Le presunzioni fiscali consentono all’Amministrazione finanziaria, in presenza di determinati presupposti, di ricostruire la base imponibile del contribuente, ma il loro ruolo può non limitarsi a questo, dato che possono trovare ingresso anche nel processo penale-tributario.
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Dall’art. 2727 del codice civile è possibile ricavare la nozione di presunzioni: “Le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignorato”.
Queste possono poi suddividersi in presunzioni legali e presunzioni semplici. In ambito tributario le prime sono quelle il cui valore probatorio è riconosciuto dalla legge e che da sole sono sufficienti a legittimare la rettifica del reddito imponibile, mentre le seconde devono essere gravi, precise e concordanti e devono essere provate in giudizio.
Riguardo l’onere della prova, per le presunzioni legali questo ricade sul contribuente, mentre per le presunzioni semplici l’onere rimane a carico dell’Amministrazione finanziaria.
In campo tributario l’utilizzo delle presunzioni ha uno spettro piuttosto ampio, basti pensare agli accertamenti relativi alle diverse imposte o alle presunzioni utilizzabili con gli studi di settore. Riguardo il loro utilizzo, però, recentemente l’Amministrazione finanziaria, attraverso la circolare n. 16/E del 28 aprile 2016 dell’Agenzia delle Entrate, ha sottolineato che: “L’utilizzo delle presunzioni deve essere attentamente valutato e portare a risultati realistici e coerenti con la effettiva capacità contributiva del soggetto indagato. Le presunzioni fissate dalla norma a salvaguardia della pretesa erariale devono essere applicate dall’ufficio secondo logiche di proporzionalità e ragionevolezza, avulse da un acritico automatismo e ricorrendo in via prioritaria alla collaborazione del contribuente ed alle dimostrazioni che questi potrà addurre a titolo di giustificazione”.
Il tema della valenza delle presunzioni tributarie nel diritto penale è stato trattato anche nella recente circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza, intitolata “Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali” in vigore dal 1° gennaio del 2018.
Nella circolare viene preliminarmente specificato che secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale le presunzioni fiscali, nonostante non rivestano il valore di prova per i reati tributari, rilevano comunque sul piano indiziario penale ed esse sono a tutti gli effetti idonee ad integrare la notizia di reato.
A supporto di questo assunto si pongono le indicazioni fornite dall’art. 192, comma 2 c.p.p., a mente del quale “l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti”.
Ciò non vuol dire che nel processo penale tributario possano trovare ingresso le presunzioni utilizzate in sede fiscale in maniera incondizionata seppur gravi, precise e concordanti, come di contro non si può pensare che presunzioni tributarie non caratterizzate da gravità, precisione e concordanza debbano necessariamente essere escluse dal processo penale.
In tal senso la Corte di Cassazione ha affermato che in particolari casi le presunzioni fiscali possono essere tenute in considerazione dal giudice penale, che può ritenerle utili sul piano indiziario e per tale motivo sottoporle a riscontri autonomi.
Nella sentenza n. 23489 del 5 giugno 2014 i giudici di Piazza Cavour, con riguardo alle presunzioni tributarie, hanno affermato che: “per giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte in materia di reati tributari, il giudice, nella formazione del suo convincimento, è certamente tenuto all’osservanza dei canoni giuridici che in linea generale governano l’acquisizione, la verifica e la valutazione dei dati probatori; e, perciò, in mancanza di elementi oggettivi, - documenti, deposizioni testimoniali ecc. – non può ignorare la cosiddetta prova logica e neppure le presunzioni secondo la normativa tributaria, avvalendosi, in tal caso, dei dati ontologici, processualmente acquisiti, con una libera valutazione ai fini probatori anche sulla base delle regole di esperienza, senza rimettersi alle valutazioni effettuate da parte degli uffici finanziari”.
Gli ermellini hanno inoltre aggiunto che: “la possibilità di ricorso alla presunzione – intesa come particolare disciplina probatoria che consente, per la ricostruzione di un maggior reddito, di ritenere esistenti determinati fatti in via induttiva – quale accertamento cosiddetto induttivo espressamente facoltizzato dall’art. 39 D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 in presenza di determinate violazioni di obblighi tributari: anche se, ovviamente, dovendo essere oggetto di autonoma considerazione critica da parte del giudice penale, non può essa svolgere nel processo penale quella stessa funzione “cogente” del convincimento del giudicante che, invece, riveste nella valutazione del giudice tributario”.