L’Organizzazione Mondiale della Sanità evidenzia da tempo che lo stress è un fenomeno allarmante non solo per l’individuo – poiché può comportare disturbi psicologici e fisici – ma anche per le aziende producendo: assenteismo, frequente avvicendamento del personale, problemi disciplinari, comunicazione aggressiva e, di conseguenza, riduzione della produttività, bassa qualità del prodotto, maggiore frequenza degli infortuni. La mancata o inadeguata gestione di tale fenomeno determina elevati costi sia per la salute dei lavoratori e per l’equilibrio delle loro famiglie che per le aziende e la collettività tutta.
Il problema definitorio rappresenta la premessa metodologica principale in cui ci si imbatte quando si affronta il tema dello stress lavoro-correlato sia sotto un profilo giuridico che sotto l’aspetto organizzativo e gestionale, poiché sotteso alla necessità di definire, a livello di sistema, le finalità e il campo di applicazione oggettivo e soggettivo della disciplina (normativa) di riferimento e, a livello organizzativo, la tipologia delle azioni di valutazione e gestione operativa di questo rischio.
L’indagine internazionale, comunitaria e comparata, in verità conferma la problematicità dei profili definitori poiché ad oggi esistono differenti definizioni di stress lavoro-correlato, in base alla letteratura di riferimento e alla impostazione culturale e giuridica dei paesi europei.
In tal senso la situazione comunitaria e comparata a livello UE27 è rappresentata molto dettagliatamente in una indagine della Fondazione di Dublino per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro.
Dallo stesso si evince infatti che non esiste ad oggi una definizione universale di stress lavoro-correlato uniformemente applicata da parte dei paesi UE.
A livello comunitario, tuttavia, sono almeno tre le definizioni di stress lavoro-correlato formulate rispettivamente dall’Accordo quadro Europeo sullo stress lavoro-correlato del 2004, dalla Commissione Europea e infine la definizione elaborata in seno alla Agenzia Europea per la salute e sicurezza sul lavoro. Tutte queste, a prescindere dalle diverse formulazioni letterali, sembrano fare riferimento al fatto che lo stress non costituisca una malattia di per sé e al tempo stesso coglierne il tratto caratterizzante nella percezione da parte del lavoratore della propria inadeguatezza rispetto ai compiti da svolgere. Un quid pluris è tuttavia rintracciabile nell’accordo quadro del 2004; esso risiede nell’espresso “vincolo” di attuazione e implementazione dello stesso accordo negli Stati Membri (art. 7).
Sta di fatto che l’assenza di confini definitori precisi si riflette automaticamente sulle attività di monitoraggio e misurazione, poiché come confermato dal rapporto sopra citato, gli Stati Europei adottano diverse metodologie di rilevazione e di monitoraggio dello stress difficilmente comparabili tra loro per scarsa omogeneità delle premesse scientifiche e dei contesti giuridici ed organizzativi di riferimento e per difformità della ratio ad esse sottese.
A ciò si aggiunge il fatto che in molti contesti lo stress lavoro-correlato è analizzato congiuntamente e talvolta indistintamente rispetto ad altre tipologie di rischi organizzativi e psico-sociali come il mobbing, la violenza, le molestie sul luogo di lavoro e il burn-out o in funzione di altre famiglie di rischi particolari: l’età, il sesso, la nazionalità e le tipologia contrattuale, quali caratteristiche soggettive ed oggettive che possono rendere il lavoratore particolarmente vulnerabile ed esporlo ad una maggiore incidenza di rischi psico-sociali. In questo quadro diventa pertanto una scelta convenzionale, influenzata dalla diversa sensibilità giuridica e culturale, il fatto che un ordinamento adotti un modello di regolamentazione e di valutazione dello stress piuttosto che un altro.
L'articolo continua dopo la pubblicità
Per approfondire ti potrebbe interessare
Le metodologie di monitoraggio ad oggi adottate dagli Stati membri si possono sostanzialmente ricondurre a cinque macro-modelli, nell’ambito dei quali confluiscono le ricerche (surveys) e le azioni progettuali (actions) condotte dagli stati più sensibili al tema e analizzati dal rapporto.
