Il tema della valenza probatoria delle dichiarazioni rese dal contribuente durante un’attività ispettiva è da tempo oggetto di attenzione sia sul piano operativo che su quello giurisprudenziale. Anche la recente circolare n. 1/2018 della Guardia di Finanza ha trattato l’argomento esaminandone gli aspetti salienti.
L'articolo continua dopo la pubblicità
Segui gli aggiornamenti nel Dossier gratuito Verifiche Fiscali Guardia di Finanza: Manuale operativo 2018
Dello stesso autore ti potrebbero interessare gli e-book:
Come anticipato in premessa, l’importante tema della valenza delle dichiarazioni rese da parte dello stesso soggetto sottoposto a verifica o a controllo sono state trattate nella recente circolare del Comando Generale della Guardia di Finanza n. 1/2018, ma l’argomento aveva già trovato spazio nel precedente documento di prassi, la circolare n. 1/2008.
Nella nuova circolare operativa, intitolata “Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali” e in vigore dal 1° gennaio di quest’anno, si sottolinea l’importanza di acquisire in atti e quindi nei processi verbali di verifica redatti giornalmente e nel conclusivo processo verbale di constatazione le dichiarazioni rese dal contribuente oggetto del controllo/verifica fiscale.
Va rammentato che il processo verbale di constatazione, quale atto redatto da pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni è, ai sensi dell’art. 2699 c.c., un atto pubblico e costituisce, secondo i principi generali, un atto fidefacente che “fa prova fino a querela di falso”, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2700 del Codice Civile (limitatamente alle dichiarazioni rese e ai fatti compiuti in presenza dei verbalizzanti).
Ferma restando l’importanza che riveste il confronto tra il Fisco ed il contribuente durante l’attività ispettiva ed il fatto che le dichiarazioni da questo rilasciate e verbalizzate consentono all’Amministrazione finanziaria di ricostruire singoli aspetti della complessiva gestione di una attività di impresa o professionale, non va tralasciato che la possibilità di rivolgere al soggetto ispezionato richieste di chiarimenti, informazioni e delucidazioni, nonché di acquisire (verbalizzandole) le osservazioni o le richieste formulate dal contribuente è espressamente prevista dall’articolo n. 51, comma 2 del D.P.R. n. 633/1972 e dall’art. 32, comma 1 del D.P.R. n. 600/1973.
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale le dichiarazioni rese dal contribuente nel corso di un’attività ispettiva, o meglio quelle rese dal rappresentante legale di una società in sede di verifica fiscale, possono essere apprezzate come una confessione stragiudiziale, costituendo pertanto prova non già indiziaria, ma diretta del maggior imponibile eventualmente accertato nei confronti della società.
Questo in sintesi quanto stabilito dagli ermellini nella sentenza n. 20980 del 16 ottobre 2015. La dichiarazione contra se rilasciata dal contribuente nel corso dell’attività di verifica, riportata nel processo verbale di constatazione e sottoscritta dal dichiarante, assurge quindi a confessione stragiudiziale.
Come ricordato dalla circolare n. 1/2018 della Guardia di Finanza, a mente dell’art. 2735 c.c. questa particolare confessione fatta alla parte o a chi la rappresenta produce l’effetto, al pari di quella giudiziale, di fare piena prova contro colui che l’ha formulata.
La Suprema Corte, però, ha escluso l’efficacia di prova legale per tali dichiarazioni, specificando che pur non formando piena prova contro chi le ha rese, queste vanno liberamente apprezzate dal giudice, il quale, dato il loro particolare valore, deve adeguatamente motivarne l’eventuale mancata utilizzazione (Cassazione sentenza n. 11170 del 11 giugno 2004).
Il Manuale operativo della Guardia di Finanza sottolinea infine che anche attribuendo alle dichiarazioni rese dal contribuente in sede di verifica fiscale valore di confessione, la loro efficacia probatoria può prodursi unicamente in relazione a fatti e accadimenti materiali e non anche per opinioni o giudizi di fatto o di diritto.