiormente patrimonializzata la responsabilità delle spese di procedura di “competenza” delle altre imprese infragruppo.

4. Per espressa previsione normativa, nulla osta alla presentazione di un’unica domanda di concordato per più imprese dinanzi al medesimo tribunale, né alla facoltà per quest’ultimo di emettere un unico decreto di ammissione a fronte della presentazione di più ricorsi, nominando altresì lo stesso giudice delegato e il medesimo commissario giudiziale (art.286, c.2).

Ai sensi dell’art.286, c.5 “i creditori di ciascuna delle imprese che hanno proposta la domanda di accesso al concordato di gruppo, suddivisi per classi qualora tale suddivisone sia prevista dalla legge o dal piano, votano in maniera contestuale e separata sulla proposta presentata dalla società loro debitrice. Il concordato di gruppo è approvato quando le proposte delle singole imprese del gruppo sono approvate dalla maggioranza prevista dall’articolo 109”.

In quest’ottica la mancata approvazione del concordato da parte dei creditori di anche solo di una delle imprese inserite nel gruppo dovrebbero comportare, a stretto rigore, la caducazione dell’intero programma di ristrutturazione del gruppo, tanto nel caso in cui la domanda sia unica per tutte le società, quanto a fronte di domande formalmente autonome ma sostanzialmente collegate e interdipendenti. Tuttavia questa soluzione pare in contrasto con la previsione, distinta ma per certi versi accumulabile, secondo cui la risoluzione o l’annullamento del concordato di gruppo non potrebbe comunque essere pronunciata nel caso in cui i relativi presupposti si verifichino soltanto a rispetto a una o ad alcune imprese, a meno che “ne risulti significativamente compromessa l’attuazione del piano anche nei confronti delle altre imprese” (art.286, comma7)

5. Una significativa innovazione nella gestione unitaria dell’insolvenza del gruppo è costituita dalla disciplina delle azioni di inefficacia. Ai sensi dell’art.290, c.1 “nei confronti delle imprese appartenenti al medesimo gruppo possono essere promosse dal curatore azioni dirette a conseguire la dichiarazione di inefficacia degli atti e contratti posti in essere nei cinque anni precedenti il deposito dell’istanza di liquidazione giudiziale, che abbiano avuto l’effetto di spostare risorse a favore di un’altra impresa del gruppo, con pregiudizio dei creditori, fatto salvo il disposto dell’art.2497, c.1 codice civile”
Non è chiaro se con la disposizione in esame sia stata introdotta un’azione del tutto nuova rispetto alle categorie note previste dagli art.163 e ss. Pare, per come strutturata, che la disposizione di legge non sarà destinata a disciplinare le azioni revocatorie fallimentari, autonomamente regolate in materie di gruppi, dal terzo comma dell’art.290. Sembrerebbe infatti che l’iniziativa dell’art.290, costituisca forma peculiare di revocatoria ordinaria (forse) cumulabile rispetto a quest’ultima in quanto il legislatore, consapevole delle particolari relazioni esistenti all’interno dei gruppi, sembrerebbe aver voluto ampliare il novero delle tutele di ricostruzione dell’asse patrimoniale delle singole imprese.

L’azione d’inefficacia potrà allora essere rivolta verso tutti gli atti cui abbia fatto seguito, come effetto finale., quello di trasferire risorse all’interno del gruppo, a condizione che da tali operazioni sia conseguito danno ai creditori, con la concorrente responsabilità della holding (2497 c.c.). Tuttavia, l’atto dovrebbe intendersi “esentato” da inefficacia qualora il danno sia escluso ai sensi dell’art. 2497 c.c. “alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento”. Rimane allora, ancora una volta, incertezza sulle disposizioni, anche perché in netto contrasto con la recente pronuncia delle Sezioni Unite ( Cass, Sez. Un., 23 novembre 2018, n.30416) che ha definitivamente negato l’esperibilità dell’azione revocatoria nei confronti di un fallimento in considerazione del principio di cristallizzazione del patrimonio assoggettato a procedura concorsuale, che lo renderebbe insensibile alle pretese dei soggetti che vantino titoli di natura costitutiva formatesi successivamente alla dichiarazione di fallimento.

6. Secondo l’art.291, il curatore è legittimato ad esercitare le azioni previste dall’art.2497 del c.c.

Alla luce del richiamo al plurale “azioni di responsabilità” sembrerebbe allora ragionevole ritenersi che il curatore sia legittimato ad esperire tutte le iniziative direttamente e indirettamente originate dall’art.2497 c.c:

• L’azione nei confronti della holding esperibile dalla società eterodiretta ai sensi del 2497 c.1 del codice civile.
• L’azione nei confronti della holding in rappresentanza dei creditori della società eterodiretta ai sensi del 2497 c.1 e 4 del codice civile.
• L’azione nei confronti degli amministratori e dei sindaci della holding ai sensi del 2497 c.2 del c.c.
• L’azione nei confronti della holding esperibile dalla società socia della società eterodiretta ai sensi dell’art.2497 c.1 del codice civile.

Naturalmente però, l’azione da parte della società eterodiretta presuppone la positiva soluzione in merito alla nota questione relativa alla sussistenza della legittimazione all’azione di responsabilità di cui, anche in questo caso, non vi è certezza.

7. Uno degli addebiti maggiormente ricorrenti, nell’ambito delle azioni di responsabilità esercitate da un fallimento nei confronti degli ex componenti degli organi gestori e di controllo, concerne la prosecuzione dell’attività d’impresa a fronte dell’avverarsi di una causa di scioglimento. Rimane da chiedersi se questo addebito, oltre agli altri connessi all’organo amministrativo come ad esempio il novellato art.2086 del cc. in tema di assetti organizzativi, possano essere trasposti al fenomeno dei gruppi e quindi alla holding in quanto ingerente la gestione delle società eterodirette.

Risultati attesi e potenzialità applicative

L’impatto di tale argomento pare rilevante sia perché secondo l’Istat i gruppi d’imprese in Italia riguardano più di 300.000 aziende (dati 2017), sia perché alla luce della novità introdotte dalla normativa, ai sensi dell’art.2 CCI, tale platea pare destinata ad estendersi incorporando le “persone fisiche”.
Pare allora chiaro che una disciplina organica in tal senso, che permetta la tutela dei creditori di gruppo e che rafforzi la loro posizione, possa permettere una più proficua circolazione dei fattori produttivi, primi fra tutti la moneta e in generale i capitali “benzina” del motore economico.
Da questo punto di vista, aver una normativa meno incerta e che permetta di gestire l’impresa in crisi in maniera unitaria e non per singoli soggetti giuridici, sicuramente agevola l’imprenditore nell’affrontare il dissesto ed è questo l’ambizioso obiettivo e impatto che si vorrebbe raggiungere con il presente lavoro: aiutare gli operatori economici nell’affrontare un tema cosi complesso preservando il più possibile il valore dell’azienda, ma anche dissuadendo gli stessi operatori da comportamenti opportunistici atti a danneggiare taluni creditori per il tramite della disciplina gruppi.



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