Come noto l’Amministrazione Finanziaria non può ricorrere al “valore normale” degli immobili ai fini dell’accertamento di maggiori ricavi occultati nella cessione degli stessi. Ciò però non vuol dire che tali valori non possano essere utilizzati per l’avvio di una verifica fiscale focalizzata sul controllo dei prezzi di vendite immobiliari ritenuti non veritieri.
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Sul tema ti puo interessare il Commento alla recente sentenza di Cassazione n. 29287/18 "Illegittimo accertamento con valori OMI"
L’argomento del controllo dei prezzi delle cessioni immobiliari trova spazio nel corposo documento di prassi operativa della Guardia di Finanza in vigore da quest’anno, la Circolare n. 1/2018 (“Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali”).
Nel III volume della circolare in argomento viene infatti trattato il tema delle “Presunzioni nel settore delle compravendite immobiliari”. Qui il Corpo di Polizia Economico-Finanziaria ricorda come le “cessioni di immobili effettuate nell’esercizio di impresa costituiscono operazioni che, sotto il profilo fiscale, sono suscettibili di rilevare, oltre che in materia di imposte sui redditi, anche ai fini dell’IVA, dell’imposta di registro e delle imposte ipotecaria e catastale”.
E proprio per l’interesse fiscale che generano tali particolari operazioni, nella citata circolare operativa viene ricordato che in sede di controllo è necessario far sì che la formulazione di eventuali rilievi per infedeltà del corrispettivo dichiarato nella compravendita di un immobile si basi non soltanto sullo scostamento tra il corrispettivo ed il prezzo mediamente praticato per immobili della stessa specie o similari, ma anche da ulteriori elementi presuntivi idonei ad integrare la prova del rilievo.
Ciò perché a seguito dell’entrata in vigore della Legge 7 luglio 2009, n. 88, è stata abrogata la presunzione legale collegata alla cessione di immobili, per cui si poteva provare l’infedeltà sulla base dello scostamento tra il corrispettivo delle cessioni ed il valore normale dei beni, desunto dal c.d. valore OMI, sia in ambito dell’IVA che del reddito d’impresa.
Il Manuale operativo della Guardia di Finanza ricorda inoltre, prendendo spunto dalla circolare n. 16/E del 28 aprile 2016 dell’Agenzia delle Entrate, che le quotazioni OMI, pur costituendo un punto di riferimento importante perché derivanti da puntuali analisi del mercato immobiliare, rappresentano solo il dato iniziale ai fini dell’individuazione del valore venale in comune commercio, per cui tali quotazioni devono essere necessariamente integrate anche da ulteriori elementi.
L’assunto sin qui evidenziato risulta perfettamente allineato a quanto stabilito recentemente dalla Corte di Cassazione.
La Sezione VI della Corte, infatti, con l’ordinanza n. 19798 del 26 luglio 2018 ha rimarcato questo concetto affermando che per l’avvio di una verifica incentrata sui prezzi di compravendita immobiliare ritenuti non veritieri, possa ritenersi corretto l’utilizzo dei valori OMI.
L’eventuale scostamento tra le quotazioni in argomento e il corrispettivo delle cessioni, però, non è sufficiente a giustificare un accertamento dell’Agenzia delle Entrate, che deve fondarsi, invece, su altri elementi presuntivi.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, una società immobiliare aveva proposto ricorso per un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate per maggiori ricavi ai fini IVA, maggior valore della produzione ai fini IRAP, oltre che maggiori redditi di partecipazione nella società immobiliare ai fini IRPEF per due soci, il tutto basato sulla rettifica del valore di alcuni immobili venduti in attività d’impresa (effettuata sulla scorta delle risultanze di indagini finanziarie).
I giudici di legittimità, partendo dalle conclusioni della sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, hanno constatato che il conseguimento, da parte della società immobiliare, di maggiori ricavi ottenuti dalla vendita di alcuni immobili si sia basata su alcuni precisi elementi presuntivi, ovverosia:
Le quotazioni OMI, invece, non risultavano valorizzate ai fini dell’accertamento, bensì utilizzate per dare l’avvio alla verifica.
Secondo gli ermellini, il ritenere, da parte della CTR, che tali elementi potessero integrare “presunzioni gravi, precise e concordanti, quanto meno sufficienti ad addossare alla contribuente un onere di prova contraria che invece non è stato minimamente assolto” si allinea al consolidato insegnamento della Corte.
La Corte ha anzi precisato quanto stabilito con un altro arresto, la sentenza n. 14388 del 9 giugno 2017: “l'accertamento di un maggior reddito derivante dalla cessione di beni immobili può essere fondato anche soltanto sull'esistenza di uno scostamento tra il minor prezzo indicato nell'atto di compravendita e l'importo del mutuo erogato all'acquirente, ciò non comportando alcuna violazione delle norme in materia di onere della prova”.