Il diritto comunitario osta ad una normativa nazionale per la quale uno Stato membro richieda il pagamento dell IVA all'importazione sebbene la medesima sia già stata regolarizzata con il meccanismo dell'inversione contabile, mediante un'autofatturazione e una registrazione contabile del soggetto passivo. L’Iva all’importazione ed il meccanismo del reverse charge, tranne nel caso in cui sia dimostrata l’esistenza di una frode, sono sistemi di assolvimento dell’Iva equivalenti. L'autofattura emessa del soggetto passivo non costituisce infatti una mera operazione neutra di compensazione bensì un vero e proprio pagamento opponibile all'ufficio doganale . Queste le conclusioni della Corte di Cassazione nella sentenza n. 16109 del 29 luglio 2015.
IL CASO
Una società di capitali, nell'esercizio dell'attività professionale di spedizioniere e gestore di un deposito fiscale ai fini IVA ha assistito alcuni importatori nelle operazioni di importazione di merci provenienti di Paesi Terzi: la merce venne dichiarata essere destinata al deposito IVA con conseguente sospensione del pagamento dell'IVA all'importazione.
L’Iva veniva successivamente assolta dagli importatori all'atto dell'estrazione della merce dal magazzino in regime di reverse charge, con emissione di autofatture.
L'accertamento dell'Agenzia delle Dogane ha riguardato il mancato assolvimento dell'IVA all'importazione in ragione della verifica compiuta, dalla quale emergeva che alcune partite di merci importate da paesi extra UE non erano mai state materialmente introdotte nel deposito pur avendo usufruito della sospensione del pagamento dell'IVA.
Secondo l’Agenzia delle Dogane, infatti, non sono assimilabili Iva all’importazione e Iva interna, soprattutto in ordine ai sistemi di assolvimento dell’imposta: la prima, costituente un diritto di confine facente capo alla Comunità, è infatti correlata all'importazione delle merci in dogana ed è esigibile in quel momento, a fronte di un sistema dell'IVA nazionale correlato all'auto liquidazione, al versamento dell'imposta per massa di operazioni attive e passive e alla dichiarazione relativa al periodo d'imposta. Un ulteriore elemento di fatto è che le merci erano state introdotte nel deposito pur avendo fruito della sospensione del pagamento del tributo.
La Ctr, confermando il verdetto di primo grado, respingeva l'appello dell’Agenzia delle Dogane, evidenziando che la materiale introduzione dei beni nel deposito IVA contestata alla contribuente non era prevista espressamente da alcuna disposizione; inoltre la diversità fra IVA all'importazione e IVA interna sostenuta dall'Ufficio era in stridente contrasto con il principio di neutralità, generando una duplicazione di imposta.
Quanto alle sanzioni per omesso versamento, secondo la Ctr le stesse non si applicano quando i versamenti siano stati tempestivamente eseguiti presso un Ufficio diverso da quello competente.
Col successivo ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Dogane denunciava la violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis. Secondo la ricorrente, infatti, la disposizione impone di ritenere l'immissione effettiva della merce nel deposito ai fini IVA per godere dei benefici da essa previsti: il termine "custodia" utilizzato dall'art. 50 bis presuppone la materiale immissione della merce in un luogo fisico idoneo alla conservazione; a supporto di tale tesi vengono richiamate diverse sentenze della Cassazione del 2010.
Inoltre la CTR aveva considerato come violazione formale la mancata introduzione nel deposito IVA ancorché l'art. 201 CDC indicasse come violazione sostanziale ogni violazione che comportava l'irregolarità dell'operazione doganale; Doveva quindi ritenersi applicabile la sanzione per omesso versamento prevista dall’art. 13 del D.L.gs. n. 471 del 1997.
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Indice
"Il reverse charge è equivalente all’Iva all’importazione" (PDF - 18 pagine)
IL CASO
IL COMMENTO
1. Reverse charge e iva all’importazione: definizioni
2. Corte di Giustizia: la sentenza Equoland e influenza sulla prassi e contenzioso doganali
3. La sentenza annotata
IL TESTO INTEGRALE DELLA SENTENZA
Commento alla sentenza n. 16109/2015: reverse charge, nozione
IL COMMENTO
Il decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 18 , che ha recepito alcune direttive comunitarie, ha apportato rilevanti modifiche alla disciplina dettata fino al 31 dicembre 2009 dall’articolo 17 del d.P.R. n. 633, in particolare per ciò che riguarda l’individuazione del debitore d’imposta nelle operazioni poste in essere nel territorio dello Stato da soggetti non residenti nei confronti di soggetti residenti.
Il secondo comma dell’articolo 17, così come sostituito dal decreto n. 18, amplia l’ambito applicativo del reverse charge obbligatorio, vale a dire delle ipotesi in cui – in deroga ai criteri generali il debitore dell’imposta non è, come di regola avviene, il cedente o prestatore, bensì il cessionario o committente. A partire dal 1° gennaio 2010, l’IVA relativa a tutte le cessioni di beni e le prestazioni di servizi territorialmente rilevanti ai fini dell’imposta in Italia – rese da soggetti non residenti (ad eccezione di quelle rese per il tramite di una stabile organizzazione in Italia) – deve sempre essere assolta dal cessionario o committente, quando questi sia un soggetto passivo stabilito in Italia, mediante l’applicazione del meccanismo del reverse charge. (...)
