Per la
ricostruzione sintetica del reddito delle annualità antecedenti al 2009, ovvero con la vecchia metodologia,
gli Uffici non possono utilizzare i canoni di leasing quali indici di capacità contributiva,
in quanto previsti solamente dal D.M. 24 dicembre 2012,
emanato in attuazione delle nuove norme in materia di accertamento sintetico (D.L. n. 78 del 2010).
Ciò significa che la nuova metodologia non è applicabile retroattivamente: è questo il principio di diritto affermato dall’interessante Sentenza n. 166/1/2014 del 2 dicembre 2014 con cui la Ctp di Sondrio ha accolto parzialmente il ricorso di un contribuente, scomputando dal maggior reddito sinteticamente accertato il valore dei canoni di leasing corrisposti nell’anno.
Sul punto si registra un notevole dibattito, anche se la posizione prevalente sembra essere quella che ritiene inapplicabile il nuovo accertamento “sintetico” alle annualità antecedenti al 2009.
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Motivazioni per le quali si ritiene inapplicabile il nuovo accertamento sintetico alle annualità antecedenti il 2009
Abbiamo detto che la posizione prevalente sembra essere quella che ritiene inapplicabile il nuovo accertamento “sintetico” alle annualità antecedenti al 2009, ciò sulla base di diverse motivazioni:
- innanzitutto a garanzia del legittimo affidamento dei contribuenti che devono essere edotti, sin dal momento della predisposizione della dichiarazione dei redditi, dei fatti, degli indizi, delle modalità e degli strumenti attraverso i quali l’Amministrazione può eventualmente procedere alla rettifica della dichiarazione stessa, proprio perché la prova e la documentazione ex post delle circostanze possono essere più difficili da dimostrare e violare, pertanto, il diritto di difesa Costituzionalmente garantito. A tal proposito si precisa che il nuovo redditometro avrebbe natura di norma “sostanziale”: si pensi alle conseguenze sul piano sostanziale che già la circostanza per cui risultano mutati i requisiti per accedere allo strumento redditometrico (è sufficiente lo scarto del 20% per un anno) ha comportato, ovvero alla eliminazione del riferimento ai cd. fatti certi perché, attualmente, assumono rilievo le spese di qualsiasi genere. Si rammenti, ancora, l’abolizione, nel computo del calcolo redditometrico, dell’incremento patrimoniale in misura pari ad 1/5; secondo la Corte costituzionale e la giurisprudenza di legittimità “qualora l’applicazione di coefficienti contenuti in decreti successivi porti alla determinazione di un reddito maggiore rispetto a quello che si determinerebbe applicando le norme anteriori, allora essi rappresentano una modifica sostanziale rispetto alla legislazione precedente e, pertanto, non potrebbero essere applicati”.
- le modifiche apportate al sistema di accertamento da redditometro, ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 22 D.L. 78/2010 e D.M. 24.12.2012, in ragione degli effetti incisivi e deteriori apportati alla sfera giuridica del contribuente, sono tutt’altro da considerarsi quali mere norme di carattere procedimentale, non potendo qualificarsi tout court come un’evoluzione dello strumento precedente (come avvenuto per gli studi di settore “evoluti” che sono stati ritenuti applicabili anche a periodi di imposta precedenti);
- da non sottovalutare anche il dato letterale: l’art. 22, comma 1, del citato DL n. 78 del 2010 stabilisce, infatti, che le modifiche apportate all’art. 38 del DPR n. 600 del 1973 hanno effetto “per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto” (vale a dire con esclusione degli accertamenti relativi a periodi d’imposta anteriori al 2009). Inoltre, nel sistema attualmente vigente, come delineato dal DM 24 dicembre 2012, non si riscontra una disposizione analoga a quella prevista – sempre in tema di accertamento sintetico – dall’art. 5, comma 3, ultimo periodo del DM 10 settembre 1992, il quale – nel far salvi gli accertamenti emanati sulla base del precedente DM 21 luglio 1983 – ha previsto che “Il contribuente può, tuttavia, chiedere, qualora l’accertamento non sia divenuto definitivo, che il reddito venga rideterminato sulla base dei criteri indicati nell’art. 3 del presente decreto”;
- l’applicazione degli studi evoluti anche ad annualità precedenti è stata ritenuta possibile in virtù dell’esistenza di una metodologia analoga di accertamento e quindi di una sostanziale comparabilità della procedura; di contro, a fronte di sostanziali differenze nella metodologia e nella base dati di riferimento, lo strumento del redditometro non può essere utilizzato in via retroattiva.