Il primo modello è costituito dalle Cohort surveys, studi condotti in paesi come il Belgio e la Svezia che indagano la interrelazione tra l’organizzazione del lavoro, l’ambiente di lavoro e la salute nell’ambito di un gruppo specifico di partecipanti per un periodo di tempo considerato e possono essere fortemente rivelatori in punto stress.
Nelle realtà come la Francia, la Norvegia, la Finlandia, la Spagna, l’Austria e l’Olanda, invece, sino dal 1997 sono state sviluppate indagini a sezione trasversale (cross-sectional surveys) basate sull’impiego di questionari validati e caratterizzate da una interrelazione tra strumenti di autovalutazione, dati forniti da soggetti terzi e misurazioni fisiologiche oggettive, rivolte a ottenere elementi quantitativi sulla interrelazione tra lo stress e la emersione di alcune patologie fisiche (es. disturbi circolatori, muscoloscheletrici). Tali studi vengono rinnovati periodicamente e sistematicamente.
È in particolare l’esperienza francese, attraverso la SUMER survey iniziata nel 2003 e ripetuta nel 2009, ad aver istituzionalizzato un filone metodologico basato sull’impiego di questionari validati rivolti ai lavoratori, attraverso l’applicazione del noto questionario di Karasek (JCQ - Job Contest Questionnaire).
Di diverso approccio le one-off surveys, che come suggerisce la stessa definizione sono indagini più isolate specificamente rivolte a “fotografare” in modo più o meno ampio le problematiche connesse allo stress lavoro-correlato in un preciso momento o frangente ambientale, come fatto a Cipro nel 2008 in merito alla condizione dei lavoratori nei call-centre. Parallelamente esistono indagini multistrutturate (survey infrastructures) che fanno parte di progetti più sofisticati di analisi e rilevazione dello stress e delle problematiche psicosociali che puntano sull’impiego di diversi strumenti di rilevazione e sulla copertura di periodi di tempo anche molto lunghi.
Il tema dello stress lavoro-correlato e del relativo monitoraggio è anche al centro delle politiche sanitarie, sociali e del lavoro di molti paesi europei, i cui Ministeri (Germania, Spagna, Belgio, Lituania e Italia) ovvero le cui maggiori confederazioni sindacali (Lussemburgo o Irlanda) si fanno carico di finanziare, anche in modo sistematico, la redazione di rapporti annuali sulla salute e sicurezza sul lavoro ovvero sui tassi di assenteismo sul lavoro, rilevando così importanti dati anche in materia di stress.
Il ricorso a tali ricerche sponsorizzate (sponsored surveys) a livello politico e istituzionale è un fenomeno massiccio a livello europeo, come pure nel nostro paese, e rivela la una spiccata sensibilità dei governi e delle parti sociali interessate nei confronti del tema.
Tale approccio istituzionale coglie in modo netto e perspicace la dimensione del controllo sui fenomeni legati alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro e alla valutazione e gestione dei rischi psico-sociali, poiché posti alla base di una politica sanitaria volta al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dell’individuo, ma al tempo stesso di una azione strategica macroeconomica di tutela della competitività, dell’economia e dello sviluppo della produttività.
Del resto in tema di politiche dell’occupazione e della produzione l’azione della Comunità europea è tradizionalmente incentrata su di un sistema di intervento di mainstreaming, per il quale la salute ed il benessere sono elementi indispensabili di una migliore qualità del lavoro, da cui dipende l’avanzamento delle prestazioni dell’economia e delle imprese.
Per approfondire ti potrebbe interessare
Sotto il profilo della regolamentazione giuridica l’Europa ha da tempo preso posizione in materia di stress da lavoro. L’Accordo-quadro Europeo sullo stress sul lavoro regola i principi e lo standard comunitario in materia. La sua importanza risiede non solo nella natura condivisa del testo tra le parti sociali, ma nell’intento di offrire ai datori di lavoro un modello che consenta di individuare, prevenire e gestire i problemi legati allo stress lavoro-correlato, lasciando fuori da tale attività fenomeni come la violenza sul lavoro, la sopraffazione sul lavoro, lo stress post-traumatico, il mobbing lo straining e tutte quelle situazioni in cui vi è una volontà soggettiva individuabile di provocare un danno al lavoratore. Oggetto dell’intervento delle parti sociali sociali è, quindi, lo stress lavoro-correlato definitivo come “condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o aspettative riposte in loro”.
