La Corte d'appello, in riforma della sentenza del Tribunale, aveva rigettato la domanda del lavoratore volta ad accertare l'illegittimità del licenziamento comunicato dall’azienda e la conseguente domanda di condanna al pagamento dell'indennità supplementare prevista dal CCNL di settore per il dirigente, o in base all'accordo interconfederale del 27/4/1995 o di risarcimento del danno.
La Corte ha riferito che il Tribunale aveva con sentenza non definitiva dichiarato il difetto di giurisdizione sulla domanda presentata dal ricorrente e che con sentenza definitiva aveva affermato nei confronti dell'altra società che il licenziamento doveva ritenersi pretestuoso ed arbitrario non avendo la convenuta fornito prova dell'impossibilità di reperire una nuova collocazione del dirigente essendo preciso onere della società convenuta individuare un nuovo incarico tanto nel proprio interno quanto nell'ambito del gruppo Electrolux attenendosi alla procedura costantemente seguita al momento della cessazione di un precedente incarico.
Avverso la sentenza della Corte di Appello, il dirigente ha presentato ricorso in Cassazione, affidandosi a 4 motivi:
I giudici della Corte di Cassazione ritengono infondati tutti i motivi, in quanto non sussiste alcuna omessa pronuncia denunciabile ex art. 112 c.p.c. poichè la Corte territoriale, alla luce dell'esame ed interpretazione del ricorso e della relativa documentazione, ha escluso la sussistenza di un obbligo, convenzionalmente assunto di ricollocamento del dirigente una volta cessato il contratto, in capo alla società italiana. Nè il ricorrente in questa sede ha riportato i tratti salienti del ricorso o del contratto o degli altri documenti depositati dai quali, a suo dire, sarebbe sorto l'obbligo di ricollocarlo. La valutazione del materiale probatorio, infatti, spetta al giudice di merito il quale ha escluso che l'obbligo potesse essere ravvisato in altri documenti e del resto nessuno degli elementi di fatto esposti nel ricorso ed elencati dal ricorrente nel primo motivo, anche unitariamente considerati, ha carattere decisivo ai fini della prova della sussistenza del diritto del dirigente nei confronti dell’azienda ad essere ricollocato in altra posizione. In definitiva il ricorrente si limita ad indicare resistenza di altre posizioni in cui avrebbe potuto essere collocato, ma nulla di specifico indica quale fonte dell' obbligo dell’azienda di ricollocarlo.
Inoltre, non è possibile applicare al dirigente l'obbligo di "repechage". Un tale obbligo anzi va escluso nei confronti del dirigente in quanto incompatibile con tale posizione dirigenziale assistita da un regime di libera recedibilità senza che possano essere richiamati i principi elaborati dalla giurisprudenza per la diversa ipotesi del licenziamento per giustificato motivo del non dirigente.
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Licenziamento dirigente e non applicazione del repechage
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La giurisprudenza di legittimità afferma che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41Cost.. Spetta, dunque, al giudice il controllo dell'effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro con onere probatorio gravante sul datore di lavoro, che deve dare prova anche dell'impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte, termo restando l'onere per il lavoratore di deduzione e allegazione di tale possibilità di reimpiego (v., da ultimo e per tutte, Cass. 18.03.10 n. 6559).
La stessa giurisprudenza ha rilevato che, quando il g.m. si identifica nella generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, non sono utilizzabili nè il normale criterio della posizione lavorativa da sopprimere in quanto non più necessaria, nè il criterio della impossibilità di repechage (in quanto tutte le posizioni lavorative sono equivalenti e tutti i lavoratori sono potenzialmente licenziabili). Non è, tuttavia, vero che la scelta del dipendente (o dei dipendenti) da licenziare sia per il datore di lavoro totalmente libera: essa, infatti, risulta, limitata, oltre che dal divieto di atti discriminatori, dalle regole di correttezza cui deve essere informato, ex artt. 1175 e 1375 c.c., ogni comportamento delle parti del rapporto obbligatorio e, quindi anche il recesso di una di esse (Cass. civ., 21.12.01 n. 16144).
(...)
In sostanza l'onere, incombente sul datore di lavoro, di dimostrare l'impossibilità di adibire il lavoratore allo svolgimento di altre mansioni equivalenti a quelle svolte in precedenza, attenendo ad un fatto negativo, deve essere assolto mediante la dimostrazione di fatti positivi corrispondenti, quali la circostanza che i residui posti di lavoro, riguardanti mansioni equivalenti, fossero al tempo del licenziamento stabilmente occupati da altri lavoratori, ovvero che dopo il licenziamento e per un congruo periodo, non sia stata effettuata alcuna nuova assunzione nella stessa qualifica del lavoratori licenziati (cass. civ. sez. lav. 16 maggio 2003, n.7717).
Più in generale va comunque rilevato che, secondo quanto già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, la cui pronuncia in esame aderisce, l'eventualità di repechage di un dirigente licenziato per esigenze di ristrutturazione aziendale è inconciliabile con la stessa posizione dirigenziale del lavoratore, posizione che, d'altro canto, giustifica la libera recedibilità del datore di lavoro senza che possano essere richiamati i principi elaborati dalla giurisprudenza per la diversa ipotesi del licenziamento per giustificato motivo del non dirigente.