Il Garante per la Privacy, con Provvedimento n. 400 del 6 ottobre 2016 è intervenuto su un ricorso presentato da un cittadino (ex consigliere comunale) che aveva in precedenza chiesto a Google di potere esercitare il diritto all’oblio con conseguente rimozione da parte del motore di ricerca degli Url, che vengono restituiti come risultati di ricerca digitando il proprio nome e cognome e che rimandano ad una vicenda giudiziaria in cui lo stesso è rimasto coinvolto, circa dieci anni orsono, vicenda che si è conclusa, "nei suoi confronti, con sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p., passata in giudicato, con pena interamente coperta da indulto ai sensi della L. 241/06".
A sostegno delle proprie argomentazioni il ricorrente ha rimarcato come:
a) il fatto in questione risale ad oltre dieci anni addietro;
b) oggi lui non riveste incarichi pubblici, per cui è da considerarsi alla stregua di un privato cittadino;
c) la possibilità per i navigatori di risalire a tali notizie gli provoca un danno alla immagine, alla riservatezza ed alla vita privata.
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Google, dal suo canto, gli aveva comunicato di aver deciso di non rimuovere gli Url indicati nel ricorso dai risultati di ricerca indicizzati dal motore di ricerca in relazione al nominativo dell'interessato, in quanto non sarebbero sussistenti i presupposti indicati nella sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea pronunciata il 13 maggio 2014 nella causa C-131/12, (c.d. "sentenza Costeja"), per l'esercizio del diritto all'oblio; ha, altresì, precisato che allo stato non vengono più indicizzati tre degli Url indicati nell'atto introduttivo.
Nelle sue argomentazioni Google ha fatto rilevare i seguenti assunti:
1. nonostante i fatti oggetto di cronaca risalgano al 2006, la sentenza di "patteggiamento" che ha definito in via conclusiva la vicenda giudiziaria a carico del ricorrente è stata emessa solo nel 2012;
2. nonostante il decorso del tempo dall'accadimento dei fatti, sussiste il preponderante interesse pubblico al reperimento di notizie relative a reati particolarmente gravi, quali quelli commessi dal ricorrente a danno della sanità regionale, atteso anche l'attuale interesse dei mezzi di comunicazione di massa e dell'opinione pubblica verso tutti i reati contro la pubblica amministrazione che rende le notizie in questione ancora attuali;
3. il c.d. diritto all'oblio non sussisterebbe rispetto a "reati più gravi" quali sono i crimini di cui si è reso protagonista il ricorrente; e ciò, nonostante la pena a carico del ricorrente sia stata interamente condonata per effetto dell'indulto;
4. la professione esercitata dal ricorrente nel settore immobiliare, sebbene, privato, assumerebbe rilievo ai fini dell'interesse pubblico alla conoscibilità delle notizie in questione, in ragione del ruolo assunto nella vita pubblica, anche per effetto della professione svolta e dell'albo professionale a cui è iscritto, e ciò allo scopo di tutelare il pubblico da eventuali condotte professionali improprie;
5. gli URL di cui il ricorrente chiede la rimozione rinviano a contenuti storici e giornalistici pubblicati su importanti organi di stampa nazionali, nonché sul sito istituzionale ZZ;
6. la lesività delle notizie non rileverebbe ai fini del riconoscimento del diritto all'oblio in capo al ricorrente, ed in ogni caso Google, che come motore di ricerca opera quale "caching provider". ai sensi dell'art. 15 del D.Lgs. 70/2003, non è in alcun modo responsabile dei contenuti della pagine web indicizzate sulle quali può intervenire solo in base ad una pronuncia dell'autorità competente;
Il Garante ha rilevato che:
a) elemento costitutivo del diritto all'oblio è il trascorrere del tempo rispetto al verificarsi dei fatti oggetto delle notizie rinvenibili attraverso l'interrogazione dei motori di ricerca e che, anche laddove sussista, tale elemento incontra tuttavia un limite quando le informazioni per le quali viene invocato risultino riferite a reati gravi dovendo le relative richieste di deindicizzazione essere valutate con minor favore dalle Autorità di protezione dei dati pur nel rispetto, comunque, di un'analisi caso per caso (punto 13, delle Linee Guida);
b) nonostante il decorso di un certo lasso di tempo dai fatti oggetto delle notizie di cui si chiede la deindicizzazione, la definizione della relativa vicenda giudiziaria a carico del ricorrente è effettivamente intervenuta solo in un'epoca recente, a seguito di una sentenza di "patteggiamento" pronunciata nel 2012;
c) i fatti narrati negli articoli rinvenibili attraverso gli URL tuttora indicizzati dalla resistente riguardano crimini di particolare gravità;
L’Autorità di controllo ha, inoltre, richiamato le Linee Guida del Gruppo di Lavoro "Articolo 29", che tra i criteri che devono essere considerati per la disamina delle richieste di deindicizzazione, prendono in considerazione la lesività del trattamento, solo laddove questo abbia un impatto sproporzionatamente negativo sull'interessato perché "il risultato di ricerca riguarda una condotta impropria di minima rilevanza o significato che non è più (o non è mai stata) oggetto di dibattito pubblico e se non vi è alcun interesse pubblico più generale alla disponibilità di tale informazione" (punto 8 delle Linee Guida).
Per concludere che la particolare gravità dei reati contestati e il breve lasso di tempo (circa 4 anni) trascorso dalla loro definizione processuale dai fatti fanno ritenere prevalente l'interesse del pubblico ad accedere alle notizie in questione e che pertanto debba dichiararsi infondata la richiesta di rimozione degli Url indicati dal ricorrente e tuttora indicizzati da Google.
Pertanto, ha dichiarato non luogo a provvedere sul ricorso in ordine alla richiesta di rimozione degli Url indicati nell'atto di ricorso ed attualmente non più indicizzati dalla resistente; ed infondato il ricorso volto ad ottenere la rimozione dei restanti Url indicati dal ricorrente nell'atto di ricorso;