Speciale Pubblicato il 07/06/2017

Tempo di lettura: 3 minuti

Licenziabile il manager che svolge attività personali in orario di lavoro

di Avv. Rocchina Staiano

Per la Cassazione lo svolgimento di attività extralavorativa in orario aziendale lede il vincolo fiduciario con il dipendente con mansioni direttive



Lo svolgimento di attività extra lavorativa durante l'orario di lavoro, seppure in un settore non interferente con quello curato dal datore di lavoro, da parte di un responsabile commerciale con notevole autonomia nella gestione della attività,  lede  il vincolo fiduciario tra le parti anche quando non comporta un danno economico all'Azienda e giustifica il licenziamento. In  tale caso infatti le energie lavorative del prestatore vengono distolte ad altri fini e, quindi, finisce per essere non giustificata la corresponsione della retribuzione che, in relazione alla parte commisurata all'attività non resa, costituisce per il datore un danno economico e per il lavoratore un profitto ingiusto.  

La sentenza della Cassazione n. 13199 del 25 maggio 2017 sottolinea  inoltre, e soprattutto,  come  il vincolo fiduciario con il dipendente  risulta maggiormente stringente nel caso di attività autonome e lontane dal controllo diretto  del datore di lavoro ed è piu grave la lesione del patto, anche se non ne risulta un danno economico all'azienda .

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IL CASO: Licenziamento di area manager per lesione del vincolo fiduciario

Un  Area Manager era stato licenziato per giusta causa  a seguito della contestazione di  calo di produttività, e fatti di rilievo disciplinare consistiti:

Il suo ricorso era stato  respinto dal Tribunale mentre la Corte di Appello, ha dichiarato l'illegittimità del licenziamento e condannato la società a reintegrare  nel posto di lavoro  con risarcimento del danno, Il giudice di appello ha ritenuto  infatti che 

a) il problema gestionale derivante  dall'attività commerciale propria sul luogo di lavoro era  privo di prova certa;
b) l'avere costituito una società commerciale per la vendita di capi di abbigliamento di per sé non costituiva illecito disciplinare, in quanto non interferiva con quella svolta dal datore di lavoro;
c) l'avere raggiunto in due occasioni l'esercizio commerciale  in orario di lavoro  con l'autovettura aziendale non giustificava il licenziamento ma solo una sanzione conservativa, in quanto era un fatto episodico e senza conseguenze sull'attività aziendale
d) la natura flessibile dell'orario richiesto al lavoratore, connessa alle mansioni direttive affidategli, rendeva priva di rilievo la timbratura effettuata oltre le ore 9:30.


La società ha presentato ricorso in cassazione, affidandosi a due motivi:

  1.  la società ricorrente denuncia che la Corte territoriale  non aveva considerato le ragioni per le quali la flessibilità dell'orario era stata concessa, per cui il mancato rispetto delle previsioni contrattuali non poteva ritenersi giustificato ogniqualvolta il dipendente, prima di recarsi in ufficio, aveva svolto attività di carattere personale, senza recarsi nelle sedi e nelle agenzie dislocate sul territorio;
  2.  la Corte ha errato nel non ritenere grave  l'accertata attività  esterna durante l'orario di lavoro, a causa dell breve durata e per la mancanza di danno  e nel considerare esimente la mansione direttiva che, invece, costituiva un'aggravante nella valutazione della condotta del lavoratore. Al lavoratore, infatti, erano affidati lo sviluppo e la gestione dei rapporti commerciali che, comportando una notevole autonomia nella gestione della attività, presupponevano l'esistenza di uno stringente vincolo fiduciario fra le parti.


I giudici della Cassazione hanno  ritenuto fondato il secondo motivo, in quanto ha errato la Corte territoriale nel sostenere che «un comportamento illecito ridotto temporalmente», dal quale non sia derivato un pregiudizio concreto per il datore di lavoro, non sia idoneo a ledere il vincolo fiduciario, perché detta lesione può verificarsi ogniqualvolta la condotta ponga in dubbio la correttezza del futuro adempimento . Nel caso in cui la prestazione richiesta al dipendente,  si svolga al di fuori della diretta osservazione e del controllo da parte del datore di lavoro, è maggiore l'affidamento che quest'ultimo deve potere riporre nella correttezza e nella buona fede del lavoratore.
Accogliendo il secondo motivo, i giudici  si sono basati sul principio secondo cui “l'obbligo di fedeltà impone al lavoratore di astenersi dal porre in essere, non solo i comportamenti espressamente vietati dall'art. 2105 cod. civ., ma anche qualsiasi altra condotta che risulti in contrasto con i doveri connessi all'inserimento nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa o crei una situazione di conflitto con gli interessi del datore di lavoro”.



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