La Cassazione nella ordinanza n. 18164 del 20 luglio 2018 riconferma ed amplia la tutela del lavoratore nei caso di danno alla salute causato da comportamenti mobbizzanti. I giudici affermano infatti che lo "straining" è una forma attenuata di mobbing per la quale il datore di lavoro è ugualmente responsabile.
Nel caso specifico, il fatto che il ricorso della lavoratrice utilizzasse un termine invece dell'altro non è rilevante, per cui i giudizi di merito vengono ribaltati per essere stata comunque verificata la sussitenza della condotta ostile dei superiori verso la lavoratrice; situazione che ne aveva causato la malattia e il superamento del periodo di comporto, con conseguente licenziamento.
La conclusione dei giudici di legittimità è che "non integra violazione dell'art. 112 c.p.c. l'aver qualificato la fattispecie come straining mentre in ricorso si sia fatto riferimento al mobbing, in quanto si tratta soltanto di adoperare differenti qualificazioni di tipo medico-legale, per identificare comportamenti ostili, in ipotesi atti ad incidere sul diritto alla salute, costituzionalmente tutelato".
La sentenza ricorda come il datore di lavoro sia tenuto ad evitare situazioni 'stressogene' che diano origine ad una condizione che, per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto possa presuntivamente ricondurre a questa forma di danno anche in caso di mancata prova di un preciso intento persecutorio.
L'articolo continua dopo la pubblicità
Per approfondire scarica il Commento completo con il testo integrale della sentenza "Straining e mobbing: responsabilità del datore di lavoro" (PDF 10 pagine)
Ti puo interessare l'abbonamento ai COMMENTI ALLA GIURISPRUDENZA FISCALE E DEL LAVORO: I nostri esperti legali commentano settimanalmente le pronunce piu interessanti con analisi normative, orientamenti giurisprudenziali e testo integrale delle sentenze.
Il mobbing, termine generalmente impiegato nel campo della medicina del lavoro per designare una forma di vero e proprio terrore psicologico, si verifica sui luoghi di lavoro da parte di colleghi e/o di superiori gerarchici (orizzontale-verticale) allorquando il lavoratore diviene vittima di sistematiche, persistenti e progressive azioni ad alto contenuto persecutorio con lo scopo di causare alla vittima danni di vario tipo e gravità. Tale conflittualità sistematica, da un punto di vista medico, provoca la conseguenza per la quale "il mobbizzato si trova nell'impossibilità di reagire adeguatamente a tali attacchi e, a lungo andare, accusa disturbi psicosomatici relazionali e dell'umore, che possono portare anche a invalidità psicofisiche permanenti di vario genere e percentualizzazione".
La giurisprudenza è generalmente concorde nel riferire il concetto di mobbing a condotte datoriali volte a vessare sistematicamente il lavoratore dipendente, mediante l'impiego di atti e condotte (anche eventualmente legittimi) frequenti e perduranti nel tempo, preordinate a menomarlo sul piano dell'autoconsiderazione e dell'equilibrio psicofisico, al fine, per lo più, di ottenerne la fuoriuscita dai ranghi aziendali, per sua iniziativa "spontanea".
Il termine straining deriva dall'inglese “to strain”, il quale evoca un significato molto simile a quello di “to stress” (stringere, distorcere, mettere sotto pressione). Lo “straining” indica una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima - il lavoratore -, subisce da parte dell'aggressore - to strainer, che solitamente è un superiore -, almeno un'azione ostile e stressante, i cui effetti negativi sono di durata costante nel tempo. La vittima, inoltre, deve trovarsi in persistente inferiorità rispetto allo strainer, la cui azione viene diretta volontariamente contro una o più persone, sempre in maniera discriminante. (...)
Lo straining si differenzia dal mobbing per il modo in cui è perpetrata l'azione vessatoria. Difatti, ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo devono ricorrere:
a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio - illeciti o anche leciti se considerati singolarmente - che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi;
b) l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;
c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psicofisica e/o nella propria dignità;
d) l'elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi" .
Nello straining, invece, viene meno il solo carattere della continuità delle azioni vessatorie. Si pensi, a titolo meramente esemplificativo, al demansionamento, alla dequalificazione, all'isolamento o alla privazione degli strumenti di lavoro: si tratta, certamente, di situazioni stressanti che possono anche causare gravi disturbi psicosomatici, ma non di azioni ripetute nel tempo.