Recentemente la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6710 del 19.02.2016, è intervenuta sulla configurazione dell’ipotesi delittuosa prevista dall’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000, quindi quella afferente l’Omesso versamento di IVA, a seguito della revisione apportata dal D.Lgs. n. 158/2015 (in vigore dal 22 ottobre 2015).
Come noto, il D.Lgs. n. 158/2015 ha totalmente revisionato il sistema penale tributario mediante importanti modifiche al D.Lgs. n. 74/2000. Con precipuo riguardo al caso in rassegna, l’art. 8 del decreto di revisione ha sostituito integralmente l’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000, stabilendo nella nuova formulazione una novità di rilevo: è stata infatti innalzata la soglia di punibilità da 50.000 euro a 250.000 euro.
Il testo dell’art. 10-ter ora recita:
“E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo, l'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d'imposta”.
I giudici di Piazza Cavour questa volta hanno annullato una sentenza del Tribunale di Lecce con la quale un soggetto è stato riconosciuto colpevole della commissione del reato di “Omesso versamento di IVA”, di cui appunto all’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000.
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Nella sentenza per la quale è stato proposto ricorso per Cassazione, oltre alla pena di quattro mesi di reclusione, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Lecce aveva disposto anche la confisca per equivalente per un importo di 138.906,00 euro, ma la Suprema Corte, come detto, ha annullato la sentenza del Tribunale di Lecce senza rinvio.
In pratica i giudici di legittimità hanno applicato tout court il più generale principio del favor rei e di “retroattività” della legge più favorevole all’autore della condotta incriminata.
Nella sentenza, infatti, la Cassazione fa esplicito riferimento al fatto che la modifica apportata all’art. 10-ter dall’art. 8 del D.Lgs. n. 158/2015 è più favorevole rispetto alla precedente struttura del reato di “Omesso versamento di IVA” (cosa del resto affermato nella Relazione illustrativa di accompagnamento al decreto di revisione, in cui si richiama la volontà governativa di applicare per le fattispecie meno gravi “sanzioni amministrative anziché penali”).
Pertanto, l’annullamento della sentenza del Tribunale di Lecce deve ricondursi all’applicazione del principio di irretroattività della legge penale, di cui all’art. 2 del codice penale e nel caso specifico al comma 4 (che prevede l'applicazione della norma penale più “vantaggiosa” all'imputato).
Quindi, nel caso di specie, essendo 138.906,00 euro l’IVA non versata ed essendo salita a 250.000,00 euro la soglia di punibilità, la fattispecie sottoposta all’attenzione della Corte di Cassazione non può far configurare un reato penale tributario.
Ma i giudici non si sono limitati a questo.
Nella sentenza n. 6710/2016 la Suprema Corte ha ribadito, prendendo le mosse da una precedente pronuncia del 2015 (la sentenza n. 3098 del 5 novembre 2015), che “la soglia di punibilità rientra tra gli elementi costitutivi (del fatto di) reato, in quanto completa la realizzazione della condotta punibile e dunque partecipa pienamente all’integrazione giuridica della fattispecie penale, non potendo collocarsi tra le condizioni obiettive di punibilità che invece presuppongono un reato già strutturalmente perfetto nei profili oggettivi e soggettivi cosicché il verificarsi di un evento futuro ed incerto ne condiziona esclusivamente la punibilità, la quale è un elemento esterno alla struttura del reato”.
Richiamando a questo punto quanto indicato in un altro arresto giurisprudenziale (Corte di Cassazione, sentenza n. 37424 del 28 marzo 2013), per i giudici di legittimità da tali considerazioni ne discende l’assunto che l’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000 configura un reato di mera condotta e di danno, il cui oggetto di tutela penale è costituito dall’interesse dello Stato alla percezione dei tributi ed i cui elementi costitutivi sono:
Da ciò ne deriva che “nel caso in cui manchi un elemento costitutivo, di natura oggettiva, del reato contestato, l’assoluzione dell’imputato va deliberata con la formula “il fatto non sussiste” e non quella “il fatto non è previsto come reato”, che riguarda la diversa ipotesi in cui manchi una qualsiasi norma penale cui ricondurre il fatto imputato (Sez. U. n. 37954 del 25 maggio 2011; Sez. U. n. 40049 del 29 maggio 2008). […] quando il fatto storico, così come ricostruito, non è idoneo, come nella specie, ad essere sussunto nella fattispecie astratta, per la mancanza di un elemento costitutivo del reato, occorre adottare la formula “il fatto non sussiste” (Sez. U. n. 37954 del 25 maggio 2011)”.