Pagamento dell’Irap per i liberi professionisti è un argomento da sempre dibattuto che non ha ancora avuto una definizione chiara e definitiva.
Tale incertezza sussiste in quanto il complesso normativo di riferimento si articola in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento si rivela concettualmente ambiguo e difficoltoso.
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L’art. 2, comma 1, del D. Lgs. n. 446/1997, stabilisce che il presupposto dell’imposta è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni o alla prestazione di servizi. Inoltre, tale disposizione dispone che l’attività esercitata dalle società e dagli enti costituisce in ogni caso presupposto d’imposta. Ne deriva, conseguentemente, che lo svolgimento di un’attività sia economica che non, comporta automaticamente l’assoggettamento al tributo regionale per presunzione assoluta.
Il successivo art. 3, comma 1 , lettera c) del decreto sopracitato individua poi tra i soggetti passivi del tributo, oltre alle società di capitali e di persone, le persone fisiche esercenti attività commerciali, arti e professioni.
Ciò posto - fermo restando che sono esclusi dall’Irap il professionista e il piccolo imprenditore privi di qualunque apparato produttivo -, rimane il problema di stabilire quando sussista il presupposto della “autonoma organizzazione” per i professionisti, gli artisti e i piccoli imprenditori che hanno beni strumentali o dipendenti e collaboratori di modesta rilevanza.
In primo luogo, va ricordato che l’autonoma organizzazione che determina l’assoggettamento ad IRAP dei proventi di una attività si compone di elementi personali (il ricorso a dipendenti o assimilati) e di fattori materiali (locali adibiti a luogo di lavoro, mezzi di trasporto, etc.) che congiuntamente considerati determinano l’apparato produttivo del contribuente.
Tuttavia, ciò non basta a chiarire la problematica relativa all’esigenza di circoscrivere il perimetro di tale concetto e quali siano i fattori che realizzano la sua esistenza.
In assenza di una disciplina specifica, si è reso più volte necessario l’intervento della Suprema Corte che si è espressa con varie pronunce nell’intento di delineare il presupposto dell’Irap sotto il suddetto profilo dell’autonoma organizzazione.
In generale, la Suprema Corte (Cass. n. 3672/2007, Cass. n. 5003/2007, Cass. n. 13570/2007, Cass. n. 8360/2008, Cass. n. 2715/2008) ha stabilito che il requisito dell’autonoma organizzazione ricorre quando il contribuente:
L'accertamento della sussistenza del suddetto requisito spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato.
Orbene, se da un lato è pacifico che sussiste autonoma organizzazione in presenza dell’impiego coordinato di capitali, beni strumentali, mezzi e risorse, non è altrettanto agevole stabilire qual è la misura dell’impiego di tali fattori che realizza la suddetta organizzazione e, in particolare, se anche un impiego minimo di tali fattori risulti sufficiente ad integrare il presupposto d’imposta.
Come già anticipato, la questione non ha ancora avuto una soluzione univoca né sotto il profilo legislativo, né sotto quello giurisprudenziale.
Com’è noto, un primo tentativo di soluzione è stato proposto dalla legge 11 marzo 2014, n. 23 (delega fiscale), che ha chiesto al Governo l’emanazione di un decreto diretto a stabilire in modo univoco “la definizione di autonoma organizzazione, anche mediante la definizione di criteri oggettivi, adeguandola ai più consolidati principi desumibili dalla fonte giurisprudenziale, ai fini della non assoggettabilità dei professionisti, degli artisti e dei piccoli imprenditori all’imposta regionale sulle attività produttive" (art. 11 secondo comma).
Tuttavia, il legislatore non ha proposto alcuna soluzione all’annosa questione, né tantomeno ha risolto l’ulteriore problematica relativa alla sussistenza di autonoma organizzazione ove il contribuente si avvalga si in modo non occasionale di lavoro altrui, ma tale apporto non “superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”.
