La ratio dell'art. 9 della legge n. 68 del 1999, che attribuisce al datore di lavoro la facoltà di indicare nella richiesta di avviamento la qualifica del lavoratore disabile da assumere a copertura dei posti riservati in un sistema di cd. collocamento mirato, va ravvisata nel consentire, mediante il riferimento ad una specifica qualifica, l'indicazione delle prestazioni richieste dal datore di lavoro sotto il profilo qualitativo delle capacità tecnico - professionali di cui il lavoratore avviato deve essere provvisto.
IL CASO
La Corte d'appello rigettava l'appello proposto dall’azienda , avverso la sentenza di primo grado, che l'aveva condannata al pagamento, in favore di un lavoratore, quale invalido civile al 75% avviato al lavoro con provvedimento 13 luglio 2004, per inadempimento al proprio obbligo di collocamento obbligatorio, di somma pari alla retribuzione mensile prevista per un dipendente inquadrato nella categoria C1 aziende grafiche ed editoriali.
Sul punto, la Corte territoriale condivideva il difetto di prova, già ritenuto dal Tribunale e di cui la società era onerata, dell'impossibilità di inserimento del lavoratore avviato obbligatoriamente nella propria organizzazione aziendale, tenuto conto della disciplina in materia (in particolare l. 68/1999, art. 9 e l. 482/1968) criticamente disaminata alla luce dell'interpretazione giurisprudenziale di legittimità richiamata: prova non offerta né documentalmente (in particolare mediante libro matricola o organigrammi aziendali), né attraverso prova orale, in quanto inammissibile .
La società propone ricorso in Cassazione, affidandosi ad un unico motivo, ossia la società deduce violazione e falsa applicazione della l. 68/1999, artt. 2, 9 e 22, e della l. 482/1968, in relazione all'art. 360 c.p.c, comma 1, n. 3, per inesistenza del proprio obbligo di collocamento del lavoratore avviato, erroneamente ravvisato dalla Corte territoriale sulla base della l. 482/1968 (abrogata dalla l. 68/1999, art. 22), anzichè di quest'ultima legge, ispirata alla diversa ratio del passaggio dalla disciplina dell'assunzione obbligatoria a quella del collocamento mirato. (...)
I giudici della Cassazione ritengono il motivo fondato, in quanto seguono l’orientamento maggioritario secondo cui “La ratio della l. 68/1999, art. 9, (che attribuisce al datore di lavoro la facoltà di indicare nella richiesta di avviamento la qualifica del lavoratore disabile da assumere a copertura dei posti riservati in un sistema di c.d. avviamento mirato) va ravvisata nel consentire, mediante il riferimento ad una specifica qualifica, l'indicazione delle prestazioni richieste dal datore di lavoro sotto il profilo qualitativo delle capacità tecnico - professionali di cui il lavoratore avviato deve essere provvisto, secondo la formale indicazione dell'atto di avviamento, al fine di una sua collocazione nell'organizzazione aziendale che sia utile all'impresa e, nello stesso tempo, per consentire che l'espletamento delle mansioni per le quali il lavoratore è stato assunto non si traduca in una lesione della sua professionalità e dignità. Sicchè, il datore di lavoro può legittimamente rifiutare l'assunzione non soltanto di un lavoratore con qualifica che risulti, in base all'atto di avviamento, diversa, ma anche di uno con qualifica simile a quella richiesta, in mancanza di un suo previo addestramento o tirocinio da svolgere secondo le modalità previste dalla stessa l. 68/1999, art. 12".
Infatti, nel caso in esame, il lavoratore è risultato non avere né la qualifica richiesta di impiegato tecnico di 5^ categoria (avendo invece quella di "Personale di segreteria"), né la pratica delle mansioni specificamente richieste (Operatore grafico per trasmissioni TV in diretta).
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L'esigenza di seguire un ordinato iter argomentativo impone alcune preliminari considerazioni sulla L. 2 marzo 1999, n. 68, che - sostituendo la precedente disciplina dettata dalla L. 2 aprile 1968, n. 482 e dalle successive modifiche - ha regolato su basi nuove la materia del "diritto al lavoro dei disabili". Come è stato puntualmente osservato da più parti, il legislatore ha con questa legge inteso trovare un nuovo e più giusto equilibrio tra le aspirazione dell'invalido ad un posto di lavoro - che sia confacente alla proprie professionalità - e l'interesse della impresa ad un inserimento realmente proficuo dei lavoratori nella compagine aziendale.
Si è così introdotto un sistema che non vede nel disabile un soggetto avente diritto ad un posto in virtù di un intervento meramente assistenziale dello Stato, che sia volto ad addossare alle imprese la responsabilità finale della doverosa tutela di alcuni cittadini, ma che in una ottica diversa individui nel disabile una risorsa per la stessa impresa assicurandogli nello stesso tempo una giusta collocazione in azienda, funzionalizzata, nel pieno rispetto della sua personalità, ad attestarne le sue capacità professionali e la effettiva utilità delle sue prestazioni lavorative.(...)