Prima di analizzare l’evoluzione giurisprudenziale di legittimità nell’ambito dell’applicazione dell’Irap alla categoria professionale dei medici, è opportuno fissare un punto di inizio che, nella fattispecie, coincide con la sentenza della Corte Costituzionale n. 156/2001 nella quale i giudici hanno dato una lettura orientata del presupposto dell’Irap, stabilendo che quest’ultima non è un’imposta sul reddito bensì un’imposta a carattere reale che colpisce il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate. Tuttavia la Corte non ha ben definito il concetto vero e proprio di “autonoma organizzazione”, ragion per cui nel corso degli anni si è assistito a numerose pronunce giurisprudenziali contraddittorie fra di loro che in relazione ai casi concreti hanno via via interpretato in maniera differente la locuzione autonoma organizzazione.
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L’analisi evolutiva dell’applicazione del tributo in capo alla categoria dei medici, estendibile in generale a tutti i singoli professionisti, parte da una serie di interventi resi nel 2007 dalla Corte di Cassazione (ex multibus, 3672, 3673, 3675, 3676, 3678) nelle quali è stato stabilito che l’autonoma organizzazione consiste, riassumendo, “nell’esistenza di una struttura organizzativa esterna del lavoro autonomo e cioè quel complesso di fattori dei quali il professionista si avvale e che per numero ed importanza sono suscettibili di creare valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili di corredo al know-how”. In buona sostanza il detto requisito sussiste quando il contribuente eserciti l’attività di lavoro autonomo con impiego di beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività auto-organizzata per il solo lavoro personale, o si avvalga, in modo non occasione, del lavoro altrui.
Sin dagli anni 2007-2008, numerose pronunce hanno espresso orientamenti contrastanti. L’orientamento maggioritario prevedeva che sussistesse autonoma organizzazione, e quindi che il medico fosse soggetto IRAP, nel caso in cui questi impiegasse beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo “l’id quod plerumque accidit”, costituiscano il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività e nell’avvalersi, in modo non occasionale, di lavoro altrui.
È proprio su quest’ultimo punto, cioè quello dell’avvalersi del lavoro altrui, che è sorto un dibattito giurisprudenziale piuttosto acceso che vedeva da una parte l’orientamento maggioritario propenso nel ritenere esistente il presupposto dell’autonoma organizzazione qualora il medico avesse alle proprie dipendenze anche solo personale di segreteria, sia a tempo pieno che a tempo parziale. Secondo un orientamento minoritario invece la presenza di un dipendente non costitutiva di per sé fattore decisivo ed insuperabile per determinare il riconoscimento della stabile organizzazione, bensì era opportuno, di volta in volta, verificare se la struttura organizzativa costituiva un elemento potenziatore ed aggiuntivo ai fini della produzione del reddito.
Ed è proprio quest’ultima corrente di pensiero che nel corso degli anni ha preso sempre più il sopravvento, andandosi ad instaurare come principio di diritto applicato regolarmente dalla Suprema Corte. Un solo dipendente infatti, part time o con funzioni di segreteria o di mera organizzazione, non accresce la capacità produttiva del professionista e non costituisce un fattore impersonale ed aggiuntivo alla produttività del contribuente (sentenze, tra le tante, 22024/2013, 7153/2014, 6945/2014, 3755/2014, 26982/2014, 26991/2014, 1542/2015). È compito del giudice di merito verificare se la prestazione lavorativa dipendente accresca il valore aggiunto prodotto dalla mera attività intellettuale del professionista.
Lo stesso discorso, circa l’accrescimento della produttività, è stato analizzato dalla Suprema Corte in relazione anche alla disponibilità di beni ed attrezzature mediche da parte dei professionisti.
L’Agenzia delle Entrate, sovente, ha fondato le proprie ragioni nei giudizi di merito sul presupposto che, in virtù della disponibilità da parte del medico di strumenti e di attrezzature particolarmente onerosi, si rientrasse nella definizione di autonoma organizzazione e quindi vi fosse assoggettamento all’Irap. Ma, tali argomentazioni sono state profondamente respinte dalla giurisprudenza, la quale, riguardo soprattutto ai medici convenzionati con il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) per i quali è prevista una dotazione minima di mezzi per poter beneficiare di detta convenzione, ha stabilito che, anche in questo caso, va verificata in concreto, caso per caso, la sussistenza di autonoma organizzazione in considerazione dell’eccedenza rispetto ai minimi necessari (Cass. 1542/2015). In alcuni casi è stato sancito, ad esempio con la sentenza n. 13048/2012 che gli strumenti di diagnosi, per quanto complessi e costosi che siano, rientrano nelle attrezzature usuali per i medici di base, (e a maggior ragione per gli specialisti) nell’ottica di garantire al pubblico un servizio improntato alla completezza ed alla specificità, specialmente per quanto riguarda i medici di base che, nella loro qualità, devono essere in grado di poter individuare subito ciò che affligge il paziente e di poterlo quindi correttamente indirizzare. Il tutto in ossequio alla tutela costituzionale della salute pubblica.
Negli ultimi anni, a partire dal 2015, la Suprema Corte si è interrogata sul fatto che l’utilizzo comune, tra medici, di attrezzature e personale, fosse da ricondurre sotto il profilo dell’autonoma organizzazione oppure no.
Già con la sentenza n. 1162/2015 i giudici di legittimità hanno negato la riconducibilità all’autonoma organizzazione, poiché l’utilizzo comune di attrezzature e di personale non è di per sé qualificabile come associazione professionale bensì è una mera condivisione di servizi volta a garantire al pubblico un servizio tanto più completo e centralizzato.
Tale principio è stato di recente stabilito dalla Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 7291/2016, a mente della quale viene confermata l’assoggettabilità al tributo in caso di associazione professionale in quanto tale, senza neanche la necessità di effettuare un indagine sull’esistenza o meno dell’autonoma organizzazione, mentre per quanto riguarda la c.d. “medicina di gruppo”, prevista anche dal SSN, che non è riconducibile a società od enti, ma è funzionale, si ribadisce, ad offrire al pubblico un servizio quanto più completo, le spese di segreteria, di infermieristica, nonché di attrezzatura comune, non sono idonee a far sorgere il presupposto dell’imposta in capo ai singoli medici.
Altre ipotesi di non assoggettabilità all’Irap da parte dei medici si rinvengono qualora questi svolgano attività in strutture pubbliche gestite da altri (ad es. il direttore sanitario di una struttura ospedaliera) , in quanto viene meno il presupposto dell’autonoma organizzazione (Cass. 9693/2012; Cass. 27032/2013).
Un altro caso riguardante un medico convenzionato col SSN che era titolare di due studi, è stato risolto favorevolmente dalla Cassazione (sentenza n. 2967/2014), la quale ha stabilito che l’utilizzazione dei due studi non era di per sé sintomo dell’esistenza di un’autonoma organizzazione, bensì costituiva uno strumento più comodo per il pubblico e migliore per l’esercizio dell’attività professionale autonoma.
Si vede, in definitiva, come sia mutato l’orientamento della Corte di Cassazione nel corso degli anni, essendo arrivati, specialmente con l’ultima sentenza resa dalle Sezioni Unite, ad una svolta importante che si auspica possa mettere la parola fine ad un’incertezza sull’applicabilità o meno del tributo durata molti anni. Le Commissioni Tributarie, ad ogni modo, su indicazione della Suprema Corte, devono correttamente motivare, con un elevato grado di certezza e analiticità quali sono gli elementi su cui basano il proprio convincimento al fine della riconducibilità all’autonoma organizzazione e quindi all’applicazione del tributo.