L’obiettivo dell’accordo è quello di aumentare la consapevolezza e la comprensione, e per fornire datori di lavoro e dei lavoratori sul posto di lavoro con un action-oriented framework per identificare e prevenire o gestire problemi di stress lavoro-correlato. Mette in evidenza che lo stress è un fattore di rischio e quindi deve essere impedito, secondo principi ei metodi che alla base dell’Unione europea della salute e della politica di sicurezza.
Uno sguardo dall’alto sulle politiche di attuazione e implementazione dell’Accordo-quadro mette in luce che le parti sociali nazionali hanno attuato l’accordo attraverso contratti collettivi nazionali o accordi in materia, raccomandazioni e linee guida, nonché mediante attività complementari, come ad esempio lo sviluppo di strumenti pratici o sondaggi. Tale processo ha avuto luogo nel contesto di una crescente consapevolezza sullo stress lavoro-correlato, non solo a livello aziendale e di organizzazione del lavoro, ma anche tra le autorità pubbliche, gli ispettorati del lavoro, della salute e le agenzie nazionali per la sicurezza, oltre che tra gli esperti ed operatori sanitari. Le iniziative che questi attori hanno intrapreso in uno con la legislazione, hanno di fatto interagito con quelle adottate dalle parti sociali. L’attuazione dell’accordo è stato quindi un passo avanti significativo e di valore aggiunto reale per la regolamentazione e per la maturazione di una sensibilità sociale verso il tema.
A livello nazionale, i seguenti risultati devono essere evidenziati:
Un dialogo bipartito o tripartito sociale su stress da lavoro si è svolto in tutti i paesi.
L’accordo ha attivato o sostanzialmente accelerato il dialogo sociale e le politiche di settore in 12 Stati membri in cui lo stress da lavoro era stato considerato quasi esclusivamente un tema da esperti di settore (Repubblica Ceca, Francia, Italia, Cipro, Lettonia, Lussemburgo, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia, Slovacchia, Norvegia).
L’accordo ha portato alla creazione e alla diffusione di orientamenti pratici e strumenti operativi e gestionali in molti Stati membri, compreso il loro adattamento a livello transfrontaliero.
Anche nei paesi dove lo stress da lavoro era già stato posto all’ordine del giorno, l’Accordo ha dato una spinta ad una ulteriore sensibilizzazione sul tema e alla redazione di linee guida condivise.
L’accordo è stato seguito da modifiche del quadro normativo in sette paesi (Belgio, Lettonia, Lituania, Ungheria, Portogallo Slovacchia, Italia)
L’accordo è stato attuato da vincolanti contratti collettivi nazionali in cinque paesi (Danimarca, Grecia, Francia, Italia, Romania). (per un analisi più dettagliata dell’istituto e sulle novità introdotte dal decreto legislativo n. 80/2015 si rinvia al §3 della presente Guida) Di conseguenza, un insieme di principi e regole è ora sancito nella maggior parte degli Stati membri (Sia attraverso la legislazione che mediante contratti collettivi vincolanti come in Olanda, Finlandia, Svezia, Belgio, Danimarca, Regno Unito, Islanda, Norvegia, Italia, Francia, Grecia, Romania, Lettonia, Ungheria, Slovacchia Portogallo, Lituania, Bulgaria, Estonia).
In altri Stati membri, le parti sociali hanno concluso accordi, che non sono stati dichiarati di obbligatorietà generale, o linee guida condivise con un sostanziale sforzo congiunto per promuovere la sensibilizzazione e il follow-up (Spagna, Lussemburgo, Austria, Irlanda, Germania, Repubblica Ceca).
D’altra parte, per quanto riguarda la copertura territoriale, l’accordo non è ancora stato attuato in tutte gli Stati membri e, dove le parti sociali hanno scelto accordi non vincolanti e azioni unilaterali, non tutti i lavoratori sono coperti (cosa che è di particolare rilevanza negli Stati membri in cui i rischi psicosociali non sono esplicitamente trattati nel quadro giuridico e dove lo stress non è pienamente riconosciuto come un rischio per la salute sul lavoro da tutte le parti).
In aggiunta, in molti Stati membri, non tutti i settori trattati nell’accordo sono inclusi nel quadro nazionale di attuazione della misura.
