L’aggressione patrimoniale risulta essere una misura fortemente dissuasiva al compimento di reati tributari. Aspetto rilevante e talvolta non considerato è la possibilità di sottoporre a sequestro anche i beni che seppur intestati formalmente a terzi, rientrano pienamente nella disponibilità del reo
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Il documento di prassi operativa emanato quest’anno dal Comando Generale della Guardia di Finanza, denominato ““Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi” (circolare n. 1/2018), ha dedicato un intero capitolo del primo volume del Manuale all’aggressione patrimoniale all’evasione e alle frodi fiscali.
In questa parte del Manuale operativo si è quindi concentrata l’attenzione su una conseguenza pratica ed immediata, ovvero la confisca “diretta” o nella misura “per equivalente” di beni mobili e/o immobili, scaturente dalla commissione di delitti tributari ed ordinata dall’Autorità Giudiziaria.
Nell’approfondita analisi fatta nel documento de quo, la Guardia di Finanza rileva come a decorrere dal 1° gennaio 2008 l’art. 1, comma 143 della legge finanziaria per il 2008 (la n. 244/2007) ha previsto l’obbligatorietà della confisca del profitto dei reati fiscali, estendendo alla quasi totalità delle fattispecie penali tributarie la confisca nella forma “per equivalente”.
In particolare è stato reso applicabile anche ai reati tributati previsti dal D.Lgs. n. 74/2000 (ad eccezione del reato di “Occultamento o distruzione di documenti contabili” di cui all’art. 10) l’art. 322-ter c.p., per il quale quando non si rende possibile la confisca dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato, si procede con “la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto”.
Questa forma di confisca rappresenta l’alternativa all’aggressione patrimoniale di prassi, rappresentata dalla confisca “diretta” del prezzo e del profitto del reato.
Quest’ultima viene obbligatoriamente disposta sui beni che rappresentano, appunto, il prezzo o il profitto del reato, sempre che tali beni non appartengano a persona estranea al reato stesso. Tale misura afflittiva può avere ad oggetto solo quei beni per i quali sussista un “nesso di contiguità” con il delitto, ovverosia una relazione immediata, attuale e strumentale tra il bene da sottoporre a sequestro finalizzato a confisca e il reato per cui si procede.
Con riguardo ai beni che possono rientrare nel perimetro della confisca per equivalente, il Manuale operativo della Guardia di Finanza ricorda come gli stessi, pur non dovendo appartenere a “persona estranea al reato”, possono essere oggetto di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente se sono nella disponibilità del reo evasore.
In tal senso il documento di prassi in argomento esamina il concetto di “disponibilità” seguendo il recente percorso giurisprudenziale di legittimità ed in particolare quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nel 2016 con la sentenza n. 47300.
Con la sentenza n. 47300 del 10/11/2016 la Corte di Cassazione ha rilevato come ai fini del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, di cui all’art. 322-ter del codice penale, a differenza di quanto avviene con il sequestro preventivo ordinario, non occorre provare il c.d. “nesso di pertinenzialità” del bene sequestrato rispetto al reato commesso, considerato che possono essere assoggettati a confisca anche beni che si trovino solo nella disponibilità dell’indagato per un valore corrispondente a quello relativo al profitto o al prezzo del reato.
Sul concetto di “profitto del reato”, poi, gli ermellini ricordano come esso vada individuato in “qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario”.
Con riguardo, invece, al sequestro preventivo diretto alla confisca per equivalente, la Suprema Corte rammenta come questo possa ricadere su beni che si trovino nella disponibilità dell’indagato, indipendentemente da qualunque collegamento con il reato.
I giudici di Piazza Cavour, infine, con la sentenza in rassegna hanno ribadito un orientamento della Suprema Corte afferente il concetto di “disponibilità”: secondo i giudici di legittimità “la nozione di disponibilità non può essere limitata alla mera relazione naturalistica o di fatto con il bene, ma va estesa, al pari della nozione civilistica del possesso, a tutte quelle situazioni nelle quali il bene stesso ricada nella sfera degli interessi economici del prevenuto, ancorché il medesimo eserciti il proprio potere su di esso per il tramite di altri […]. Viene, dunque, in rilievo e legittima il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, la interposizione fittizia, vale a dire quella situazione in cui il bene, pur formalmente intestato a terzi, sia nella disponibilità effettiva dell’indagato o condannato”.
Proprio per le ragioni su espresse, la circolare 1/2018 della Guardia di Finanza sottolinea come l’Autorità Giudiziaria può pertanto ordinare l’apprensione di beni mobili, immobili o partecipazioni societarie che siano stati, attraverso sistemi più o meno complessi, falsamente intestati a terzi, ove venga fornita la prova che il reo possa disporne uti dominus (ovvero che ne possa disporre come se ne fosse il proprietario).