Il progressivo aumento del contenzioso creditizio manifestatosi negli ultimi anni ha indotto gli Istituti bancari ad una maggiore attenzione nella formulazione di contratti di credito, in modo da “blindarli” rispetto ad eventuali reclami da parte della clientela; naturalmente tale accortezza non riguarda i contratti più datati, in cui una certa vaghezza regolamentare ha lasciato molto spazio alla pratica di scorrettezze contabili. Ne deriva che la probabilità di riscontrare illeciti nei contratti bancari aumenta con l’aumentare dell’anzianità degli stessi, ma naturalmente ciò pone immediatamente un problema di prescrizione dell’azione di ripetizione degli eventuali indebiti.
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A tal proposito ricordiamo che l’istituto della prescrizione è disciplinato dall’art. 2496 c.c., il quale stabilisce che “i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni”, e che lo stesso articolo dichiara imprescrittibili i diritti e le azioni elencati nell’art. 1422 c.c., fra i quali si annovera l’azione di nullità, ma in cui contestualmente si esclude esplicitamente l’azione di ripetizione degli indebiti. Nel mondo dei contratti bancari, dunque, nei casi in cui vengano rilevate pratiche scorrette (usura, anatocismo, interessi ultralegali, valute fittizie, commissioni sul massimo scoperto illegittime ecc.) sostanzialmente è possibile in qualunque momento far dichiarare la nullità di un contratto bancario, ma la conseguente azione di ripetizione delle eventuali somme indebite si prescrive in dieci anni.
Resta da stabilire la data di decorrenza della prescrizione, che in linea generale coincide con la data di chiusura del rapporto creditizio; ciò si desume dalle pronunce della Corte di Cassazione n. 2262 del 1984 e 10127 del 2005, secondo cui “il termine di prescrizione decennale per il reclamo delle somme trattenute dalla banca indebitamente a titolo di interessi su un'apertura di credito in conto corrente decorre dalla chiusura definitiva del rapporto, trattandosi di un contratto unitario che da luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi, sicché é solo con la chiusura del conto che si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti tra loro”; le sentenze si riferiscono evidentemente ad una apertura di credito in conto corrente, ma stante il concetto di “contratto unitario” esse sono applicabili per estensione a qualunque tipo di contratto bancario.
Di conseguenza se il contratto prevede una estinzione progressiva del debito (mutuo, leasing, finanziamento chirografario, cessione del quinto ecc.) la prescrizione decennale dell’azione di ripetizione decorre senza alcun dubbio dalla data di pagamento dell’ultima rata; se, al contrario, il contratto consente la ricostituzione del debito mediante una serie di atti di segno contrario come prelevamenti e versamenti (aperture di credito in conto corrente, anticipazioni su crediti commerciali, factoring, carte revolving ecc.), l’individuazione del dies a quo richiede una più approfondita analisi a causa della sentenza n. 24418 del 2010: essa subordina la decorrenza della prescrizione in relazione alla presenza e al rispetto del limite di fido concesso dall’Istituto, definendo altresì i concetti della “rimessa solutoria” della “rimessa ripristinatoria”.
Dal punto di vista terminologico, una rimessa (cioè una qualsiasi forma di versamento sul conto: contanti, assegno, bonifico, giroconto ecc.) è solutoria se alla data della rimessa stessa il saldo del conto eccede il limite del fido, pertanto la “solutorietà” indica il rientro da un debito non concesso contrattualmente; al contrario una rimessa è ripristinatoria se alla data in cui viene effettuata il saldo del conto è compreso entro il limite dell’affidamento, quindi la sua etimologia indica la volontà di “ricostituire”, “ripristinare” il fido per i successivi utilizzi. Ci spieghiamo meglio con un esempio: si supponga che una apertura di credito in c/c, con affidamento di € 1.000, sia stata estinta nel 2010 (quindi entro i termini prescrittivi generali), e che in data 31/12/2001 siano state addebitate competenze illegittime per € 100; in data 05/01/2002, quando il conto rappresentava uno scoperto di € 1.200, viene versato un assegno, di qualunque importo; in tal caso la parte dell’assegno che copriva gli € 100 di competenze è da considerarsi una rimessa solutoria in quanto il saldo del conto violava il limite del fido. Se, invece, il saldo al 05/01/2002 rappresentava uno scoperto più basso dell’affidamento (per esempio € 800) la medesima rimessa è da considerarsi di tipo ripristinatorio.
Detto ciò, la sentenza 24418/2010 differenzia la decorrenza della prescrizione in base alla natura della rimessa:
- gli addebiti illegittimi seguiti da una rimessa solutoria si prescrivono nel termine di dieci anni dalla data di esecuzione della rimessa;
- gli addebiti illegittimi seguiti da una rimessa ripristinatoria si prescrivono nel termine di dieci anni dalla data di chiusura del rapporto.
Riguardo all’esempio precedente si può concludere che nel primo caso (scoperto di € 1.200) l’azione di ripetizione si è prescritta il 05/01/2012, mentre nel secondo caso (scoperto di € 800) l’azione si prescriverà nel 2020.
Certamente la verifica della natura solutoria o ripristinatoria delle rimesse non è una attività di facile realizzazione, ma al contrario è laboriosa e soprattutto costosa; pertanto a partire dalla pubblicazione della sentenza del 2010 gli Istituti bancari hanno sempre più spesso sollevato, in modo sommario e talvolta infondato, l’eccezione di prescrizione determinata dalla solutorietà delle rimesse, lasciando alle CTU il compito di verificarne puntualmente l’esattezza. Questa forma di abuso è stata drasticamente scoraggiata dalla più recente sentenza n. 4518/2014 della stessa Cassazione, che pur ribadendo l’orientamento del 2010, ha deciso che:
i versamenti eseguiti su conto corrente, in corso di rapporto hanno normalmente funzione ripristinatoria della provvista e non determinano uno spostamento patrimoniale dal solvens all'accipiens. Tale funzione corrisponde allo schema causale tipico del contratto. Una diversa finalizzazione dei singoli versamenti (o di alcuni di essi) deve essere in concreto provata da parte di chi intende far decorrere la prescrizione dalle singole annotazioni […]. Nella specie non è stato mai né dedotta né allegata tale diversa destinazione dei versamenti in deroga all'ordinaria utilizzazione dello strumento contrattuale.
In parole povere la Corte ha stabilito che vi è la presunzione che tutte le rimesse sono di tipo ripristinatorio, e sta alla banca dimostrare il contrario, in modo puntuale e tempestivo; in modo puntuale perché non basta una semplice e generica invocazione della prescrizione, ma occorre dimostrare analiticamente quali rimesse sono solutorie e quali non lo sono; in modo tempestivo in quanto l’eccezione di prescrizione deve essere sollevata nei termini obbligatori di risposta al reclamo, in quanto essa non sarebbe più producibile in futuro. Naturalmente questi vincoli spostano il baricentro della tutela verso il Cliente, in quanto neanche per gli Istituti più organizzati è facile predisporre una documentazione probatoria che risponda ai requisiti della sentenza; tanto più che se i fatti si sono svolti nell’era pre o protodigitale (anni 80 e 90) è addirittura possibile che l’Istituto non sia in grado di recuperare agevolmente gli estratti conto.
In definitiva, se una apertura di credito è stata cessata meno di dieci anni fa, è molto probabile che gli addebiti illegittimi più antichi (ci riferiamo soprattutto all’anatocismo perpetrato fino al 2000) siano recuperabili indipendentemente dal fatto che essi siano stati effettuati intra o extra fido.
Cassazione 24418/2010
Cassazione 4518/2014