Per definire i rischi collegati allo stress lavorativo, il legislatore italiano sin da subito ha guardato all’Europa richiamando espressamente l’Accordo europeo sullo stress sul lavoro dell’8 ottobre 2004, il cui obiettivo è, appunto, quello di offrire ai datori di lavoro un modello che consenta di individuare, prevenire e gestire i problemi legati allo stress lavoro-correlato.
La formale implementazione dell’Accordo Europeo in Italia è avvenuta infatti con l’Accordo interconfederale del 9 giugno 2008 che espressamente definisce lo stress lavoro-correlato come “una condizione, accompagnata da sofferenze o disfunzioni fisiche, psichiche, psicologiche o sociali, che scaturisce dalla sensazione individuale di non essere in grado di rispondere alle richieste o di non essere all’altezza delle aspettative […]”, “non è una malattia, ma una situazione prolungata di tensione che può ridurre l’efficienza sul lavoro e può determinare un cattivo stato di salute” (articolo 3) .
Tuttavia, oltre che ricadere nella più ampia disciplina dell’art. 2087 c.c., il concetto di rischio psico-sociale è entrato nel nostro sistema legislativo molto prima, per il tramite dell’articolo 2, comma 4, del decreto legislativo n. 195 del 2003, nel quale si afferma che: “per lo svolgimento della funzione di responsabile del servizio prevenzione e protezione è necessario possedere un attestato di frequenza, con verifica dell’apprendimento, a specifici corsi di formazione in materia di prevenzione e protezione dei rischi, anche di natura ergonomica e psico-sociale”. I rischi psico-sociali possono definirsi in termini di interazioni tra contenuto del lavoro, condizioni ambientali e organizzative da un lato, e le esigenze e competenze dei lavoratori dipendenti dall’altro .
Un ulteriore impulso è pervenuto dall’Inail che, con circolare 17 dicembre 2003, n. 71, in seguito annullata dal TAR del Lazio , ha tentato di far rientrare nelle patologie risarcibili le malattie di origine psico-sociale a causa di lavoro; si costruisce in tal senso la definizione di “costrittività organizzativa” spiegabile come situazione di incongruenza delle scelte in ambito organizzativo che deve avere caratteristiche strutturali, durature ed oggettive.
Un impulso decisivo alla regolamentazione della materia e alla procedimentalizzazione della valutazione dello stress lavoro-correlato, oltre che al superamento dei limiti di una implementazione meramente formale della disciplina comunitaria è intervenuto con il d.lgs. n. 81/2008, cosiddetto Testo Unico della Salute e Sicurezza sul lavoro.
L’articolo 28, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2008 prevede che “la valutazione dei rischi […] deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004 […]”.
Dal canto suo l’articolo 18 del d.lgs. 81/08 è chiaro nel disporre che la valutazione dei rischi “(…) deve riguardare tutti i rischi (…) tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004,(…)”.
L’articolo 28, già all’indomani della sua approvazione, aveva destato non poche difficoltà interpretative e applicative, determinate principalmente dal fatto che sia l’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004 sia l’Accordo interconfederale del 9 giugno 2008 che lo ha recepito, forniscono criteri e parametri troppo generici per poter essere utilizzati con la certezza che, al contrario, merita un obbligo sanzionato penalmente. Ciò sia con riferimento alle indicazioni metodologiche operative, ai fini della attività di valutazione dei rischi da stress, sia per quanto concerne le misure finalizzate a prevenire, ridurre ed eliminare i problemi di stress.
Queste sono le ragioni alla base delle ripetute proroghe del termine di entrata in vigore del relativo obbligo, prima al 16 maggio 2009 e successivamente al 1° agosto 2010.
Tuttavia, a partire già dalla prima data, la disposizione in oggetto era divenuta vigente ed i datori di lavoro - in mancanza di provvedimenti legislativi o regolamentari che fornissero indicazioni operative chiare ed uniformi in tutto il territorio nazionale - si erano trovati in forte difficoltà sia per quanto concerne l’individuazione delle cosiddette “aree critiche”, secondo i parametri stabiliti dall’accordo interconfederale, sia nel mettere a punto una valida metodologia di valutazione e gestione organizzativa del rischio.
