Il leasing, storicamente, è uno degli istituti giuridici più controversi, specie nell’ambito delle procedure concorsuali. Le complesse perplessità interpretative, spesso sfociate in articolate diatribe giudiziarie, giustificano l’elevatissimo numero di contenzioso che, agni anno, interessa i tribunali e le corti. Ma i professionisti, dall’agosto 2020, dovranno “fare i conti” con una nuova disciplina.
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Cosa è. Il leasing consiste in una figura negoziale originata al fine di soddisfare l’esigenza delle imprese di disporre dei beni strumentali necessari per la loro attività produttiva, senza l’immobilizzo di capitali. La volontà delle parti è sin dall’origine quella di trasferire all’utilizzatore la proprietà del bene acquistato dal concedente. In altre parole, la proprietà del bene resta in capo al concedente per l’intera la durata del contratto di leasing, a garanzia dell’esatto adempimento delle obbligazioni che l’utilizzatore ha assunto. Il pagamento del canone non è considerato quale corrispettivo della locazione del bene, bensì come modalità di restituzione del finanziamento, pari al costo del bene maggiorato degli interessi e degli oneri.
Le questioni. In un primo momento i duelli dottrinari, espressione dei dubbi emersi nelle scrivanie di commercialisti e avvocati, si sono combattuti su un duplice campo di battaglia: natura traslativa o di locazione pura del leasing? L’uno o l’altro vincitore determinava l’applicazione di discipline dissimili, quali la locazione o la vendita a rate.
Le riforme. La tematica, che cogli anni si è fatta sempre più intricata, ha determinato l’intervento del legislatore in più occasioni ed in relazione a più aspetti:
Il CCII. Più in dettaglio, l’articolo 177 del CCII, prevede due fattispecie:
Il concedente ha diritto di insinuarsi nello stato passivo della procedura per la differenza fra il credito vantato alla data di apertura della liquidazione giudiziale e quanto ricavabile dalla nuova allocazione del bene, conformemente alla stima disposta dal giudice delegato. Ove il curatore si determini nel proseguire il rapporto negoziale, il concedente avrà diritto a ritenere i canoni già incassati, a ottenere in prededuzione il pagamento dei canoni scaduti e non percepiti al tempo di apertura della liquidazione giudiziale (come passività afferente ai beni pervenuti nel corso della procedura) e, infine, a ottenere, in prededuzione, il pagamento dei canoni con scadenza postergata all’apertura della liquidazione giudiziale.
Il credito residuo in linea capitale. Il nuovo Codice, all’articolo 177, fa riferimento al “credito residuo in linea capitale”, determinato ai sensi dell’articolo 97, comma XII, primo periodo, identificato come sommatoria dei canoni scaduti prima dell’apertura della procedura e rimasti impagati (dall’articolo 97 si evince che non resta esclusa la relativa quota interessi, in modo diverso da quanto espresso dall’articolo 72 quater L.F., che si limita al “credito residuo in linea capitale”), dei canoni non ancora scaduti alla data di apertura della procedura, al netto della quota interessi e, infine, del prezzo di riscatto.
Il credito vantato alla data di apertura della procedura. Viene inteso come la sommatoria del credito residuo in linea capitale non soddisfatto a seguito del realizzo del bene, degli interessi corrispettivi ricompresi nei canoni scaduti prima dell’apertura della procedura e non pagati, e degli interessi di mora maturati sui canoni scaduti prima dell’apertura della procedura e non onorati.
La novità. Confermando i principi che avevano già dominato l’istituto giuridico del leasing in seno alla legge fallimentare, il legislatore della riforma del 2019 ha tuttavia introdotto una marginale novità al II comma: è stato infatti precisato che l’insinuazione viene operata in base a una stima disposta in sede di verifica dello stato passivo e salvo conguaglio in sede di riparto, sulla base dell’effettivo ricavato. Per l’effetto, la stima è stata concepita come strumento finalizzato ad una insinuazione condizionata al passivo.
Esercizio provvisorio. Infine, si osserva che la novellata formulazione del leasing non ha replicato l’inciso secondo cui il relativo rapporto prosegue nel corso dell’esercizio provvisorio, salva la facoltà di scioglimento esercitabile dl curatore. Al contempo va osservato che l’articolo 211, in tema di esercizio dell’impresa del debitore, al comma VIII, ribadisce che i contratti pendenti, e quindi, per implicito, non escludendo la locazione finanziaria, proseguono quale naturale effetto della continuità aziendale, facendo comunque salva la possibilità, in capo al curatore, di impratichire una differente opzione (“Durante l’esercizio i contratti pendenti proseguono, salvo che il curatore non intenda sospenderne l’esecuzione o scioglierli. È fatto salvo il disposto dell’articolo 110, comma III, del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50. I crediti sorti nel corso dell’esercizio sono soddisfatti in prededuzione ai sensi dell’articolo 221, comma I, lettera a)”).