Speciale Pubblicato il 03/03/2017

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Fatture giuridicamente false e tangenti

di Dott. Giuseppe Di Franco

Emissione di fatture per operazioni inesistenti connesse ad un’altra grave fattispecie delittuosa: la corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio



Con un recente arresto la Corte di Cassazione è tornata ad affrontare il tema del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, questa volta strettamente connesso ad un’altra grave fattispecie delittuosa: la corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio.

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Il caso: fatture false e corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio

Il caso esaminato dai giudici di Piazza Cavour richiama principi già espressi sul reato tributario afferente le fatture false, ma a differenza di numerose altre sentenze, quella in commento (la sentenza n. 52321 del 09/12/2016, Sez. VI) si caratterizza per aver evidenziato aspetti molto particolari legati al tema della fittizietà dei documenti fiscali.

Nel ricorso presentato da un componente del collegio sindacale di una S.p.A., dichiarato colpevole dal Tribunale di Milano (sentenza confermata dalla Corte di Appello) di “Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” (art. 8 del D.Lgs. n. 74/2000), “Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio” (art. 319 c.p.) e di “Pene per il corruttore” (art. 321 c.p.), la Corte si è espressa sul concetto di inesistenza delle fatture e sul legame dimostrato tra l’emissione di queste e la creazione di provviste per il pagamento delle dazioni corruttive.

In buona sostanza, nel caso oggetto della sentenza in rassegna il ricorrente avrebbe messo a disposizione il proprio studio per consentire incontri diretti a decidere il pagamento dei compensi illeciti a pubblici ufficiali, predisponendo falsa documentazione contabile e contrattuale funzionale a creare i fondi necessari alla condotta corruttiva, erogati poi in diverse tranches. La riconducibilità dell’imputato ai reati a lui ascritti si fonda, tra l’altro, anche su intercettazioni telefoniche, in alcune delle quali si è sentito il ricorrente far riferimento alle tangenti e al business plan.

Dinanzi alla Corte la difesa ha sottolineato come le fatture oggetto di contestazione, pur riportando una descrizione delle operazioni fatturate non allineata con la realtà fattuale in quanto l’attività effettivamente svolta non era stata correttamente qualificata nei documenti fiscali, fossero state tutte regolarmente pagate e per tale motivo non dovessero essere ritenute false, bensì riferibili ad operazioni esistenti.

Va ricordato cosa prevede il D.Lgs. n. 74/2000 all’art. 1 lett. a): “per "fatture o altri documenti per operazioni inesistenti" si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l'imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi”.

La Suprema Corte, seguendo un percorso giurisprudenziale già affermato[1] e sposando le argomentazioni della Corte di Appello, secondo le quali l’imputato “…era nella piena consapevolezza della falsa rappresentazione delle fatture in questione, essendo anzi l’ideatore del meccanismo finanziario e contabile elaborato per coprire la tangente; le operazioni documentate erano inesistenti, perché l’inesistenza deve riferirsi a quella operazione, siccome indicata”, ha stabilito che “tra le "operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte" di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 1, comma 1, lett. a), qualificate come "inesistenti" ai fini della configurabilità dei reati di cui agli artt. 2 ed 8 del citato decreto, devono intendersi anche quelle "giuridicamente" inesistenti, ovvero quelle aventi una qualificazione giuridica diversa”.

E’ stato così ripreso il concetto di inesistenza “giuridica” delle fatture e degli altri documenti ai fini della realizzazione delle ipotesi delittuose di matrice tributaria.

Si configura, pertanto, tale forma di inesistenza quando un’operazione, pur essendo effettivamente posta in essere tra due soggetti esistenti e facendo riferimento ad una reale transazione finanziaria riferita all’importo indicato in fattura, viene qualificata nel documento fiscale in maniera difforme rispetto a come avrebbe dovuto essere.

Ciò in quanto l’operazione dissimulata costituisce comunque un’operazione inesistente, poiché se è vero che si tratta di un’operazione esistente, non è però quella documentata in fattura, che è la sola presa in considerazione agli effetti penali dal D. Lgs. n. 74/2000[2].

Questo assunto viene così chiarito dalla Corte: “E' allora evidente che una fattura emessa al fine di "coprire" l'erogazione di un importo effettuato per una causale completamente diversa da quella indicata, è mendace, e quindi tradisce la sua funzione probatoria, con riferimento a plurimi elementi che, per legge, debbono essere oggetto di specifica attestazione”.

A ciò si aggiungono i motivi connessi alla commissione del reato tributario de quo: sia il fine di rappresentare un costo deducibile, in modo da consentire l’evasione da parte dei soggetti riceventi i documenti emessi per operazioni inesistenti, sia occultare, con questa rappresentazione documentale, il pagamento di una tangente.

Fermo restando che, come ricordato dai giudici di legittimità, “non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'art. 424 c.p.p. ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'art. 425 c.p.p. fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall'art. 157 c.p. (...)". Né può dubitarsi circa la classificazione delle erogazioni di denaro a titolo di dazioni corruttive come costi o spese direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo”, questa sentenza ha anche il pregio di riconciliare il fine illecito sotteso all’emissione delle fatture false nel caso esaminato, ovvero quello di creare una provvista occulta per coprire il pagamento di tangenti, con le finalità previste dalla norma fiscale.

Secondo la Cassazione, se si accerta “l'emissione di fatture aventi ad oggetto costi in realtà non deducibili, ovvero recanti una imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, e risulti inoltre la piena consapevolezza dell'indebito vantaggio fiscale derivante dall'utilizzo di tali fatture, deve ritenersi integrato anche l'elemento psicologico”.

Infatti il D.Lgs. n. 74/2000 “non richiede che il fine di evasione delle imposte costituisca un fine esclusivo; di conseguenza, lo stesso può essere benissimo concorrente con altre finalità”.

Altre finalità che nel caso di specie si sono concretizzate, appunto, nel fine di occultare la creazione di provviste per il pagamento di dazioni corruttive.



[1] Cfr. ex multis Corte di Cassazione, Sez. III, sentenze n. 13975 del 06.03.2008 e n. 38754 del 04.10.2012.

[2] Cit. Corte di Cassazione, sentenza n. 13975 del 06.03.2008



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