Per fronteggiare tali difficoltà, il correttivo al Testo Unico sicurezza (d.lgs. n. 106/2009) ha espressamente investito la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro (organo consultivo tripartito istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali), di elaborare le indicazioni necessarie alla valutazione del rischio da stress lavoro-correlato (art. 6, co. 8, lett. m-quater). Più in particolare il d.lgs. 106/09 ha introdotto il comma 1-bis dell’art. 28 secondo cui “la valutazione dello stress lavoro-correlato (…) è effettuata nel rispetto delle indicazioni elaborate dalla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro”. Quindi, dal testo della norma si evince innanzitutto che la valutazione del rischio di stress-lavoro correlato è parte integrante della valutazione intesa come obbligo disposto dall’articolo 17 e conseguentemente non può essere oggetto di delega da parte del datore di lavoro, inoltre che la normativa di riferimento per definire i confini del concetto di stress-lavoro correlato sarà l’accordo europeo dell’8 ottobre 2004, e che invece la procedura da seguire per effettuare una corretta valutazione di questo specifico rischio sarà solo quella effettuata secondo le indicazioni della Commissione consultiva.
Il correttivo ha ribadito e rafforzato il principio in forza del quale la valutazione dei rischi da lavoro, obbligo del datore di lavoro pubblico e privato e attività pregiudiziale a qualsiasi intervento di tipo organizzativo e gestionale in azienda, deve comprendere “tutti i rischi” per la salute e sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori; non solo, quindi, i fattori di rischio “tradizionali” (come, ad esempio, i rischi relativi all’uso di sostanze pericolose o di macchine), quanto anche rischi di tipo “immateriale”, tra i quali, espressamente, quelli che riguardano lo stress lavoro-correlato, quale definito dal citato accordo europeo.
Per effetto dello stesso l’entrata in vigore della valutazione del rischio stress lavoro-correlato decorreva così “dalla elaborazione delle predette indicazioni e comunque, anche in difetto di tale elaborazione, a far data dal 1° agosto 2010” (articolo 28, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 81 del 2008, così come modificato dal decreto legislativo n. 106 del 2009).
Instauratosi nel febbraio 2010, il comitato tecnico n. 6 impegnato in seno alla Commissione nella attività istruttoria, dibattimentale e redazionale relativa alla suddette indicazioni metodologiche, tale termine di decorrenza è stato ulteriormente prorogato al 31 Dicembre 2010.
In anticipo rispetto al termine di legge (individuato, infine, nel 31 dicembre 2010), dopo ampia e articolata discussione sul tema, la Commissione consultiva ha approvato, alla riunione del 17 novembre 2010, le indicazioni in oggetto provvedendo, in tal modo, a fornire agli operatori indicazioni metodologiche necessarie per un corretto adempimento dell’obbligo di valutare il rischio da stress lavoro-correlato.
Le indicazioni sono state diffuse con lettera circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 18 novembre 2010, sulla scorta del lavoro svolto nel corso dell’anno 2010 dal comitato tecnico n. 6, della Commissione Consultiva permanente, composto da rappresentati delle parti sociali, esponenti delle pubbliche istituzioni e professionisti esperti in materia, sotto il coordinamento e la presidenza del Ministero del Lavoro.
Come noto l’adozione del documento intende superare le difficoltà operative ripetutamente segnalate in ordine alla individuazione delle corrette modalità di valutazione del rischio da stress lavoro-correlato, resa definitivamente obbligatoria dall’art. 28 del Testo Unico della salute e sicurezza sul lavoro.
Esso nel complesso è ispirato ai seguenti principi:
- brevità e semplicità, in quanto destinato ad un utilizzo ampio e riferito a imprese non necessariamente munite di strutture di supporto in possesso di specifiche competenze sul tema;
- individuazione di una metodologia applicabile a ogni organizzazione di lavoro, indipendentemente dalla sua dimensione, e che permetta una prima ricognizione degli indicatori e dei fattori di rischio da stress lavoro-correlato;
- applicazione di tale metodologia, in ottemperanza al dettato letterale di cui al citato articolo 28, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2008, e s.m.i., a “gruppi di lavoratori” esposti, in maniera omogenea, allo stress lavoro-correlato e non al “singolo” lavoratore, il quale potrebbe avere una sua peculiare percezione delle condizioni di lavoro;
- individuazione di una metodologia di maggiore complessità rispetto alla prima ma eventuale, destinata ad essere necessariamente utilizzata ove la precedente fase di analisi e la conseguente azione correttiva non abbia, in sede di successiva verifica, dimostrato un abbattimento del rischio da stress lavoro-correlato;
- valorizzazione, in un contesto di pieno rispetto delle previsioni di cui ai corrispondenti articoli del “Testo unico”, delle prerogative e delle facoltà dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e dei medici competenti;
- individuazione di un periodo “transitorio”, per quanto di durata limitata, per la programmazione e il completamento delle attività da parte dei soggetti obbligati.
