Nell’ambito di indagini sulla commissione di reati tributari, può essere richiesta l’adozione di misure cautelari di carattere reale sui beni dell’autore del reato. Possono quindi essere sottoposti a sequestro disponibilità finanziarie o altre liquidità (titoli, valori), ma nel caso in cui si renda necessario sequestrare beni diversi dal denaro, la misura cautelare può colpire anche le unità immobiliari.
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Come anticipato in premessa, già nella fase delle indagini preliminari il G.I.P. giudice per le indagini preliminari può disporre il sequestro preventivo dei beni dell’autore di un reato tributario, i quali, di conseguenza, vengono sottratti alla disponibilità del proprietario, che non potrà pertanto venderli o comunque utilizzarli ad alcun titolo.
Tale istituto si fonda sulle disposizioni contenute nell’art. 321 del Codice di procedura penale, che al comma 1 stabilisce che: “Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato. Prima dell'esercizio dell'azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari”, mentre al secondo comma afferma che il giudice “può altresì disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca”.
Va ricordato che l’estensione dell’applicazione delle misure cautelari ai reati tributari (ad eccezione del reato di “Occultamento o distruzione di documenti contabili”) di cui al D.Lgs. n. 74/2000 va ricondotta alla Legge 24 dicembre 2007 n. 244 e che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, può essere disposto non soltanto per il prezzo, ma anche per il profitto del reato, che può essere costituito da qualsiasi vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può consistere anche in un risparmio di spesa (come quello derivante dal mancato pagamento dei tributi), interessi o sanzioni dovuti a seguito di un accertamento fiscale.
L’esame dell’aggressione patrimoniale derivante dalla commissione di reati fiscali è stato particolarmente approfondito nel recente “Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali” della Guardia di Finanza (circolare n. 1/2018).
Con riguardo ai predetti concetti di prezzo e profitto del reato, in relazione all’applicazione della misura cautelare, il documento di prassi specifica che:
“Il prezzo del reato è rappresentato dal compenso o dal corrispettivo ricevuto o promesso per indurre, determinare o istigare qualcuno a commettere un reato: si sostanzia, in ambito penal-tributario, ad esempio, nel quantum percepito dall’emittente di fatture per operazioni inesistenti oppure da colui il quale occulti o distrugga le scritture contabili per consentire a terzi l’evasione.
Il profitto, invece, è costituito “dal lucro, e cioè dal vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato” (Cass., SS.UU., 17 ottobre 1996, n. 9149): in campo tributario, va spesso individuato, piuttosto che nella produzione di novella ricchezza da sottoporre a tassazione, come nel caso di un fittizio credito di imposta che generi un indebito rimborso, in un mancato decremento patrimoniale, connesso ad un risparmio d’imposta”.
Nei casi di mancato rinvenimento del profitto o del prezzo del reato nella sfera economica, giuridica e patrimoniale del soggetto destinatario di misura cautelare, si può comunque procedere con un sequestro per equivalente di beni che non abbiano alcun collegamento con l’attività delittuosa e di cui il reo abbia la disponibilità.
In questi casi, quindi, non è necessario che sussista un vincolo di derivazione del bene sequestrato dal fatto reato.
Nella circolare n. 1/2018 viene evidenziato comunque che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 40358 del 28 settembre 2016, ha chiarito che il valore dei beni per i quali viene adottato il sequestro per equivalente “deve sempre essere adeguato e proporzionato al prezzo o al profitto del reato e il giudice, nel compiere tale verifica, deve fare riferimento alle valutazioni di mercato degli stessi, avendo riguardo al momento in cui il sequestro viene disposto”.
Nell’approfondita disamina dell’argomento, il Manuale operativo della Guardia di Finanza analizza l’esecuzione delle misure cautelari di carattere reale, anche nella forma per equivalente, poste in essere sui diversi beni e tra questi anche sulle unità immobiliari, nei casi in cui si rende necessario sequestrare beni diversi dal denaro.
Seguendo le indicazioni fornite dalla giurisprudenza di legittimità, il documento di prassi esamina dapprima il problema delle modalità di stima dei beni immobili da sottoporre a sequestro. In tal senso si evidenzia come la giurisprudenza abbia ritenuto corretto ricavare il valore dell’immobile desumendolo dal valore di mercato elaborato dalla ormai soppressa Agenzia del territorio. Di conseguenza viene ritenuto corretto far ricorso ai valori dell’Osservatorio Immobiliare (OMI) dell’Agenzia delle Entrate.
Ai fini operativi, la circolare n. 1/2018 specifica poi che il provvedimento di sequestro immobiliare deve essere notificato presso la conservatoria dei registri immobiliari, trascrivendo il vincolo del sequestro su ogni unità oggetto di misura cautelare e conferendo così pubblicità legale all’atto.
Infine il Manuale operativo rammenta quanto affermato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 23716 del 15 dicembre 2016, ovvero che nel caso in cui il bene immobile sottoposto a sequestro sia di proprietà del condannato ed anche di un terzo, il provvedimento di sequestro non intacca il diritto di proprietà del terzo.