Il vuoto normativo ha reso necessario l’intervento della Corte di Cassazione che tuttavia ha adottato negli anni soluzioni non univoche che di fatto hanno aumentato le incertezze, soprattutto in riferimento profilo personalistico della autonoma organizzazione (in particolare sull’apporto di lavoro di dipendenti), sul quale la giurisprudenza ha di recente adottato una posizione più favorevole al contribuente.
Ed invero, una parte della giurisprudenza (la cui espressione più significativa è contenuta nella sentenza n. 3676 del 2007), avallando l’orientamento da sempre sostenuto dall’Amministrazione finanziaria, ha chiarito che la mera presenza di un solo dipendente part-time o addetto a mansioni generiche determinerebbe automaticamente l’assoggettamento all’imposta, senza che abbia alcun rilievo il tipo di attività svolta dal lavoratore.
Secondo tale interpretazione, l’autonoma organizzazione sussisterebbe sempre in presenza dell’impiego di un dipendente, posto che l’utilizzo di un bene o di una persona rende più agevole lo svolgimento di qualsivoglia attività, anche quando esso non incide minimamene sulla reale capacità produttiva del contribuente.
Tale orientamento, tuttavia, è stato di recente stato disatteso da una recente pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte che hanno chiarito che ai fini della sussistenza del presupposto passivo al tributo in esame non rileva la presenza o meno del dipendente, bensì l’attitudine del lavoro svolto da quest’ultimo a potenziare l’attività produttiva.
In particolare, con la sentenza n. 9451/2016, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno chiarito che il professionista, l’artista o l’imprenditore individuale che impiega un solo collaboratore con mansioni di segreteria o meramente esecutive non è soggetto passivo Irap; detta sentenza si esprime nei termini che seguono: “Queste Sezioni unite, con riguardo al requisito dell’autonoma organizzazione nel presupposto dell’IRAP, condividono i principi e, più complessivamente, l’impianto ricostruttivo fornito allora con la sentenza capofila dell’orientamento maturato nel 2007 nella sezione tributaria, della quale si è dato conto supra, e tuttavia ritengono che essi meritino, più che una rivalutazione, delle precisazioni concernenti il fattore lavoro.
Se fra "gli elementi suscettibili di combinarsi con il lavoro dell’interessato, potenziandone le possibilità necessarie", accanto ai beni strumentali vi sono i mezzi "personali" di cui egli può avvalersi per lo svolgimento dell’attività, perché questi davvero rechino ad essa un apporto significativo occorre che le mansioni svolte dal collaboratore non occasionale concorrano o si combinino con quel che è il proprium della specifica (professionalità espressa nella) "attività diretta allo scambio di beni o di servizi", di cui fa discorso l’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997, e ciò vale tanto per il professionista che per l’esercente l’arte, corre, più in generale, per il lavoratore autonomo ovvero per le figure "di confine" individuate nel corso degli anni dalla giurisprudenza di questa Corte. E’ infatti in tali casi che può parlarsi, per usare l’espressione del giudice delle leggi, di "valore aggiunto" o, per dirla con le pronunce della sezione tributaria del 2007, di "quel qualcosa in più".
Diversa incidenza assume perciò l’avvalersi in modo non occasionale di lavoro altrui quando questo si concreti nell’espletamento di mansioni di segreteria o generiche o meramente esecutive, che rechino all’attività svolta dal contribuente un apporto del tutto mediato o, appunto, generico.
Lo stesso limite segnato in relazione ai beni strumentali - "eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione" - non può che valere, armonicamente, per il fattore lavoro, la cui soglia minimale si arresta all’impiego di un collaboratore.
Va pertanto enunciato il seguente principio di diritto: "con riguardo al presupposto dell’IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione – previsto dall’art. 2 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 446 -, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorrere quando il contribuente:
a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;
b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”.
In altre parole, la Suprema Corte ha chiarito che l’impiego non occasionale di lavoro altrui non può considerarsi di per sé integrativo del requisito dell’autonoma organizzazione, dovendosi indagare, nel singolo caso, se è presente quel qualcosa in più che concretizza l’elemento organizzativo consentendo al contribuente di accrescere il proprio reddito tramite un apporto di lavoro che non si esaurisca in attività di segreteria o attività meramente esecutive.