La delineazione delle suddette indicazioni metodologiche è stata un risultato tutt’altro che scontato, poiché da tempo posta al centro al centro di un delicato dibattito tra Stato, Regioni, Parti sociali, organi ispettivi, professionisti e addetti ai lavori, acuitosi nel corso 2010 a causa della difficoltà di definire in modo unanime le specifiche metodologie attraverso cui si debba pervenire alla valutazione di detto rischio.
Più in particolare le difficoltà hanno riguardato in primis l’individuazione delle cosiddette “aree critiche”, secondo i parametri stabiliti dall’accordo interconfederale del 9 giugno 2008, sia la messa a punto una valida metodologia di valutazione del rischio da stress e la predisposizione di specifici strumenti di indagine, sia, infine, l’attuazione di misure organizzative o formative di prevenzione e protezione dallo stress lavoro-correlato.
Al centro della questione, invero, non è stata tanto la obbligatorietà della valutazione del suddetto rischio, quanto la opportunità di introdurre metodologie minime obbligatorie di valutazione scientificamente validate per la rilevazione oggettiva delle incongruenze organizzative dell’attività lavorativa e di definire la natura e tipologia di tali fattori e, in secondo luogo, la necessità di misurare del disagio dei lavoratori e della loro percezione soggettiva del rischio.
Dall’altra parte molto sentita era anche l’esigenza di mettere a punto uno strumento valido scientificamente ma al contempo non troppo oneroso e realisticamente gestibile dai datori di lavoro in prima persona affinché non si rendesse obbligatorio il ricorso alla sorveglianza sanitaria e al supporto di figure professionali ad hoc extra-aziendali.
Altresì acceso è stato il dibattito rivolto alla individuazione degli attori responsabili delle attività di valutazione e gestione dello stress, ritenuto in certi casi un rischio non solo particolare, ma tanto eccentrico rispetto ai rischi cosiddetti classici, da giustificare una deviazione dalla impostazione della valutazione dei rischi di cui agli artt. 17, 28 e 29 del d.lgs. n. 81/2008 ed un coinvolgimento obbligatorio di figure soggettive non previamente previste dal legislatore ed estranee al contesto produttivo standard.
Particolarmente problematica, sul punto, da una parte la valutazione del ruolo e del coinvolgimento attivo dei lavoratori direttamente o per il tramite dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza mediante lo strumento della consultazione, dall’altra la opportunità o meno di “medicalizzare” le attività di valutazione e gestione dello stress, al punto da ritagliare spazi non contemplati ex lege alla sorveglianza sanitaria obbligatoria e nuovi compiti istituzionali per il medico competente.
Alla luce di tale dibattito, in definitiva, le indicazioni metodologiche sono state elaborate nei limiti e per le finalità puntualmente individuati dalla legge tenendo conto della ampia produzione scientifica disponibile sul tema e delle proposte pervenute all’interno alla Commissione consultiva e sono state redatte secondo criteri di semplicità, brevità e comprensibilità.
Va rilevato al riguardo che la letteratura psicosociale ed organizzativa aveva già da tempo sperimentato e validato strumenti di misurazione e rilevazione dello stress lavoro-correlato. Si è trattato nella maggior parte dei casi di questionari da somministrare ai lavoratori, le cui risposte possono fornire elementi conoscitivi sulla eventuale presenza o meno di stress lavoro-correlato, di progetti regionali e relative linee di indirizzo o ancora di diverse metodologie e strumenti di indagine, quali focus groups o incontri con testimoni privilegiati, quali il medico competente, i responsabili del servizio di prevenzione e protezione, il rappresentante dei lavoratori. D’altro canto a livello istituzionale, sia regionale che centrale, non è mancata la elaborazione di linee di indirizzo metodologiche e schemi esemplificativi per la valutazione dello stress lavoro-correlato.
