La procedura fallimentare può dar luogo a diversi esiti. Il fallimento non è l’unica procedura disciplinata dal R.D. 267/1942, essendone disciplinate altre cinque:
1. il piano di risanamento (art. 67, comma 3, lettera d);
2. l’accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis);
3. il concordato preventivo (artt. 160 – 186-bis);
4. il concordato fallimentare (artt. 124 – 141);
5. la liquidazione coatta amministrativa (artt. 194 – 215).
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La procedura fallimentare e i suoi vari esiti
Il presente articolo è tratto dall'ebook "La procedura fallimentare e i suoi vari esiti" che comincia con l’illustrazione dei diversi organi coinvolti nella procedura fallimentare, ossia il Tribunale, il giudice delegato, il curatore, il Comitato dei creditori, per poi esaminare passo per passo la procedura fallimentare. Dopo aver richiamato le condizioni per l’attivazione della procedura, si descrive il primo passaggio, costituito dall’istruttoria prefallimentare, che può concludersi con la dichiarazione di fallimento.
A quel punto inizia la complessa gestione del fallimento, che si avvia con la ricognizione del passivo e la valutazione dell’attivo.
Nel frattempo però si possono attivare le misure tese alla conservazione dell’attività aziendale, e quindi il testo affronta gli istituti dell’esercizio provvisorio e dell’affitto dell’azienda.
Infine, si esamina il procedimento liquidatorio, nel cui ambito si inseriscono la vendita dell’azienda, così come l’alienazione delle sue singole componenti.
Si arriva così alla conclusione della procedura, con i passaggi della ripartizione dell’attivo e del rendiconto del curatore.
Il secondo Capitolo si conclude con una disamina degli effetti del fallimento sui creditori e sul fallito, ed in particolare per quest’ultimo si illustra il possibile beneficio dell’esdebitazione, tema con il quale si conclude il Capitolo II.
Il terzo Capitolo è invece dedicato al concordato fallimentare, che può costituire un possibile esito della procedura fallimentare, vantaggioso in termini di parziale mantenimento dell’attività dell’impresa in crisi, ma sottoposto a determinate condizioni.
Di seguito alcuni stralci del testo.
Le circostanze che danno luogo all’inizio della procedura fallimentare
L’art. 5 del R.D. 267/1942 pone la condizione per l’avvio della procedura fallimentare, che consiste nell’insolvenza.
Lo stato d’insolvenza si manifesta a seguito di inadempimenti, o di altri fatti esteriori, i quali dimostrano che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
In conclusione, quando l’impresa in difficoltà non paga più i propri debiti, giunti alla loro scadenza, si ha il presupposto logico, oltre che normativo, per avviare la procedura fallimentare.
È il caso di rilevare che a differenza delle procedure di accordo di ristrutturazione dei debiti e di concordato preventivo, nella procedura fallimentare non è sufficiente la condizione dello stato di crisi, invece richiesto dal comma 1, dell’art. 182-bis, della legge fallimentare per l’accordo di ristrutturazione dei debiti, e dal comma 1, dell’art. 160, della legge fallimentare, relativamente al concordato preventivo.
Sebbene lo stato di crisi comprenda l’insolvenza, ai sensi del comma 3 dell’art. 160, si può certamente affermare che le procedure concorsuali diverse dal fallimento possono essere attivate in uno stadio della crisi d’impresa antecedente a quello grave dell’insolvenza.
Infatti, il citato comma 3 dell’art. 160 afferma che “per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza”, e quindi evidentemente lo stato di crisi si realizza anche con situazioni diverse (e perciò meno gravi) di quella dell’insolvenza.
I soggetti che possono richiedere l’attivazione della procedura fallimentare
L’attivazione della procedura fallimentare spetta ad una serie di soggetti, elencati dall’art. 6 del R.D. 267/1942.
Dunque, il fallimento può essere avviato su ricorso:
1. del debitore;
2. di uno o più creditori;
3. del pubblico ministero (che presenta una richiesta).
È il caso di notare che non esiste il fallimento d’ufficio, che sarebbe contrario al principio del giusto processo, sancito dall’art. 111 della Costituzione.
Mentre per l’imprenditore in crisi ed i creditori il presupposto della richiesta non può che essere l’avvenuta insolvenza dell’impresa, per quanto riguarda l’intervento del pubblico ministero, è il caso di ricordare che esso è condizionato al verificarsi di uno dei 2 seguenti presupposti (ex art. 7 del R.D. 267/1942):
a) l’insolvenza risulta nel corso di un procedimento penale, o dalla fuga, dall’irreperibilità, o dalla latitanza dell’imprenditore, dalla chiusura dei locali dell’impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione, o dalla diminuzione fraudolenta dell’attivo da parte dell’imprenditore;
b) l’insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice, che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile.
È il caso di sottolineare che la possibilità di segnalazione dell’insolvenza da parte del giudice civile sostituisce la precedente dichiarazione di fallimento d’ufficio, abrogata dalle riforme del diritto fallimentare degli anni 2006-2007.
Inoltre, è evidente che anche nei casi di difetto di titolarità o di legittimazione dell’istante, o nei casi di rinuncia, è possibile che il Tribunale faccia la segnalazione al pubblico ministero, che a sua volta deciderà se procedere.
L’iniziativa del pubblico ministero può dunque attivare la procedura fallimentare anche nei casi di rinuncia (cd. desistenza) al ricorso per dichiarazione di fallimento da parte dei creditori istanti.
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