Ne consegue che il diritto al rimborso deve essere riconosciuto al contribuente che dimostri di non essere in possesso dei requisiti che caratterizzano l'autonoma organizzazione, vale a dire l’assenza di tutti quegli elementi che rechino al lavoro dell'interessato un apporto significativo, ovvero incidano sulla potenzialità del lavoro del contribuente in misura tale da garantire quel “qualcosa in più” rispetto all'attività del contribuente.
La sentenza in esame tratta il caso di un professionista ma si estende espressamente anche ai piccoli imprenditori, quali ad esempio agenti di commercio, promotori e artigiani, considerati quali “lavoratori autonomi” ed equiparati, ai fini Irap, ai professionisti.
Tale orientamento è stato inoltre confermato dall’ordinanza della Corte di Cassazione n. 26262/2016 depositata il 19 dicembre 2019 che, richiamando il principio sancito dalle Sezioni Unite, ha ribadito l’inapplicabilità del tributo regionale per carenza dell’autonoma organizzazione laddove, per lo svolgimento della sua attività, il lavoratore autonomo utilizzi modesti beni strumentali che non eccedano il minimo indispensabile per l’esercizio della propria attività o si avvalga di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria o mansioni meramente esecutive.
In conclusione, per stabilire se sussista o meno il requisito dell’autonoma organizzazione in capo al lavoratore autonomo che si avvale di un solo collaboratore, si dovrà indagare sulla qualità della prestazione svolta da quest’ultimo in base alle mansioni effettivamente esercitate o risultanti dal contratto.
In pratica, ai fini dell’assoggettamento del contribuente al tributo regionale, dovranno sussistere uno o più elementi suscettibili di combinarsi con il lavoro dell’interessato, potenziandone le possibilità, in modo da porre il professionista in una condizione più favorevole di quella in cui si sarebbe trovato senza di esso.
L’impatto sul contenzioso esistente sarà dunque notevole, posto che recentemente l’Agenzia delle entrate, nella direttiva numero 42/ 2014, ha condiviso l’orientamento giurisprudenziale più restrittivo.
Tali sentenze, difatti, interessano un grande numero di contribuenti che esercitano in forma individuale l’attività professionale, artistica o d’impresa che hanno erroneamente versato l’imposta pur utilizzando strutture materiali e personali di segreteria.
Nonostante l’importante pronuncia delle Sezioni Unite, non sembra tuttavia che si sia giunti ad una soluzione, posto che non sarà semplice delineare caso per caso le mansioni svolte dal collaboratore sia sulla base delle risultanze del contratto che sulla base dell’attività dallo stesso effettivamente svolta.
Ed infatti, ci si chiede – alla luce dei nuovi orientamenti -, se la presenza di più lavoratori dipendenti presso il lavoratore autonomo che svolgano mansioni meramente esecutive integri o meno il presupposto dell’autonoma organizzazione.
Inoltre, va approfondita la natura delle mansioni svolte che, come evidenziato nella sentenza delle Sezioni Unite, non devono “concorrere” o “combinarsi” con l'attività esercitata dal contribuente, cioè non essere “professionali” bensì «meramente esecutive». Non possono, ad esempio, avvalersi dell'esclusione i contribuenti che si avvalgono dell'opera di un professionista più giovane o comunque di un collaboratore che viene direttamente coinvolto nell'esecuzione delle specifiche prestazioni rese ai clienti (ad esempio il dipendente impiegato nella tenuta delle contabilità gestite dal commercialista). Ai fini dell’esenzione dal tributo, quindi, le attività svolte dovranno essere “generiche”, quali quelle di segreteria o di pulizia dei locali, con la conseguenza che chi ha pagato l’imposta indebitamente richiesta dall’Amministrazione Finanziaria potrà chiederne il rimborso presentando un'istanza ai sensi dell'articolo 38 del Dpr 602/1973.