L'art. 39, comma 1, lett. q), del D.L. 124/19 (Decreto fiscale) ha introdotto la confisca allargata o per sproporzione per tutte le fattispecie penal-tributarie.
Ciò consente di applicare l'art. 240-bis del c.p. per i delitti previsti e puniti dal D.Lgs. 74/00 (ad esclusione degli artt. 10-bis e 10-ter) nel caso di «condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale», quando:
«a) l'ammontare degli elementi passivi fittizi è superiore a euro centomila nel caso del delitto previsto dall'articolo 2;
b) l'imposta evasa è superiore a euro centomila nel caso dei delitti previsti dagli articoli 3 e 5, comma 1;
c) l'ammontare delle ritenute non versate è superiore a euro centomila nel caso del delitto previsto dall'articolo 5, comma 1-bis;
d) l'importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti è superiore a euro centomila nel caso del delitto previsto dall'articolo 8;
e) l'indebita compensazione ha ad oggetto crediti non spettanti o inesistenti superiori a euro centomila nel caso del delitto previsto dall'articolo 10-quater;
f) l'ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro centomila nel caso del delitto previsto dall'articolo 11, comma 1;
g) l'ammontare degli elementi attivi inferiori a quelli effettivi o degli elementi passivi fittizi è superiore a euro centomila nel caso del delitto previsto dall'articolo 11, comma 2;
h) è pronunciata condanna o applicazione di pena per i delitti previsti dagli articoli 4 e 10».
La modifica inserita dal citato art. 39, comma 1, lett. q), del D.L. 124/19 (Decreto fiscale) ha quindi aggiunto l'art. 12-ter al D.Lgs. 74/00 (casi particolari di confisca), che consentirà di colpire – stante la ratio della norma – l'illecita accumulazione di ricchezza prodotta dalla commissione di delitti tributari particolarmente gravi.
L'art. 240-bis potrà quindi essere applicato, ad esclusione dell'omesso versamento di ritenute e dell'omesso versamento dell'IVA, a tutte le fattispecie previste e punite dal D.Lgs. 74/00, aggiungendo uno strumento di lotta all'evasione significativamente efficace, che potrà essere applicato in presenza di una sproporzione tra il reddito dichiarato ai fini delle imposte dirette e il denaro, i beni o le altre utilità di cui il condannato non possa giustificare la provenienza e di cui abbia la disponibilità anche per interposta persona (fisica o giuridica).
L'articolo continua dopo la pubblicità
La confisca allargata o per sproporzione – uno strumento non nuovo nell'ordinamento – è già stata oggetto dell'importante sentenza n. 33/2018 della Corte Costituzionale, che, chiamata a pronunciarsi in merito, ne ha consacrato definitivamente la legittimità, definendola una moderna misura ablativa, slegata dal vincolo di diretta pertinenzialità tra i beni da confiscare e il singolo reato per cui è pronunciata condanna, utile ad aggredire il patrimonio accumulato dal colpevole in virtù dell'attività illecita da questi posta in essere.
La confisca in trattazione risulterebbe, quindi, una misura patrimoniale volta a sottrarre al criminale la ricchezza di cui non possa giustificare il possesso, operando la presunzione relativa (sempre confutabile dal condannato) dell'origine illecita di questa, accumulata proprio in ragione della capacità dei delitti individuati dal legislatore ad essere perpetrati in forma quasi professionale e a porsi quali fonte di patrimoni illeciti.
L'ampliamento del catalogo dei reati presupposto per l'applicazione della confisca allargata o per sproporzione rappresenta dunque la volontà del legislatore di colpire capitali e patrimoni di origine criminale formatisi grazie alla commissione sistematica e continuativa di forme evasive di apprezzabile entità, segno che l'ordinamento giuridico ha recepito l'importante portata offensiva delle condotte antigiuridiche previste e punite dai delitti tributari.
Riportiamo di seguito alcuni brani della sentenza della Corte costituzionale citata (allegata in forma integrale in fondo all'articolo):
"(..) la confisca “allargata” (...) poggia, nella sostanza, su una presunzione di provenienza criminosa dei beni posseduti dai soggetti condannati per taluni reati, per lo più (ma non sempre) connessi a forme di criminalità organizzata: in presenza di determinate condizioni, si presume, cioè, che il condannato abbia commesso non solo il delitto che ha dato luogo alla condanna, ma anche altri reati, non accertati giudizialmente, dai quali deriverebbero i beni di cui egli dispone.
Il ricorso a forme di confisca congegnate in questa chiave è caldeggiato anche a livello sovranazionale.
Sollecitazioni a prevedere inversioni dell’onere della prova riguardo all’origine illecita dei beni suscettibili di confisca si rivengono, in specie, nella Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope, fatta a Vienna il 20 dicembre 1988 (..)
Assai più puntuali e stringenti risultano, peraltro, al riguardo, le indicazioni promananti dalla normativa dell’Unione europea. Nella cornice del generale processo di valorizzazione degli strumenti patrimoniali di lotta alla criminalità organizzata, da tempo in atto a livello dell’Unione, dapprima la decisione quadro 24 febbraio 2005, n. 2005/212/GAI del Consiglio, relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato (art. 3), e indi la direttiva 3 aprile 2014, n. 2014/42/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea, hanno, infatti, specificamente richiesto agli Stati membri di riconoscere all’autorità giudiziaria poteri di «confisca estesa», collocabili chiaramente all’interno del ricordato genus della confisca dei beni di sospetta origine illecita.
L’art. 5, paragrafo 1, della citata direttiva stabilisce, in particolare, che gli Stati membri devono adottare «le misure necessarie per poter procedere alla confisca, totale o parziale, dei beni che appartengono a una persona condannata per un reato suscettibile di produrre, direttamente o indirettamente, un vantaggio economico, laddove l’autorità giudiziaria, in base alle circostanze del caso, compresi i fatti specifici e gli elementi di prova disponibili, come il fatto che il valore dei beni è sproporzionato rispetto al reddito legittimo della persona condannata, sia convinta che i beni in questione derivino da attività criminose»."