La Fondazione nazionale dei dottori commercialisti il 31 gennaio 2017 ha pubblicato un approfondimento sull’accertamento delle prestazioni rese a titolo gratuito dal professionista a cura di Maria Adele Morelli e Andrea di Gialluca. Il motivo del focus va ricercato nel fatto che recentemente c’è stata un’intensificazione da parte dell'Amministrazione finanziaria di accertamenti presuntivi basati su compensi non dichiarati per prestazioni gratuite rese dal professionista a parenti e amici.
Come indicato nella premessa del documento “In generale, sembra che l’atteggiamento degli Uffici sia quello di un certo scetticismo nell’ipotesi in cui i professionisti sostengono di lavorare gratuitamente, per amicizia o per legami di parentela, giacché tali comportamenti sarebbero in realtà poco razionali e celerebbero proventi incassati in evasione d’imposta.”
In questo approfondimento, cerchiamo di fare il punto su questi particolari accertamenti.
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Il motivo dell’accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria è la presunzione di incassi da parte dei professionisti di proventi “in nero”. Di norma procedono all’accertamento analitico-induttivo previsto
che si applica in presenza di determinate condizioni, ovvero
Come chiarito nella guida FNC di ieri “Utilizzando gli strumenti informativi a sua disposizione e/o per mezzo di questionari e controlli esercitati presso lo studio del professionista l’Amministrazione Finanziaria contesta l’omessa fatturazione dei compensi relativi a prestazioni rese dal professionista a titolo gratuito, ritenendo irragionevole ed “anti economico” lo svolgimento di un’attività senza che sia percepito alcun compenso. Ne consegue la ricostruzione di un maggior reddito professionale e la ripresa a tassazione dei compensi che si presumono percepiti dal professionista per la prestazione resa nel periodo d’imposta a titolo oneroso (nonché l’irrogazione di sanzioni per infedele dichiarazione e per omessa fatturazione).”
Il tema è stato più volte affrontato dalla giurisprudenza tributaria, e una delle sentenze più importanti è la Cassazione n. 21972 del 2015. In pratica, secondo la Suprema Corte, l’Amministrazione Finanziaria non può accertare un maggior reddito in capo ad un consulente sulla base della semplice presunzione secondo cui i professionisti non sono soliti prestare i propri servizi a titolo gratuito. È plausibile, infatti, che un professionista possa svolgere parte della propria attività senza percepire alcun compenso, per ragioni di amicizia, parentela o di mera convenienza.
Tuttavia le vicende processuali continuano ad avere esiti diversi, alcune volte viene riconosciuta la gratuità delle operazioni del professionista, mentre altre volte viene confermata la ripresa a tassazione di quanto, secondo l’amministrazione finanziaria, è stato “non dichiarato”.
Con Comunicato stampa del 30 maggio 2016 l'ANC (Associazione Nazionale Commercialisti) dissociandosi da questo comportamento dell'amministrazione finanziaria ha precisato che nel procedere a questi accertamenti " L’Agenzia delle Entrate non tiene conto di una serie di circostanze. "
I rilievi che l'ANC antepone sono i seguenti
Uno dei problemi maggiori è come possa il professionista dimostrare di non aver effettivamente ricevuto nulla per la sua prestazione. Un possibile strumento di difesa è la predisposizione di lettere di incarico professionale dalle quali si evinca chiaramente la gratuità della prestazione.
Per quanto riguarda le prestazioni gratuite rese verso società, la documentazione societaria (es. delibere che stabiliscono il compenso dell’amministratore, lo statuto, mastrini contabili di cassa o banca e quelli riferiti al professionista) che evidenzia la gratuità della prestazione del professionista, è una prova difficilmente superabile dall’Agenzia delle Entrate.
Il problema principale, rimangono proprio i privati, non tenuti ad obblighi di contabilità e/o di conservazione di documenti.