Ed è proprio la sostanziale differente metodologia adottata al fine della determinazione sintetica del reddito, infatti, ad escludere la possibilità di applicare retroattivamente il “nuovo redditometro”. Come noto, a ciascuno dei beni e servizi elencati nella tabella allegata al citato DM del 1992 corrisponde un valore predefinito, da moltiplicare per il rispettivo coefficiente. Il valore così ottenuto è indicativo non della spesa sostenuta in relazione al possesso dello specifico bene o servizio, quanto piuttosto del reddito complessivo induttivamente espresso dalla disponibilità del medesimo bene o servizio.(1)
Con l’introduzione del “nuovo redditometro”, invece, il reddito complessivo viene sinteticamente determinato sulla base di elementi indicativi di capacità contributiva, affatto diversi dalla disponibilità di beni o servizi: ai sensi dell’art. 1, comma 2 del decreto ministeriale 24 dicembre 2012, “per elemento indicativo di capacità contributiva si intende la spesa sostenuta dal contribuente per l’acquisizione di servizi e di beni e per il relativo mantenimento”.
Il reddito complessivo accertabile del contribuente è, quindi, determinato quale somma dell’ammontare di ciascuna tipologia di spesa.
Al di là dell’applicazione non retroattiva del nuovo redditometro, la questione sottoposta all’esame dei giudici lombardi atteneva invero alla tassatività delle spese rilevanti ai fini dell’accertamento sintetico. Si ricorda che, prima delle modifiche intervenute nel 2010, l’art. 38 del D.P.R. n. 600 del 1973 faceva riferimento ad elementi e circostanze di fatto certi: non v’è dubbio (almeno dal tenore della pronuncia) che tali potevano considerarsi anche i canoni di leasing versati nell’anno considerato. Sul punto si registra una pronuncia della Cassazione in tema di acquisto di un’azienda considerato quale dato di fatto certo ed indicativo di capacità contributiva, valutabile ai fini della determinazione sintetica del reddito. Secondo i giudici di legittimità “l’art. 38 impone di considerare (peraltro con presunzione iuris tantum) come elemento rivelatore di detta “capacità” non già (il possesso di) quel “cespite” (azienda,n.d.r.) in sé ma il suo acquisto, con la conseguenza che è del tutto indifferente il fatto (…) che se si scorre il D.M. 10 settembre 1992 non si scorge tra i beni presi in considerazione alcun accenno ad aziende” (Cass., 17 giugno 2011, n. 13289).
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(1) A titolo esemplificativo, si consideri un contribuente per il quale si riscontri, quale unico elemento rilevante ai fini della determinazione sintetica di reddito, la disponibilità di un autoveicolo di potenza pari a 24 “cavalli fiscali”, cui corrisponde secondo la tabella allegata al DM del 1992 un “importo” di € 5.160,50 da moltiplicare per il coefficiente 8 ai fini della determinazione del reddito sintetico. Il “valore”così ottenuto, pari a € 41.284,00, costituisce il reddito complessivo espresso dallo specifico indicatore presuntivo. Tale valore, invero, non misura, ad evidenza, la spesa annua specificamente afferente al possesso dell’autovettura (ad esempio, per consumi di carburante, lubrificante, pezzi di ricambio e servizi di riparazione e manutenzione), né alla sua acquisizione (che rileva autonomamente pro-quota quale incremento patrimoniale), ma fornisce direttamente la dimensione sintetica del reddito complessivo.