Scade il 2 luglio 2018 il termine per il versamento dell'IVAFE: l'imposta sul valore delle attività detenute all'estero. Com'è noto, infatti, le persone fisiche residenti in Italia che detengono all’estero prodotti finanziari, conti correnti e libretti di risparmio, devono versare un’imposta sul loro valore: l’IVAFE, cioè l'imposta sul valore aggiunto delle attività detenute all'estero.
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Dal 2014 ai fini Ivafe è necessario calcolare l’imposta non più su tutte le attività finanziarie detenute all’estero ma solo sui prodotti finanziari veri e propri. E l’imposta, in questo caso, è dovuta a prescindere dall’importo dell’investimento, tranne, ovviamente, nel caso di conti correnti e depositi bancari per i quali è applicabile la soglia dei 5.000 euro.
Grazie alle nuove disposizioni introdotte dalla Legge del 30 ottobre 2014 n. 161, Legge europea 2013- bis, a partire dall’anno d’imposta 2014 è stata uniformata la base imponibile degli investimenti finanziari ai fini del pagamento delle imposte. Si applicano, quindi, le stesse disposizioni e vengono tassati gli stessi prodotti e investimenti finanziari per i quali sono previste imposte in Italia.
La tassazione non riguarda più tutte le attività finanziarie detenute all’estero, come previsto nell’anno d’imposta 2013, ma esclusivamente prodotti finanziari, conti correnti e libretti di risparmio. Invece sono esclusi tutti i beni eventualmente depositati nelle cassette di sicurezza, ad esempio metalli preziosi, valute, polizze di assicurazione.
Imposta non dovuta, inoltre su partecipazioni in società non quotate e contratti derivati. Il cambio di rotta è conseguenza dell’avvio della procedura di infrazione da parte della Ue, che ha rilevato il diverso trattamento, ai fini fiscali, delle attività di investimento “in casa” o all’estero. Come previsto per le imposte sulle attività finanziarie in Italia, poi, a partire dal 2014 l’aliquota dell’Ivafe è fissata allo 0,2%.
Ai fini dell’obbligo di versamento dell’imposta sulle attività finanziarie all’estero fa testo esclusivamente il requisito della “residenza estera” dell’investimento o dell’attività in questione, mentre non si deve far riferimento al soggetto emittente.
Quindi in caso di attività finanziarie estere, che siano però oggetto di un contratto di amministrazione con una società fiduciaria residente, o siano in custodia, amministrazione o gestione con soggetti intermediari residenti, l’Ivafe non è dovuta perché si rientra in questo caso nell’applicazione dell’imposta sugli investimenti in Italia. In pratica non c’è differenza di importo, in quanto anche in questo caso è dovuta la stessa percentuale sul controvalore delle attività in questione, ma il versamento viene effettuato direttamente dall’intermediario.
La base imponibile dell’Ivafe è costituita dal valore di mercato delle singole attività, rilevato al termine di ciascun anno solare nel luogo in cui esse sono detenute, facendo anche riferimento alla documentazione dell’intermediario.
Nel caso di azioni, obbligazioni e altri titoli o strumenti finanziari negoziati in mercati regolamentati |
si deve fare riferimento al valore puntuale di quotazione alla data del 31 dicembre di ciascun anno o al termine del periodo di possesso. Se a fine anno non c’è stata negoziazione si deve assumere il valore di quotazione rilevato nel giorno antecedente più prossimo. Qualora le attività non siano più possedute alla data del 31 dicembre si deve fare riferimento al valore di mercato delle attività rilevate al momento della cessione. |
Per le azioni, obbligazioni e altri titoli o strumenti finanziari non negoziati in mercati regolamentati |
occorre determinare la base imponibile come segue:
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Un discorso a parte meritano i conti correnti e i libretti di deposito, per i quali l’applicazione dell’Ivafe segue le stesse regole che si applicano in Italia sugli stessi prodotti.
In questi casi, quindi:
Questo calcolo deve essere fatto con riferimento alle somme riferibili pro quota al singolo contribuente, dei conti o libretti detenuti all’estero presso il medesimo intermediario. Il limite non deve essere rapportato al periodo di detenzione ma va considerato come riferimento assoluto.
Non concorre a formare il valore medio di giacenza il conto con una giacenza media annuale di valore negativo, per il quale l’imposta non è dovuta.