Contenzioso doganale: orientamenti giurisprudenziali
2. CORTE DI GIUSTIZIA: LA SENTENZA EQUOLAND E INFLUENZA SULLA PRASSI E CONTENZIOSO DOGANALI
La disciplina comunitaria in materia di Iva non consente ad uno Stato membro di chiedere il pagamento dell'imposta all'importazione qualora la medesima sia già stata regolarizzata nell'ambito del meccanismo dell'inversione contabile, mediante un'autofatturazione e una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite del soggetto passivo.
Non è quindi possibile configurare l'Iva all'importazione come un tributo diverso dall'Iva interna, sicché l'autofattura emessa per l'assolvimento da parte del soggetto passivo non costituisce una mera «operazione neutra di compensazione dell'Iva nazionale a debito con quella a credito», come più volte affermato dalla Corte di Cassazione (per tutte, si veda la sentenza 12262/2010), bensì un vero e proprio pagamento opponibile all'ufficio doganale che agisce per il recupero dell'imposta non versata all'importazione.
Il principio, contenuto nella sentenza “Equoland” della Corte di Giustizia UE (Causa C-272/13), porta come conseguenza l'amministrazione doganale italiana dovrebbe astenersi dal recuperare l'imposta ove riscontri dalla documentazione fornita dal contribuente sottoposto a verifica che questi ha già provveduto al pagamento del tributo con la successiva doppia annotazione del documento fiscale nei registri degli acquisti e delle vendite.
Anche nel caso di specie, la società aveva importato alcuni beni provenienti da un Paese terzo in Italia, utilizzando “virtualmente” un deposito Iva e, pertanto, senza che siano stati fisicamente inseriti al suo interno. Con lo “scarico” della merce dal deposito, l’Iva è stata poi assolta con il meccanismo dell’inversione contabile. Ad avviso dell’Agenzia delle dogane, tuttavia, nelle ipotesi di utilizzo solo virtuale del deposito Iva, sarebbe stata configurabile un’erronea applicazione dell’istituto, tale da escludere lo speciale regime di sospensione Iva previsto per la merce immessa in libera pratica e destinata a un deposito Iva (art. 50 bis, quarto comma, lett. b), d.l. 30 agosto 1993, n. 331). (...)
La Corte di Giustizia, accogliendo la tesi del contribuente e riconoscendo l’unitarietà dell’Iva, ha chiarito che l’Iva, sia essa interna o all’importazione, può essere versata con autofatturazione. Non si ha dunque il pagamento del tributo. E neppure la sanzione è corretta. Infatti secondo la Corte la sanzione va individuata nel paradigma normativo di cui all’art.13 d.lgs.n. 472/1997 (30%), a nulla rilevando il contenuto precettivo dell’art.70 d.PR n.633/1972 che rimanda alla normativa doganale. La sentenza della Corte di Giustizia si pone in senso contrario all’orientamento della Cassazione italiana secondo cui l'introduzione della merce d'importazione nel deposito IVA costituisce il presupposto per l'esenzione dall'IVA all'importazione su merci comunitarie: in difetto di immagazzinamento è dovuta l’Iva all’importazione (cfr. Cass. n. 12581/2010 e le successive sentenze, depositate tra il 19 ed il 21 maggio 2010, nn. 12262, 12275, 12579, 12580) . (...)
3. LA SENTENZA ANNOTATA
Applicando i suindicati principi la Cassazione ha accolto parzialmente il ricorso dell’Agenzia delle Dogane.
Secondo i giudici, pur non avendo il meccanismo del reverse charge valore formale o fittizio, ma costituendo reale assolvimento dell'IVA, non è conforme a legge la statuizione che ha escluso la necessità dell'effettivo inserimento della merce nel deposito IVA che invece risulta dallo spirito e dalle finalità del regime agevolativo introdotto dall'art. 50 bis, u.c., al cui interno il riferimento specifico alla consegna dei beni non può non richiedere l'effettiva consegna fisica della merce in sede di deposito, essa collegandosi ai concetti di custodia.
Deve dunque ritenersi che in caso di mancato immagazzinamento della merce si realizza una vera e propria sottrazione della merce dalla quale scaturisce l'immediata insorgenza dell'obbligazione fiscale concernente l'IVA all'importazione.
In merito all’assolvimento (tardivo) del tributo attraverso il sistema del reverse charge la sentenza impugnata deve essere rivista in relazione ai principi espressi dalla sentenza Equoland. Pertanto il giudice del rinvio dovrà verificare, al fine di eventualmente escludere la debenza del tributo richiesto, il rispetto dei principi sul punto espressi dalla Corte di Giustizia.