La cassazione è tornata a ribadire, come già fatto in passato, che in caso di mancanza di valide motivazioni nel decreto autorizzativo per l’accesso domiciliare finalizzato alla ricerca di prove di violazione tributaria, emesso dall’Autorità Giudiziaria a seguito di richiesta avanzata dalla Guardia di Finanza, gli elementi eventualmente raccolti durante l’accesso diventano inutilizzabili in sede di accertamento dell’Agenzia delle Entrate.
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Il tema oggetto di questo approfondimento è già stato trattato in un mio precedente speciale (“Illegittima la perquisizione domiciliare basata su denunce anonime”) e, come indicato in premessa, è ancora oggi oggetto di attenzione da parte dei giudici di legittimità.
Come sinteticamente esposto nello speciale de quo, l’argomento dell’accesso è stato trattato in maniera esaustiva nel documento di prassi operativa della Guardia di Finanza denominato “Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi” (circolare n. 1/2018), nel quale trova ampio spazio l’esame dei poteri in materia di imposte dirette e sul valore aggiunto e tra questi il potere di accedere presso i locali del contribuente, distinguendo in tal senso i seguenti tipi di accessi:
Il Manuale della Guardia di Finanza ricorda soprattutto che l’accesso è di fatto un atto amministrativo di natura autoritativa, che consiste nel potere di entrare e permanere, anche senza o contro il consenso di chi ne ha la disponibilità, nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali, in quelli utilizzati dagli enti non commerciali e da quelli che godono dei benefici di cui al D.Lgs. n. 460/1997, nonché nei locali adibiti ad abitazione.
Nel documento di prassi viene inoltre precisato che per “locale” vanno intesi non solo gli immobili e le relative pertinenze, ma anche taluni beni mobili quali aeromobili e natanti in cui gli organi ispettivi ritengono di poter reperire elementi utili all’accertamento.
Con la sentenza trattata in questo approfondimento, i giudici di Piazza Cavour hanno ribadito i limiti procedurali dell’accesso domiciliare, ricordando quanto già affermato in un arresto della Corte (sentenza n. 9565 del 23/04/2007), ovvero che il provvedimento autorizzativo all’accesso rilasciato dall’Autorità Giudiziaria: “trova causa e giustificazione nell’esistenza di gravi indizi di violazione della legge fiscale, la cui valutazione deve essere effettuata “ex ante” con prudente apprezzamento”.
La Suprema Corte, con la sentenza n. 20096 del 30/07/2018, si è espressa su un ricorso presentato da una ditta individuale esercente l’attività di ristorazione, che aveva subìto una verifica fiscale della Guardia di Finanza le cui risultanze erano scaturite da documentazione rinvenuta nel corso di una perquisizione domiciliare autorizzata dalla Procura della Repubblica.
Sulla scorta della documentazione reperita nel corso delle ricerche domiciliari, rappresentante una vera e propria contabilità parallela dell’attività esercitata, e quindi dei rilievi contenuti nel P.V.C emesso dalla Guardia di Finanza, l’Agenzia delle Entrate aveva emesso avvisi di accertamento e di rettifica per il recupero a tassazione di maggiori introiti ai fini delle imposte dirette e indirette.
Gli ermellini hanno dapprima ricordato quanto disposto dal D.P.R. n. 633/1972, art. 52, comma 2 e cioè che per l’accesso nei locali ad uso esclusivamente abitativo si richiede non solo l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica, ma anche la sussistenza di "gravi indizi di violazione tributaria", previsione questa che conferisce "all'autorizzazione medesima la portata, non di semplice nulla-osta da parte di un organo superiore, bensì di provvedimento valutativo della ricorrenza nella concreta vicenda di specifici presupposti giustificativi dell'ingresso nell'abitazione” (così nella sentenza della Corte di Cassazione n. 26829 del 18/12/2014); oltre a tale assunto, la Suprema Corte ha inoltre sottolineato quanto già espresso nella sentenza a Sezioni Unite n. 16424 del 21/11/2002 in merito alla mancata legittimità di un provvedimento autorizzativo fondato su informazioni anonime provenienti da persone non identificate, atteso che " […] nella disciplina civilistica delle prove, operante anche nei rapporti e nel processo tributario in difetto di esplicite o implicite deroghe, la nozione d'indizio è ricavabile dagli artt. 2727 c.c. e segg.", e che "l'indizio non è prova, nemmeno presuntiva, in quanto si esaurisce nella cognizione di un accadimento diverso da quello da dimostrare, in se’ non sufficiente per desumere il verificarsi di tale fatto da dimostrare secondo parametri di rilevante probabilità logica (id quod plerumque accidit)".
Ne consegue, hanno spiegato i giudici, che l’accesso in un’abitazione non può essere il primo atto ispettivo dopo una denuncia anonima, essendo necessaria un’attività di indagine e di riscontro per acquisire la cognizione di fatti. Pertanto va esclusa l’ipotesi di effettuare un accesso domiciliare presso un contribuente a titolo meramente esplorativo, cioè finalizzato solo ad accertare fatti al momento totalmente sconosciuti o prospettabili sulla scorta di pura supposizione.
In conclusione con tale arresto la Corte di Cassazione, allineandosi a quanto già stabilito in precedenti sentenze, ha affermato che se si rilevano carenze nel presupposto dei gravi indizi di violazione di norme tributarie, con conseguente difetto di motivazione del decreto di accesso domiciliare del Procuratore della Repubblica, le prove di evasione acquisite durante l’accesso a sostegno dell’accertamento tributario divengono inutilizzabili “[…] derivando detta inutilizzabilità non da una espressa disposizione sanzionatoria, ma dalla regola generale secondo cui l'assenza del presupposto di un procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola”.