La vicenda parte da un accertamento induttivo emesso dall’Agenzia delle entrate nei confronti di una ditta individuale svolgente attività di ristorazione da asporto , per la constatazione che l'attivita era gestita in maniera antieconomica: di qui l’applicazione, da parte dell’Agenzia, della percentuale di ricarico del 200% risultante dalle medie di settore.
Il contribuente sosteneva invece di applicare un ricarico inferiore per via dell’elevata concorrenza esistente nella sua zona .
Le tesi del contribuente venivano accolte in entrambi i gradi di merito. In particolare la Ctr ha ritenuto ingiustificata ed anche non provata adeguatamente dall'ufficio, la percentuale di ricarico del 200%, stabilendo come congrua la diversa percentuale del 100%.
Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per Cassazione denunciando omessa motivazione su un fatto controverso ritenendo che la Ctr avesse applicato in maniera apodittica la ridotta percentuale di ricarico senza tenere conto degli elementi forniti dall’Agenzia delle entrate.
Con altro motivo eccepiva violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 39, sul presupposto che la CTR ha attribuito all'Agenzia l'onere di fornire ulteriori prove, oltre allo studio di settore.
La Cassazione ha rigettato il ricorso.
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Trovi qui l'articolo completo " Studi di settore e concorrenza" - Cass. 9932-2017" con il testo integrale dell'ordinanza .
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Dall’articolo 62-sexies del d.l n. 331 del 1993 è possibile desumere che gli studi di settore rappresentano solo una delle modalità con cui procedere all’accertamento analitico-induttivo di cui all’art. 39, comma 1 lett. d) del dpr 600/1973.
In alternativa, come nel caso di specie, l’amministrazione può utilizzare anche altre incongruenze ed elementi indiziari pur in presenza di documentazione formalmente corretta: questi tipi di accertamenti, purché ben motivati, hanno avuto l’avallo della giurisprudenza di legittimità.
Secondo principi ormai consolidati (a partire dalle ormai famose sentenze a Sezioni Unite nn. 26635, 26636, 26637 e 26638 del 2009 che hanno ben delineato i paletti per un corretto utilizzo dello strumento degli studi di settore) gli accertamenti effettuati secondo procedure standardizzate ricevono legittimazione non dal semplice scostamento dei ricavi dichiarati rispetto a quelli desunti dagli “standards” in sé considerati; questi ultimi rappresentano un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza nasce solo in seguito al contraddittorio col contribuente da attivare obbligatoriamente.
In questa sede il contribuente ha l’onere di dimostrare, senza limitazione di mezzi e contenuto, la sussistenza di condizioni che giustifichino l’esclusione dell’impresa dalle condizioni di normalità cui soltanto si applicano tali strumenti.
L’Ufficio, dal canto suo, nelle motivazioni dell’avviso di accertamento, non solo deve dare dimostrazione della concreta applicabilità al caso concreto dello “standard” prescelto, ma deve anche esplicitare le ragioni per le quali ritiene non condivisibili le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio non condiziona comunque l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice liberamente valutare tanto l’applicabilità dello studio di settore (o dei parametri) al caso concreto, quanto la controprova offerta dal contribuente che a tal fine non risente di alcuna limitazione, non essendo né vincolato alle eccezioni fornite nella fase amministrativa, né pregiudicato dal suo eventuale comportamento inerte.
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