A differenza di questi strumenti, tuttavia, l’obiettivo delle indicazioni metodologiche per la valutazione dello stress lavoro-correlato della Commissione Consultiva permanente, è quello di indicare a tutti i datori di lavoro, pubblici e privati, un percorso metodologico che rappresenta il livello minimo di attuazione dell’obbligo di valutazione del rischio da stress lavoro-correlato, come parte integrante della valutazione dei rischi e protocollo effettuato e gestito direttamente dal datore di lavoro avvalendosi del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, con il coinvolgimento del medico competente, ove nominato, e previa consultazione del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza. In linea con il pieno rispetto delle previsioni di legge, esse non introducono pertanto nuovi obblighi né una alterazione del normale impianto della valutazione dei rischi di cui al d.lgs. n. 81/2008.
A tale scopo, va chiarito che le necessarie attività devono essere compiute con riferimento a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori, compresi dirigenti e preposti. La valutazione prende in esame non singoli ma gruppi omogenei di lavoratori (per esempio, per mansioni o partizioni organizzative) che risultino esposti a rischi dello stesso tipo secondo una individuazione che ogni datore di lavoro può autonomamente effettuare in ragione della effettiva organizzazione aziendale (potrebbero essere, ad esempio, i turnisti, i dipendenti di un determinato settore oppure chi svolge la medesima mansione, etc.).
Il testo così approvato è dunque il frutto di una operazione di concertazione e condivisione equilibrata volta a dare ai datori di lavoro indicazioni minime obbligatorie, chiare, gestibili direttamente e in ogni caso implementabili in melius su base meramente volontaristica, quindi a discrezione del datore di lavoro e solo in senso più favorevole per i lavoratori.
Oggi l’aspettativa, specie delle parti sociali, è che nel corso della ripresa attività della Commissione possano essere sciolti nodi problematici più complessi e articolati rispetto a quelli emersi fino ad ora ed in parte già affrontati nei recenti interpelli sul tema, ma che si possano altresì avanzare – dopo una attenta sistematizzazione di quanto fatto – proposte di integrazione e modifica delle indicazioni metodologiche, in quell’ottica di gestione congiunta e partecipata tra istituzioni, parti sociali, imprese e lavoratori che ha costituito il leitmotiv della Campagna europea per la sicurezza sul lavoro nel biennio 2014-2015, appunto dedicata alla prevenzione e alla gestione dello stress lavoro-correlato. Anche in questa prospettiva, del resto, si possono leggere le recenti modifiche apportate al d.lgs. n. 81/2008 dall’art. 20 del d.lgs. n. 151/2015; la disposizione, infatti, nel modificare la composizione e le attribuzioni della Commissione Consultiva, all’art. 6, co. 8, lett. m) quater ha aggiunto il seguente periodo: «La Commissione monitora l'applicazione delle suddette indicazioni metodologiche al fine di verificare l'efficacia della metodologia individuata, anche per eventuali integrazioni alla medesima.».
Nel medesimo solco vanno infine menzionate le previsioni introdotte, in tema di valutazione dei rischi, dallo stesso articolo 20, in forza del quale si inserisce nel corpo dell’art. 28 del d.lgs. n. 81/2008 un comma 3 ter che affida all’Inail, in collaborazione con gli altri soggetti del sistema istituzionale, la predisposizione di strumenti tecnici e specialistici per la riduzione dei livelli di rischio, da rendere disponibili ai datori di lavoro. Inoltre la citata riforma sostituisce, nel corpo dell’art. 29, il comma 6-quater che oggi prevede la emanazione di un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottarsi previo parere della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro, che individui strumenti di supporto per la valutazione dei rischi, tra i quali gli strumenti informatizzati secondo il prototipo europeo OIRA (Online Interactive Risk Assessment). Invero le novità appena citate, riguardanti nel complesso il processo di valutazione di tutti i rischi, sono destinate a riflettersi anche sulle procedure di valutazione dello stress lavoro-correlato.
Per approfondire ti potrebbe interessare