Il commercialista non è responsabile della frode se il cliente non dimostra che il progetto criminoso era imputabile al consulente stesso
Il commercialista può essere chiamato a rispondere, a titolo di concorso, per la violazione tributaria posta in essere dal cliente, quando ciò avvenga in modo seriale, attraverso l’elaborazione e la commercializzazione di modelli di evasione dei quali lo stesso sia consapevole ispiratore della frode, anche se poi il beneficio conseguito ricade solamente sul cliente. Ciò nonostante l’imprenditore, che pone in essere la frode, è sempre responsabile, ed in specie quando non sia in grado di dimostrare la sua estraneità al progetto criminoso che intende scaricare sul Commercialista.
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I reati e le pene
Un uomo, nei due gradi di merito, era stato ritenuto responsabile:
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Del reato di bancarotta fraudolenta documentale,
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Di aver cagionato fallimento tramite operazioni dolose ex articoli 223, comma I, 216, comma I, n. 2, 223, comma II, 219, comma II, n. 1, Legge Fallimentare,
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Del reato di cui all’art. 10 quater del D.Lgs. 10 marzo 2000 n.74,
pertanto:
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l’uomo veniva condannato alla pena di anni 2 e mesi 2 di reclusione,
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era stato ritenuto sussistente il vincolo della continuazione,
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venivano concesse le attenuanti generiche prevalenti, con le pene accessorie di legge.
I fatti
Al ricorrente era stato contestato, in qualità di socio accomandatario illimitatamente responsabile e di amministratore di una società di persone, dichiarata fallita nel 2011, di:
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aver sottratto e distrutto libri e scritture contabili della società allo scopo di procurarsi ingiusto profitto e di danneggiare i creditori,
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aver tenuto libri e scritture in modo tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari,
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aver cagionato il fallimento della società con operazioni dolose, in particolare omettendo sistematicamente il pagamento delle obbligazioni tributarie e delle obbligazioni contributive verso gli enti previdenziali, con la maturazione di un debito complessivo di € 1.818.914,
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non aver versato l’IVA per l’anno di imposta 2009 entro il termine per il versamento dell’acconto per l’anno successivo, utilizzando in compensazione crediti non spettanti per € 62.005,00.
Il ricorso
Nel ricorso per Cassazione, ritenuto infondato dalla Corte, con conseguente conferma della condanna (Corte di Cassazione, Sezione 5 penale, Sentenza 6 settembre 2018, n. 40100), l’uomo rileva, peraltro, che la documentazione contabile e fiscale era tenuta da consulenti esterni, sicché lo stesso non doveva rispondere del loro operato per mera mancata vigilanza.
L’orientamento della Corte
I giudici rammentano che, secondo la giurisprudenza in tema di reati tributari:
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anche il consulente fiscale può essere responsabile, a titolo di concorso, per la violazione tributaria commessa dal cliente, quando, in modo seriale, ossia abituale e ripetitivo, attraverso l’elaborazione e commercializzazione di modelli di evasione, sia stato il consapevole e cosciente ispiratore della frode, anche se di questa ne abbia beneficiato il solo cliente (cfr. Cassazione, Sezione III, n. 1999 del 14 novembre 2017);
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non può esimersi da responsabilità l’imprenditore che abbia posto in essere la frode, specie in totale difetto di allegazione e dimostrazione della propria pretesa estraneità al progetto criminoso addebitato al commercialista.
Il principio affermato dalla Corte per il concorso al reato del commercialista
Anche il consulente fiscale può essere responsabile a titolo di concorso per la violazione tributaria commessa dal cliente quando in modo seriale, mediante l’elaborazione e commercializzazione di modelli di evasione sia stato consapevole e cosciente ispiratore della frode, pure se di questa ha beneficiato solo il cliente. Certamente non può andare esente da responsabilità l’imprenditore che ha posto in essere la frode, specie se non sia in grado di dimostrare la sua estraneità al progetto criminoso che vuole scaricare sul commercialista.