La Corte di Cassazione con sentenza n. 29062 del 5 dicembre 2017 ha ritenuto illegittimo il licenziamento di un lavoratore che era stato trovato in alcune occasioni lontano dall'abitazione materna durante il congedo straordinario retribuito, ottenuto per dare assistenza alla madre disabile.
I supremi giudici infatti hanno affermato che chi beneficia del congedo straordinario puo legittimamente dedicare del tempo alle proprie esigenze personali , che comprendono la necessità di riposo e il recupero delle energie psicofisiche , posto che sia certo " l'intervento assistenziale permanente, continuativo e globale con il disabile". Nel caso era risultato provato che il lavoratore assisteva la madre di notte per problemi di insonnia e pericolo di fuga dall'abitazione da parte dell'anziana , turnandosi di giorno con altre persone.
L'insussistenza del fatto disciplinare, tra l'altro, porta all'applicazione dell'obbligo di reintegra e di risarcimento del danno per il licenziamento illegittimo ( ex art. 18 L.300 1970).
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Il lavoratore aveva trasferito la residenza presso l'abitazione della madre affetta da grave disabilità, e il 30 agosto 2012 presentò all'INPS domanda di congedo straordinario retribuito ai sensi dell'art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001 per assistere l'ammalata, beneficio cui venne ammesso per due anni.
In seguito ad indagine di società investigativa la datrice di lavoro contestò al lavoratore che, nel periodo 3-4-5-6 giugno 2013 e nel periodo 11-12-13-14 giugno 2013, durante il giorno non era stato visto nell'abitazione della madre, ma presso la sua casa, addebitando così la difformità dei suoi comportamenti "sia rispetto a quella necessità di un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nei confronti della persona in condizione di handicap in situazione di gravità, sia in relazione al necessario requisito della convivenza con il soggetto disabile grave, così come invece previsto dalle disposizioni di legge e dall'Inps".
Il lavoratore si giustificò affermando di aver prestato assistenza notturna alla madre, risultando anche dalla certificazione medica specialistica che costei aveva tendenza alla fuga, insonnia notturna e tratti di ipersonnia diurna, per cui si poneva la necessità per il figlio di restare sveglio la notte per assistere il genitore, ed evitare possibili fughe già verificatesi in passato.
L’azienda, comunque, a causa dell'esito dei controlli investigativi, intimò il licenziamento disciplinare con preavviso.
Il Tribunale ha dichiarato l'illegittimità del licenziamento, con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro oltre al risarcimento del danno, sul presupposto della insussistenza del fatto addebitato. La società ha presentato reclamo in Appello, il quale ha confermato l'illegittimità del licenziamento.
In Cassazione, è stato presentato ricorso principale del lavoratore e ricorso incidentale del datore di lavoro.
I motivi del ricorso principale del lavoratore sono tre:
1) si denuncia violazione di norme di Costituzione, di legge e di CCNL dei metalmeccanici, per avere la sentenza impugnata, pur acclarata l'assistenza notturna del figlio alla madre disabile e quindi l'illegittimità del licenziamento, disconosciuto la tutela reintegratoria, pretendendo di qualificare l'assistenza dovuta dal lavoratore "quale principale e privilegiata, in assenza di qualsivoglia norma giuridica impositiva della prestazione";
2) si denuncia che la Corte di Appello ha omesso di valutare se il fatto contestato al lavoratore rientrasse tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi;
3) si denuncia che la Corte ha determinato in 15 mensilità l'ammontare della indennità risarcitoria.
Invece, i motivi del ricorso incidentale della società sono tre:
1) si denuncia violazione e falsa applicazione "della legge n. 104, dell'art. 24, legge n. 183 del 2010 e dell'art. 42 del d. Igs. n. 151 del 2001" per avere la sentenza impugnata ritenuto la legittimità del licenziamento, nonostante il lavoratore durante le giornate oggetto di accertamento investigativo si fosse dedicato ad attività di proprio personale interesse e non risultasse neanche dimostrato "che in questo lasso di tempo il ricorrente abbia effettivamente prestato assistenza alla madre disabile";
2) si denuncia che la sentenza di appello "ha ritenuto che la fattispecie de qua non giustificasse il recesso in tronco del rapporto di lavoro";
3) si critica la sentenza d'appello a mente dell'art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., per non avere "sufficientemente motivato la ragione per cui ha ritenuto di confermare la misura dell'indennità risarcitoria pari a 15 mensilità di retribuzione".
(...)
(..) La Suprema corte afferma che :"In ordine alla controversia in esame, i giudici di merito hanno accertato che il lavoratore prestava continuativa assistenza notturna alla disabile, alternandosi durante il giorno con altre persone. L'addebito, così come contestato, è da ritenere insussistente, proprio perchè è stato smentito, secondo la ricostruzione intangibile degli stessi giudici del merito, che il figlio convivente non prestasse l'assistenza dovuta alla madre.
Nè può ritenersi che l'assistenza che legittima il beneficio del congedo straordinario possa intendersi esclusiva al punto da impedire a chi la offre di dedicare spazi temporali adeguati alle personali esigenze di vita, quali la cura dei propri interessi personali e familiari, oltre alle ordinarie necessità di riposo e di recupero delle energie psico-fisiche, sempre che risultino complessivamente salvaguardati i connotati essenziali di un intervento assistenziale che deve avere carattere permanente, continuativo e globale nella sfera individuale e di relazione del disabile.
In definitiva, pur risultando materialmente accaduto che il lavoratore si trovasse in talune giornate del giugno 2013 lontano dall'abitazione della madre ciò non è sufficiente a far ritenere sussistente il fatto contestato perchè, una volta accertato che, ferma la convivenza, questi comunque prestava continuativa assistenza notturna alla disabile, alternandosi durante il giorno con altre persone, con modalità da considerarsi compatibili con le finalità dell'intervento assistenziale, tanto svuota di rilievo disciplinare la condotta tenuta".
Pertanto l'accoglimento del motivo scrutinato determina la cassazione della sentenza impugnata sul punto affinchè il giudice del rinvio applichi alla fattispecie concreta l’art. 18, comma 4, della l. 300/1970, come modificato dalla l. 92/2012, il quale prevede che "il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perchè il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili", annulla il licenziamento e condanna il datore alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al pagamento di una indennità risarcitoria dal giorno del recesso alla reintegrazione effettiva, comunque non superiore alle dodici mensilità, oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.