La I Sezione della Cassazione invita le Sezioni Unite a chiarire i confini dell’ammissibilità dell’azione revocatoria nei confronti della curatela fallimentare
L’azione revocatoria contro la curatela fallimentare rappresenta, in senso operativo, una delle strategie più comuni per recuperare crediti da aziende in default, anche tra satelliti di uno stesso gruppo.
L’argomento è comunissimo, anche se peculiarmente tecnico, e coinvolge, facendoli lavorare gomito a gomito, commercialisti e giuristi.
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In estrema sintesi, va rammentato che, mediante tale azione, la cui legittimazione a proporre spetta esclusivamente al curatore, si tende a fare perdere efficacia giuridica ad un atto posto in essere dal debitore in seguito fallito, e preordinato a compromettere la cd. par condicio creditorum, nel tentativo di sanare qualche posizione (di creditori comunque consapevoli dello stato di dissesto) ma sacrificandone altre.
La finalità è, pertanto, quella di ricostituire l’attivo fallimentare per fare in modo che vi possa essere soddisfatto un numero maggiore di creditori.
Ma a cavallo tra la disciplina (ancora vigente) della Legge fallimentare e quella del Codice della crisi d’impresa (dal 16 marzo scorso marginalmente operativa, in toto dal 15 agosto 2020), emergono le prime criticità, dall’osservazione che i principi dalle stesse contemplati non appaiono omogenei.
La I sezione civile della Cassazione, attraverso l’ordinanza interlocutoria n. 19881 depositata il 23 luglio, ha infatti evidenziato alcune contraddizioni nella materia della revocatoria fallimentare, richiedendo l’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite.
La vicenda.
I fatti coinvolgono due curatele fallimentari antagoniste, e l’ordinanza in esame origina dal verdetto col quale il tribunale ha condiviso le doglianze esternate dal curatore che ha sostenuto l’inammissibilità dell’azione revocatoria avanzata nei confronti del fallimento in epoca posteriore alla relativa apertura. Invocando l’arcinoto articolo 52 della Legge fallimentare, che contempla il principio di cristallizzazione del passivo fallimentare e dell’esclusività del concorso formale (per l’evidente finalità di realizzare il concorso sostanziale, disciplinato dagli articoli 2740 e seguenti del c.c.). il Tribunale ha quindi negato seguito alla pretesa di restituzione dei beni aziendali, il cui trasferimento veniva ipotizzato come inefficace per la contestuale domanda revocatoria avanzata dalla curatela opponente.
La I Sezione civile, sottolinea che, secondo l’interpretazione più accreditata dalla giurisprudenza, risulta (sotto il vigore della pensionanda Legge fallimentare) inammissibile l’azione revocatoria, sia ordinaria che fallimentare, verso il fallimento, in considerazione del principio di cristallizzazione del passivo, peraltro non soggetto a deroghe, alla data di apertura del concorso. Al contempo il collegio mette in luce anche un ulteriore principio, di segno contrario: qualora l’azione revocatoria sia esperita prima della dichiarazione di fallimento, non risulta soggetta all’improcedibilità sopravvenuta.
Ma la I Sezione civile, pur analizzando l’ancor vigente Legge Fallimentare, si spinge oltre, prospettando gli scenari che si apriranno nell’estate 2020, quando sarà pienamente operativa la disciplina offerta dal Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza.
Più in dettaglio l’articolo 290, comma III, del D. Lgs. n. 14 del 2019, statuisce che “il curatore della procedura di liquidazione giudiziaria aperta nei confronti delle altre società del gruppo può esercitare, nei confronti delle altre società del gruppo, l’azione revocatoria prevista dall’articolo 166 degli atti compiuti dopo il deposito della domanda di apertura della liquidazione giudiziale o, nei casi di cui all’articolo 166, comma 1, lettere a) e b), nei due anni anteriori al deposito della domanda o nell’anno anteriore, nei casi di cui all’articolo 166, comma 1, lettere c) e d)”.
Il pronostico dei giudici di legittimità.
I togati della I sezione civile, nell’ordinanza in esame, osservano che la richiamata disciplina di prossima applicazione troverà vigore in ogni fattispecie di azione revocatoria infragruppo nel contesto delle procedure di liquidazione. Rilevano, inoltre, che la norma non contempla eccezioni al principio dell’inammissibilità dell’azione revocatoria nei confronti della procedura di liquidazione giudiziale, attualmente affermato in via interpretativa dalla giurisprudenza. Gli stessi togati, con uno sguardo al futuro e, quindi, tenendo in considerazione la più moderna disciplina, hanno tratto la conclusione che, orami deve ritenersi (vista la “scadenza” della Legge fallimentare e di tutte le relative interpretazioni) generalizzato il contrapposto principio di ammissibilità dell’azione revocatoria, sia ordinaria che fallimentare, verso la procedura concorsuale. Ma l’ultima parola, tra le alternative prospettate, spetta alle Sezioni Unite.
In allegato il testo della sentenza.